Satine Rouge

Pensieri, filosofia e altre sciocchezze trascritti per alleviare la fatica del mio neurone sovraccarico

 

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Sulle scale della Vaillant Arena

Post n°685 pubblicato il 18 Febbraio 2011 da Satine_78
 

Ovvero: come ti può capitare una volta nella vita di incontrare (quasi) per caso uno dei tuoi idoli.

Davos, Canton Grigioni, 11 febbraio 2011, attorno alle tre di pomeriggio.

Un giro per scoprire il paese sotto uno splendido sole che con febbraio ha poco a che spartire, un'occhiata alla pista di pattinaggio en plein air che si trova proprio di fianco alla Vaillant Arena, lo stadio del ghiaccio dove la sera...

... no, non ci siamo.

Cazzate.

Del giro in paese non me ne frega nulla, la pista di pattinaggio en plein air l'ho vista per caso, giusto perché era lì.
La Vaillant Arena era l'unico mio obiettivo.

Vaillant Arena

(Eccola. Le scale del titolo però sono dietro. Immaginatevele da soli, perché non le ho fotografate)

Dicevo, obiettivo (non dichiarato), ma perseguito: la Vaillant Arena.

Se speri di incontrare dei pattinatori che devono fare uno spettacolo, il luogo più probabile in cui possa succedere non può che essere il palazzo del ghiaccio dove si terrà lo show, no?

Sì, per carità, può anche essere che li incontri al negozio di souvenir del paese (Davos non è mica New York City), ma è più difficile: molto meglio fissarsi sull'obiettivo che, statisticamente, è più probabile.
Deve essere una qualche legge economica, o statistica, o una roba del genere, ma che ce ne può fregare adesso?

Andaimo avanti, và.

Faccio un lento giro attorno alla Vaillant Arena, mentre considero tra me e la mia seconda personalità che è abbastanza comico che una ditta produttrice di caldaie sia lo sponsor principale di un palazzo del ghiaccio. La mia seconda personalità risponde dicendo che la Vaillant fa anche i condizionatori e mi invita a moderare i pensieri cretini (per quanto sappia che sia un'impresa estremamente difficoltosa) e a stare più attenta alla gente che c'è in giro, ad aguzzare la vista sulle persone che incontro, per cercare di scorgere qualche viso noto.

Mentre mando al diavolo la mia seconda personalità, invitandola a darmi una mano (o meglio, un occhio), il mio sguardo cade sulle scale che portano ad uno dei tanti ingressi della Vaillant Arena.

C'è seduto un ragazzo, che sta parlando con un paio di persone in piedi di fronte a lui.

Primo Satine-pensiero: appena torno in Italia, devo ricordarmi di fissare un appuntamento dall'oculista. Possibilmente da uno molto bravo, perché la mia vista deve essere peggiorata in maniera preoccupante.

Siccome non voglio rassegnarmi al fatto di dover indossare degli occhiali con lenti spesse come il cristallo antiproiettile delle vetrine di Cartier, azzardo una nuova occhiata al ragazzo seduto sulle scale della Vaillant Arena.

Secondo Satine-pensiero: deve essere un miraggio, come capita a tutti gli esploratori nel deserto del Sahara.

Riflettendo sul fatto che non sono un'esploratrice e che non mi trovo nel deserto del Sahara, ma nel cuore delle Alpi svizzere, guardo di nuovo.

Terzo Satine-pensiero: sono diventata schizofrenica e ho le visioni di persone inesistenti come Russell Crowe in A Beautiful Mind.

Non accettando l'idea che anche il fido Neurone Eustorgio mi abbia ormai definitavamente abbandonata, raccolgo tutte le mie forze per richiamarlo dall'atollo polinesiano nel quale dimora stabilmente e lo convoco d'urgenza a Davos. Stavolta guardiamo assieme.

Quarto Satine-pensiero (con il supporto del Neurone Eustorgio): OK, posso anche essere cieca, visionaria o pazza (in effetti, lo sono), ma non sono (ancora completamente) rincoglionita.

E quel ragazzo seduto sulle scale lo riconoscerei comunque senza esitazioni.

Stéphane Lambiel.

In carne, ossa e figaggine.

Dopo aver strattonato l'Eroe per un braccio, cercando di fargli capire dove dovevamo andare e perché (impresa non da poco, visto che dalla mia gola usciva solo una specie di sibilo strozzato, tipo quando hai un attacco di asma), chiamo a raccolta quel poco che, con una simile visione di fronte a me, può restare  della mia già normalmente scarsa lucidità mentale, estraggo dalla mia borsa penna&Moleskine (Dio, perché ho lasciato i miei pattini in albergo, perché?!? Me lo sarei fatto fare lì l'autografo!!!), mi avvicino cautamente, non del tutto convinta che la visione non scompaia da un momento all'altro.

Non scompare.

Stéphane continua a chiacchierare, con quella voce un po' da papera che, assieme al discutibile gusto in fatto di abbigliamento, è forse il suo unico difetto.
Parla in un inglese fluido, perfetto e comprensibile, parla di qualcosa di buono da mangiare e da bere che servono da qualche parte lì a Davos.
I dettagli non li ricordo, perché lo ascolto a metà: e ricordare i dettagli con mezzo neurone a disposizione è dura.
Intanto penso a come chiedergli l'autografo e la foto: magari in francese.
E' abbastanza mezzo neurone per formulare una frase in francese? Mmh, temo di no. Meglio stare sull'inglese, è più sicuro.
E penso: dai, smetti di parlare, non ti voglio interrompere, sarebbe maleducato, ma ho fretta, mi stanno finendo i fiammiferi e se finiscono i fiammiferi scompaiono le belle visioni, come l'albero di Natale e la cena e... no, aspetta, forse questa è un'altra storia...

... va beh, niente fiammiferi, però Stéphane deve andare, lo sono venuti a prendere, ma cazzo, quando mi ricapita di incontrarlo ancora!

Mi butto.

"Can I have your autograph, please?", gli caccio in mano la penna, gli reggo la Moleskine, Stéphane fa la S, ma la penna non scrive (CAZZOOO!!! Ma a casa scriveva, ne sono sicura!!!). Stéphane rifà la S, questa volta rimane impressa sulla carta (MENO MALE! Mica potevo chiedergli se aveva una penna lui!), completa l'autografo, poi va, non ho tempo per chiedergli la foto, anche due persone che arrivano in quel momento lo vorrebbero fermare, ma lui deve andare.

Beh, pazienza, posso accontentarmi.

Ho avuto l'autografo e l'ho visto da vicino.

E su quest'ultimo fatto, mi si permetta di proporre una considerazione.

Ho visto migliaia di sue foto e di filmati, un mese fa l'ho visto per la prima volta dal vivo, anche se ad almeno dieci metri di distanza e il pensiero è sempre stato: minchia, quant'è figo!
(Spero che il pensiero sia comprensibile nonostante si avvalga di un ragionamento molto raffinato e di parole auliche e di elevata estrazione culturale).

Visto da vicino, il pensiero cambia e diventa: minchia, ma non è nemmeno troppo fotogenico... è molto, molto, molto più figo di quanto non appaia nelle foto!

Terminata questa profonda considerazione filosofica di matrice hegeliana, possiamo continuare il racconto, anche se in realtà di quel che è accaduto nell'ora successiva poco ricordo, poiché il povero Eustorgio deve aver subito un bel cortocircuito neuronale ed essere fuggito in qualche Sistema Solare extragalattico, altro che Polinesia.

Per fortuna, l'Eroe si è premurato di farmi un paio di filmati per rammentarmi come ho agito a seguito di quel fugace e (quasi) fortuito incontro.

E io sono molto contenta dell'esistenza di quei filmati, che magari un giorno potrebbero tornarmi davvero utili.

Infatti, se dovessi mai macchiarmi di qualche reato, anche di gravissima entità, ed essere trascinata in tribunale, potrei stare tranquilla: grazie alla visione di quei filmati, qualsiasi giudice sarebbe costretto a dichiarare  senza ombra di dubbio la mia completa infermità mentale.

 
 
 
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