Creato da: psicologiaforense il 14/01/2006
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LA FOTO DEL GIORNO, NUDI A "DIMOSTRARE" , L'IMPEGNO CIVICO ESPRESSO ANCHE CON IL CORPO NUDO

Post n°3432 pubblicato il 27 Dicembre 2009 da psicologiaforense

Come da tradizione decine di appassionati si sono ritrovati al lago Orake (vicino a Berlino) per l'annuale appuntamento del bagno nelle acqua ghiacciate. Questa esibizione ha lo scopo di richiamare l'attenzione sui temi ecologici e climatici che incombono sul mondo.

 

 
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Commenti al Post:
casadei.lisetta
casadei.lisetta il 27/12/09 alle 21:07 via WEB
Dopo Copenaghen i negoziati sul clima ripartono da sottozero
(Rispondi)
 
 
umberta8080
umberta8080 il 27/12/09 alle 21:12 via WEB
peggio di così non poteva andare
(Rispondi)
 
casadei.lisetta
casadei.lisetta il 27/12/09 alle 21:08 via WEB
Conferenza sul clima di Copenhagen. La kermesse è finita: alle 15:28 di sabato 19 dicembre, con 21 ore e 38 minuti di ritardo, si è chiuso il vertice più inutile e grottesco che l’ONU abbia mai organizzato sino ad oggi. Con l’obiettivo di arrivare ad approvare un nuovo protocollo dopo quello di Kyoto, quasi in scadenza, 193 Paesi hanno litigato per 13 giorni di fila. Le ultime due giornate hanno visto anche la presenza di 100 capi di stato tutti pronti a sgolarsi e a discettare sul clima, nascondendo la mancanza di idee serie e realizzabili con le paillettes di promesse mirabolanti di riduzioni drastiche non prima del 2020 e, meglio, nel 2050. Tanto nessuno di loro (e nessuno di noi) potrà essere lì a verificare e, nel caso, contestare l’insuccesso, ma in cambio con i numeri si possono riempire le pagine dei giornali di oggi e catturare l’attenzione dei cittadini.
(Rispondi)
 
 
umberta8080
umberta8080 il 27/12/09 alle 21:13 via WEB
le solite armi di "disinformazione di massa"
(Rispondi)
 
 
elvia4
elvia4 il 27/12/09 alle 22:09 via WEB
Ecosistemi del pianeta in pericolo Uno studio redatto da una commisione di esperti sotto l'egida dell'Onu svela un inquietante scenario per il futuro del nostro pianeta. La causa è da imputare a un perverso sfruttamento da parte dell'uomo.
(Rispondi)
 
casadei.lisetta
casadei.lisetta il 27/12/09 alle 21:10 via WEB
CONCLUSIONI ZERO!!!TANTO DEI NOSTRI PRONIPOTI CHI SE NE FREGA??? NEL 2060 NOI O SIAMO MORTI O, ORAMAI NON CI IMPORTA PIU' NULLA !!!
(Rispondi)
 
umberta8080
umberta8080 il 27/12/09 alle 21:14 via WEB
io non ci sarò più, ma triste sorte per coloro che saranno i sopravissuti
(Rispondi)
 
giordana2007
giordana2007 il 27/12/09 alle 21:16 via WEB
DELLE CATASTROFI PROSSIME VENTURE
(Rispondi)
 
 
luigiarusso
luigiarusso il 27/12/09 alle 21:20 via WEB
spaventose
(Rispondi)
 
giordana2007
giordana2007 il 27/12/09 alle 21:18 via WEB
Gli oceani e gli abitanti dell'oceano saranno inevitabilmente esposti agli impatti del surriscaldamento globale e del cambiamento climatico. Secondo gli scienziati, il surriscaldamento globale determinerà un innalzamento della temperatura delle acque e del livello del mare e il cambiamento delle correnti.
(Rispondi)
 
 
luigiarusso
luigiarusso il 27/12/09 alle 21:21 via WEB
è terribile
(Rispondi)
 
giordana2007
giordana2007 il 27/12/09 alle 21:18 via WEB
Gli studi più recenti denunciano purtroppo un rallentamento della circolazione termoalina tra la Scozia e la Groenlandia. Anche se queste correnti hanno funzionato in modo affidabile per molte migliaia di anni, un'analisi dei campioni di ghiaccio estratti sia al polo Nord che al polo Sud mostra come, in realtà, le cose non siano sempre andate in questo modo: tutto lascia pensare che in un passato ancora più remoto ci siano state alterazioni della circolazione termoalina, associate a repentini e radicali cambiamenti del clima. La diminuzione del livello di salinità degli oceani, dovuta sia allo scioglimento dei ghiacciai che all'aumento delle precipitazioni, potrebbe interrompere, rallentare o comunque alterare le grandi correnti transoceaniche, con disastrose conseguenze sul clima e sull'agricoltura in Europa e con impatti su tutti i mari e sulle temperature in tutto il mondo.
(Rispondi)
 
 
luigiarusso
luigiarusso il 27/12/09 alle 21:23 via WEB
Questa della fine del mondo provocata dalla mano dell’uomo non è una novità nella storia della psicologia sociale: il timore dello “scienziato pazzo” che gioca con la materia ha radici antiche (gli alchimisti furono bruciati sui roghi), per non parlare del timore che suscita un’esperimento che si propone di “simulare l’origine del mondo”, così come è stato descritto al volgo il progetto dell’LHC. E poiché siamo comunque tutti figli della cultura giudaico-cristiana, sappiamo cosa accade quando l’uomo pretende di farsi dio! Non esiste setta che non abbia fatto leva sulla paura dell’annientamento del genere umano o del suo habitat per spingere gli individui più labili psicologicamente a fare ciò che il guru di turno voleva facessero, compresi gesti estremi come i suicidi di massa. Senza andare così lontano, comunque, non si può scindere la paura irrazionale verso i progressi della scienza che abita una parte importante della popolazione degli Stati Uniti d’America dalla sempre maggiore diffusione del protestantesimo creazionista. Un sondaggio effettuato da America On Line rivela che il 49 per cento degli americani ritiene gli esperimenti dell’LHC potenzialmente pericolosi per l’esistenza stessa del mondo (su che informazioni scientifiche si fondi questo giudizio non è dato sapere).
(Rispondi)
 
 
 
elvia4
elvia4 il 27/12/09 alle 22:11 via WEB
Qualsiasi progresso raggiunto negli obiettivi della riduzione della povertà e della fame, del miglioramento della salute pubblica e della protezione dell’ambiente non potrà essere sostenuto se gran parte degli ecosistemi che supportano la vita sul pianeta continuerà ad essere degradata” recita lo studio suddetto, condotto da 1300 esperti provenienti da 95 nazioni.
(Rispondi)
 
 
elvia4
elvia4 il 27/12/09 alle 22:12 via WEB
In questi giorni, in occasione del Live Earth, una serie di concerti promossi da MTV per la sensibilizzazione sulla crisi climatica, si sta parlando molto di risparmio energetico come soluzione. Personalmente mi ha molto scosso il video “Polar Bear Man” nel quale un uomo fa enorme spreco di corrente, lasciando accesi vari PC contemporaneamente ed inutilmente, e nell’arco di poco tempo si ritrova sommerso dall’acqua. Il problema è realmente grave, la terra si sta gradualmente surriscaldando e ciò, secondo la stragrande maggioranza degli scienziati, è dovuto alle sempre maggiori concentrazioni di gas ad effetto serra che intrappolano il calore nell’atmosfera e sono generati dalle attività umane, ma noi, nel nostro piccolo, cosa possiamo fare? La risposta è: tanto! ovvero fare qualche sacrificio ed evitare gli sprechi ma qui siamo su oneHardware e ci sentiamo chiamati in causa a dire la nostra riguardo l’uso dei PC. Molti di noi, come anche il protagonista del video, non ci accontentiamo di avere un unico PC, e soprattutto li vogliamo sempre accesi per evitare di perdere tempo nel riavvio, al momento in cui ci serviranno. Questo è sicuramente un grosso spreco di corrente, potrebbe essere evitato, ma con pochi accorgimenti, se proprio non se ne può fare a meno, si possono ottenere risultati soddisfacenti.
(Rispondi)
 
giordana2007
giordana2007 il 27/12/09 alle 21:19 via WEB
Un innalzamento delle temperature medie dei mari avrebbe ricadute importanti sull'intera catena alimentare marina: il fitoplancton, ad esempio, del quale si nutrono alcuni piccoli crostacei come il krill, cresce sotto il ghiaccio polare. Una diminuzione dei ghiacci implica una diminuzione del krill, che è fondamentale per l'alimentazione di molte specie di cetacei e di grandi balene. Molte specie di animali rischiano la sopravvivenza per il semplice fatto che sono inadeguate a vivere temperature superiori: a causa delle alterazioni del loro habitat, alcune popolazioni di pinguini in Antartide sono diminuite del 33 per cento. Anche un aumento dell'incidenza di malattie negli animali marini è collegato all'aumento delle temperature degli oceani.
(Rispondi)
 
luigiarusso
luigiarusso il 27/12/09 alle 21:24 via WEB
Copenhagen. Da accordo storico a fallimento storico!
(Rispondi)
 
luigiarusso
luigiarusso il 27/12/09 alle 21:25 via WEB
VOLEVO SIGNIFICARE:
(Rispondi)
 
luigiarusso
luigiarusso il 27/12/09 alle 21:25 via WEB
Un accordo 'Prendere o lasciare'. E' quello che i Paesi più potenti al mondo hanno presentato al summit di Copenhagen. Condanniamo fermamente questa arroganza! I leader hanno tradito le future generazioni. Ora rimediare sarà molto più difficile. Alcuni sostengono che “l’accordo di Copenhagen” sia un passo avanti. Non è così. Di fatto non è stato adottato formalmente dalla Conferenza delle Parti (COP), e non contiene misure severe per riduzioni delle emissioni nei Paesi industrializzati. L’accordo rappresenta una concessione alle industrie inquinanti, in particolare il settore dei combustibili fossili, che ha speso molto per minare i negoziati e avrà adesso la possibilità di continuare a inquinare. Esistono, tuttavia, alcuni punti da salvare, come la decisione di creare un “Meccanismo finanziario per il Clima” e l’accordo di fornire finanziamenti fino a 100 miliardi di dollari l’anno per combattere i cambiamenti climatici nei Paesi in via di sviluppo. Questi hanno deciso di prendere iniziative volontarie per ridurre le proprie emissioni di gas serra e migliorarle ulteriormente nel caso verrà fornito supporto finanziario.
(Rispondi)
 
 
santinazs
santinazs il 27/12/09 alle 21:32 via WEB
DOPO COPENAGHEN, CHE FARE? L' ECOLOGIA DEI PICCOLI GESTI
(Rispondi)
 
luigiarusso
luigiarusso il 27/12/09 alle 21:26 via WEB
E ANCORA......
(Rispondi)
 
luigiarusso
luigiarusso il 27/12/09 alle 21:27 via WEB
Il vertice sul clima è fallito. Dai nuovi movimenti della socità civile globale rinasce la speranza per il futuro del pianeta. Il vertice di Copenhagen sui cambiamenti climatici - che pure nel documento finale riconosce in maniera generica la necessità di contenere l'aumento della temperatura sotto i 2 gradi - si è chiuso con un sostanziale fallimento, senza un accordo rigoroso e vincolante. Rimane soltanto una porta aperta alla prosecuzione dei negoziati che dovrebbero svilupparsi nei prossimi mesi. E' palpabile una grande delusione per le speranze che questo vertice aveva acceso in ogni parte del mondo. Ma già ora è chiaro che Copenhagen rimarrà nella storia non per i risultati mancati, ma per le energie positive della società civile globale che ha aggregato attorno a sé con le tante azioni nonviolente, le fiaccolate, i sit-in colorati, le manifestazioni che hanno acceso ancor più riflettori sul vertice. L'obiettivo comune di ottenere un accordo rigoroso, vincolante, lungimirante è stato un potente elemento di coesione ed ha permesso alle reti internazionali, alle ong, alle associazioni, ai sindacati, alle grandi e piccole organizzazioni di lavorare fianco a fianco determinando un punto di svolta di grande portata che già mostra i suoi effetti positivi. Abbiamo visto in azione per le strade di Copenhagen e di tutto il mondo una nuova generazione di attivisti, che dopo alcuni anni di disillusione chiedono con forza che la Politica con la p maiuscola torni ad essere protagonista e riesca a guidare l'economia. Nessuno di loro si dà ora per vinto. E non possiamo darci per vinti neanche noi. Ora più che mai è il momento dell'azione. L'Arci ha dato il suo piccolo contributo alle oltre 200 iniziative di mobilitazione e sensibilizzazione promosse in Italia dalla Coalizione "In marcia per il clima", che hanno visto una partecipazione molto forte. Era percepibile attorno alla battaglia per un clima migliore un grande calore, molta preoccupazione ed anche tanta voglia di mettersi in gioco, di fare sentire la propria voce. E' da qui che dobbiamo ripartire. Servono cambiamenti strutturali nel modello di sviluppo, a cominciare dalle politiche energetiche, nei nostri stili di vita, di alimentazione, di mobilità, nel modello di organizzazione delle nostre comunità, delle nostre città. La voce che si è alzata dalle 200 piazze italiane, così come dalle mobilitazioni a Copenhagen ed in tantissimi paesi del mondo, segnala che la disponibilità a cambiare comportamenti e stili di vita c'è ed è forte. Ma da sola non basta. Serve una classe politica all'altezza, in Italia, in Europa e su scala internazionale, che possa agevolare alcuni cambiamenti ed imporne altri, ripartendo equamente i costi, nella consapevolezza che ogni mese perso comporterà costi sempre più alti. Da questo punto di vista preoccupa non poco il modo con cui si è giunti alla chiusura del vertice, con un accordo tra 4 grandi potenze e i paesi più poveri che reclamano inutilmente di avere spazio e voce. E preoccupa ancor più la debolezza dell'Unione Europea, presa dalle sue grandi contraddizioni, inefficace finora nel rispettare gli impegni assunti in termini di riduzione concreta delle emissioni, e quindi meno credibile ed autorevole rispetto ai precedenti vertici. Una nostra riflessione sulla democratizzazione dell'UE, sul suo rafforzamento attraverso un riavvicinamento alle istanze della società civile è a questo punto irrinunciabile. Ma ricominciamo da noi stessi; per quanto ci compete, serve anche che il nostro associazionismo popolare traduca i cambiamenti necessari in iniziative concrete all'interno dei nostri circoli, attraverso il miglioramento dell'efficienza energetica degli immobili, con le forniture di energia pulita, la minimizzazione dei rifiuti, la promozione dei gruppi di acquisto solidale, le cene a Km 0. E, vista la scarsa attenzione con cui il governo italiano e le forze politiche del nostro Paese (anche a sinistra) hanno seguito gli sviluppi del vertice, è importante che l'Arci si faccia promotrice, insieme alle altre associazioni, di una battaglia politica e culturale per porre questi temi al centro dell'agenda italiana. E' evidente che sarà sulla concretezza dell'azione politica, sulla capacità di rispondere a sfide globali come quella climatica che i cittadini, e in particolare le giovanissime generazioni, sempre più misureranno i propri rappresentanti. Anche se il vertice di Copenhagen è fallito, la sfida per salvare il pianeta dal surriscaldamento prosegue ed entra ora in una fase cruciale. E' necessario costruire con ancora maggiore determinazione una mobilitazione ampia che possa contribuire a disincagliare le trattative e farle approdare a decisioni concrete e vincolanti. L'impegno dell'Arci riflessioni, proposte, azioni... A Copenhagen si è tenuto un incontro fondamentale per la sorte del nostro pianeta. Si tratta dell'incontro finale dell'IPCC (Pannello intergovernativo per il cambiamento climatico) delle Nazioni Unite, che potrebbe passare alla storia come una sorta di Kyoto2. L'incontro, centrato sulla prevenzione dei cambiamenti climatici, poteva infatti vedere la firma di un trattato per la diminuzione delle emissioni di CO2 responsabili del surriscaldamento della terra, con limiti più stringenti rispetto a quelli previsti dal primo ormai noto protocollo di Kyoto che fu siglato l'11 dicembre 1997 da più di 160 paesi e che entrò in vigore nel 2005 prevedendo l'impegno a diminuire le emissioni di CO2 in atmosfera di almeno il 5% rispetto al livello del 1990. Al centro della discussione, oltre ai nuovi limiti di emissioni, c'è anche il tema di come finanziare le forme di adattamento ai cambiamenti climatici per i paesi che ne stanno subendo gli effetti peggiori: il surriscaldamento della terra sta già aumentando la inondazioni, l'aumento del livello del mare con la conseguente sommersione di terre ed isole, la diffusione di malattie tropicali. MA TUTTO QUESTO CI RIGUARDA? NEL RESTO DEL MONDO SONO CONVINTI DI SÌ . Il dibattito su come raggiungere gli obiettivi fissati per i propri paesi dal protocollo di Kyoto e su come imprimere un'accelerazione agli impegni della comunità internazionale per fronteggiare l'emergenza climatica è stato al centro delle recenti campagne elettorali per il rinnovo del Parlamento Europeo, così come nella recente campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento tedesco. Ed il paese che più snobbava questi temi, gli USA, con la presidenza Obama ha sepolto il negazionismo dell'era Bush, arrivando a porre lo sviluppo delle energie rinnovabili e della maggiore efficienza energetica al centro del proprio impegno per superare la crisi economica. Come per altre grandi riforme Obama si trova a fronteggiare gli ostacoli frapposti da una parte dei democratici e soprattutto dai senatori repubblicani, ma ora ha dalla propria parte non soltanto la comunità scientifica e le ong, ma anche una parte rilevante dell'industria, finalmente convinta del fatto che il non agire per tempo renderà tutto più difficile e costoso. L'Unione Europea dal proprio canto si è data obiettivi che sono stati per anni un punto di riferimento internazionale: con l'approvazione a fine 2008 del pacchetto clima-energia l'UE ha concretizzato il proprio "obiettivo 20/20/20", ovvero la riduzione del 20% delle emissioni di CO2, l'aumento al 20% del risparmio energetico e l'aumento al 20% dell'utilizzo di energia da fonti rinnovabili entro il 2020, che salirebbe al 30% in caso di un impegno anche degli altri paesi. Ma ora anche Cina ed India, per lungo tempo considerati i nuovi inquinatori mondiali che con la propria crescita economica ed industriale avrebbero reso vano qualunque sforzo dei paesi più sensibili e virtuosi, stanno iniziando a fare la loro parte. La Cina, ad esempio, ha iniziato da un paio di anni a trasformare il proprio modello energetico. Si stanno quindi dissolvendo gli "alibi incrociati" e si aprono, almeno in teoria, grandi spazi per politiche coraggiose. E' fondamentale però il ruolo della società civile per aiutare i decisori politici a superare le resistenze che comunque ci sono, specie in questa fase di crisi economica, e contribuire a porre obiettivi più stringenti accelerando il necessario cambiamento. L'Unione Europea ha appena raggiunto un accordo al proprio interno sull'altro grande tema in discussione, ovvero su come trasferire tecnologia ai paesi più poveri del mondo e aiutarli a lottare efficacemente contro i cambiamenti climatici. Secondo l'UE servirebbero almeno 100 miliardi di dollari l'anno fino al 2020! Quindi molto in questa direzione rimane da fare e i movimenti sociali che agiscono su scala internazionale mettono questo tema al centro delle loro richieste. Un altro aspetto della discussione che si sta sviluppando a livello mondiale ed è ben seguito dai media stranieri riguarda quanto i cambiamenti climatici potranno essere fermati da innovazioni tecnologiche (più o meno futuribili - dalla cattura e immagazzinamento del carbonio ad enormi specchi lanciati in orbita - su cui le associazioni ambientaliste sono assai scettiche) e quanto sia invece inevitabile una riconversione del nostro stile di vita, come in molti ormai sostengono.
(Rispondi)
 
 
santinazs
santinazs il 27/12/09 alle 21:34 via WEB
L' hanno già soprannominata Flopenaghen. La capitale danese doveva diventare il luogo-simbolo di un rinnovamento epocale nelle politiche ambientali: sembra invece destinata a essere ricordata come la città del fallimento nella breve storia delle conferenze internazionali sul clima. «Tanti saluti da Copenaghen» potrebbe essere la scritta sotto le foto dei delegati addormentati sulle scrivanie. Dopo due settimane di negoziati - e dopo aver attraversato oceani di retorica ecologista - 100 leader mondiali hanno infatti raggiunto un accordo che è stato giudicato da scienziati e ambientalisti «meno del minimo» a cui si poteva aspirare. Bill Emmott, sul Corriere di ieri, ha contestato questa lettura sottolineando come l' intesa (pur non vincolante) «riconosciuta» da tutti gli Stati presenti alla Conferenza Onu costituisca un primo passo politico fondamentale: solo negli ultimi cinque anni - ha scritto Emmott - molti governi hanno cominciato a prendere sul serio i rischi di un profondo cambiamento climatico. E' già tantissimo, quindi, aver coinvolto Cina, India, Brasile e Sudafrica accanto all' America. Potremo giudicare con il tempo chi ha interpretato meglio il valore delle tre pagine scarse in cui è stato raccolto il «Copenhagen Accord», ma - in attesa del secondo e del terzo passo che i Paesi e le organizzazioni internazionali sapranno o vorranno compiere - chiediamoci sin d' ora che cosa possiamo fare noi nella semplicità delle nostre vite quotidiane. Una catena di piccoli gesti può essere la risposta a Flopenaghen. Certo, non basterà a fermare il cambiamento climatico, a ridurre le emissioni, a tenere il riscaldamento del Pianeta sotto la barra dei 2 gradi, ma se non altro farà crescere una coscienza ecologica diffusa che alla fine arriverà a premere sulle scelte dei governi e troverà spazio tra le righe dei documenti ufficiali. Nessuna trincea fondamentalista, piuttosto un codice individuale di cose possibili. Dalla doccia del mattino a tv e stereo spenti di notte, dall' abitudine a non lasciare accesa la luce quando si abbandona una stanza al flussometro per il controllo dei consumi di acqua, dalla raccolta differenziata da rispettare in casa come in ufficio a una maggiore attenzione per il cibo che spesso sprechiamo come se non rappresentasse più un valore. Si può cercare di diventare eco-sostenibili senza dover rinunciare a nulla, al contrario acquisendo un' ecologia dei gesti quotidiani che aumenterà il nostro senso di responsabilità personale e di conseguenza il benessere reale delle comunità alle quali apparteniamo. Un risultato è garantito: questa rivoluzione semplice, questo ripensare le nostre giornate riscattandole dalla superficialità e dall' incuria migliorerà la qualità della nostra cittadinanza e irrobustirà il nostro senso civico oggi messo alla prova da ogni rifiuto gettato per strada come da ogni atto di maleducazione. Basta poco. Ma è moltissimo.
(Rispondi)
 
 
 
elvia4
elvia4 il 27/12/09 alle 22:23 via WEB
Gli oceani e gli abitanti dell'oceano saranno inevitabilmente esposti agli impatti del surriscaldamento globale e del cambiamento climatico. Secondo gli scienziati, il surriscaldamento globale determinerà un innalzamento della temperatura delle acque e del livello del mare e il cambiamento delle correnti.
(Rispondi)
 
luigiarusso
luigiarusso il 27/12/09 alle 21:28 via WEB
LE MOBILITAZIONI INTERNAZIONALI E IL RUOLO ATTIVO DELLE ASSOCIAZIONI Un po' come le passate generazioni si erano formate sulla contraddizione di 8 grandi capi di stato che decidevano per 6 miliardi di persone oppure sul fatto che i 3/4 del pianeta avevano a disposizione solo 1/4 della ricchezza mondiale, così oggi un'intera nuova generazione di giovanissimi attivisti, soprattutto nel Nord Europa, si sta formando sull'assunto che la crisi climatica è lo specchio di ciò che non funziona nell'attuale sistema economico mondiale. Secondo questa lettura mentre sono i paesi di prima industrializzazione ad essere stati i massimi responsabili delle emissioni di CO2 in atmosfera, causando il buco dell'ozono e l'effetto serra, ora sono essi stessi a chiedere ai paesi industrializzatisi successivamente - Cina ed India in primis, ma anche i paesi latinoamericani - di bloccare le proprie emissioni ai livelli attuali e di limitare il proprio sviluppo. Intanto sono le popolazioni più povere del pianeta a subire, senza alcuna protezione, gli effetti più devastanti della crisi climatica. Le inondazioni colpiscono le coste e le zone agricole del sud del mondo, dove la popolazione coltiva per vivere; si diffondono le malattie tropicali; la produzione di agro combustibili (da sostituire nei veicoli a motore ai combustibili fossili come il petrolio) porta alla riconversione delle coltivazioni causando un aumento considerevole del costo dei prodotti agricoli per l'alimentazione. Conseguentemente, spetterebbe alla comunità internazionale assumere scelte più forti, distribuendone i costi su tutti i paesi, assicurando che i paesi più sviluppati trasferiscano tecnologia ai paesi più poveri e sostengano i costi della mitigazione del riscaldamento climatico e dell'adattamento. L'Arci fa parte della rete internazionale "Climate Justice Now!" - "Giustizia climatica adesso!" che ha l'obiettivo di mettere in rete le comunità che in tutto il mondo subiscono gli effetti nefasti dei cambiamenti climatici, insiemi alle piccole e grandi associazioni ambientaliste, ai movimenti sociali, alle ong e ai soggetti della cittadinanza attiva, per sensibilizzare l'opinione pubblica nazionale e mondiale e per fare pressione sui rappresentanti della comunità internazionale. LO STATO DELLA DISCUSSIONE IN ITALIA Il governo italiano ha un atteggiamento a dir poco contraddittorio: se all'inizio di aprile il Senato ha approvato una mozione "negazionista" che, richiamando il riscaldamento di Plutone, negava che ci fosse in atto un riscaldamento della terra, a fine aprile presiedendo il G8 sull'Ambiente svoltosi a Siracusa la Ministra Prestigiacomo si è dichiarata impegnata a combattere i cambiamenti climatici ed ha poi riconosciuto che "la quasi totalità della comunità scientifica ritiene che i gas serra ne sono una causa determinante" rinviando però l'analisi su se e come gli obiettivi di Kyoto potranno essere raggiunti. Analogamente il governo ha prima cancellato le agevolazioni per le ristrutturazioni immobiliari a carattere ambientale - per l'efficienza energetica - che il governo Prodi aveva previsto con il 55% della detraibilità fiscale, per poi reintrodurle, viste le pressioni di tante associazioni di cittadini ma anche di tante aziende, spalmando però la detraibilità su un periodo più lungo. La discussione politica italiana ha soltanto sfiorato questi temi. Neppure le forze del centrosinistra e della sinistra sono riuscite a dare alle questioni climatiche e ambientali la centralità che meriterebbero e che effettivamente hanno in altri paesi. Anche l'opposizione stenta a chiamare il governo in causa rispetto alla difficoltà di raggiungere quantomeno gli obiettivi di Kyoto. LA RETE ITALIANA 'IN MARCIA PER IL CLIMA' L'Arci fa parte della rete nazionale "In marcia per il clima", di cui sono parte tutte le principali organizzazioni ambientaliste (da Legambiente a WWF, a Greenpeace), oltre ai tre sindacati confederali e a tantissime associazioni della società civile - dalle Acli alla Uisp, alle associazioni studentesche, alla organizzazioni degli agricoltori, alla Lega Pesca, a molte altre associazioni che hanno riconosciuto la centralità di questo tema. La coalizione ha avuto il merito di promuovere la marcia/manifestazione di Milano del 7 giugno 2008 (da cui ha poi preso il nome) e che è stata una delle più partecipate iniziative sul tema del clima. Ha poi proseguito la propria attività producendo documenti indirizzati agli attori istituzionali e politici e in qualche occasione, attraverso la carta stampata, anche al grande pubblico. Ha organizzato inoltre eventi informativi e di pressione politica in occasione del vertice del G8 sul clima nell'aprile scorso a Siracusa. Oggi sta lavorando ad un appello per il clima che rivolgerà al Parlamento italiano ed ha organizzato una due giorni di eventi di sensibilizzazione nelle città italiane per il 12 ed il 13 dicembre. In contemporanea alle iniziative di mobilitazione della società civile internazionale a Copenhagen, eventi locali di informazione e sensibilizzazione sull'importanza, per i cittadini e le istituzioni, di impegnarsi per fermare il surriscaldamento della terra. COSA POSSIAMO FARE DI UTILE? PARTIAMO DA NOI STESSI... Il ruolo dell'Arci non è certo quello di competere con le associazioni prettamente ambientaliste. Tuttavia, nella consapevolezza del fatto che queste sensibilità potranno avere successo solo nella misura in cui usciranno dall'ambito degli addetti ai lavori, il nostro ruolo può essere quello di continuare a dare un contributo nelle reti nazionali ed internazionali per imporre le tematiche ambientali al centro dell'agenda politica, e soprattutto quello di svolgere appieno la funzione educativa di una grande organizzazione popolare della cittadinanza attiva: 1) informare i propri soci e i cittadini sui benefici del risparmio energetico, della coibentazione, dei consumi attraverso i gruppi di acquisto solidale e la filiera corta (minimizzando il consumo di energia per le attività di immagazzinamento e trasporto) 2) valorizzare e promuovere pratiche virtuose che autonomamente tanti circoli hanno portato avanti in questi anni: l'installazione di pannelli solari termici o fotovoltaici, le iniziative di minimizzazione degli sprechi (riduttori di flusso per l'acqua, cassette a doppio tasto per i WC) e degli imballaggi (negli acquisti e attraverso la promozione dell'acqua dell'acquedotto e delle bibite alla spina), la coibentazione e la sostituzione delle superfici vetrate, la promozione di servizi quali l'autostop organizzato o il car pooling. 3) favorire la crescita di gruppi di acquisto solidale all'interno dei circoli; promuovere iniziative, come Primaverabio, di messa in contatto dei cittadini con le aziende agricole presenti sul proprio territorio 4) favorire la stipula di contratti di energia elettrica "verde" proveniente da fonti rinnovabili da parte dei circoli e degli stessi soci 5) promuovere presso le amministrazioni locali il potenziamento dei servizi di trasporto pubblico e le infrastrutture per i ciclisti (percorsi ciclabili, installazioni di rastrelliere) Uno dei primi obiettivi dell'Arci è realizzare una mappatura virtuale, aggiornabile di volta in volta, delle pratiche positive che tante associazioni o tanti circoli hanno messo in campo. Dobbiamo moltiplicare le iniziative nei nostri circoli, quali le cene a Km zero, proiezioni di film e presentazioni di libri; suggerire a soci e cittadini determinati libri o film da regalare per il periodo natalizio. Insomma tutto quanto può fornire occasioni per informare e stimolare discussione su questi temi, con l'obbiettivo di dimostrare che è possibile, anche attraverso le nostre scelte quotidiane, modificare il modello di sviluppo e gli stili di vita contribuendo a garantire un futuro al pianeta.
(Rispondi)
 
santinazs
santinazs il 27/12/09 alle 21:35 via WEB
Archivio storico Mini-accordo sul clima, i Paesi poveri insoddisfatti «Riconosciuto» ma non approvato il documento finale Unione Europea Esclusa dal negoziato, ha accettato l' intesa soltanto alcune ore dopo l' annuncio DA UNO DEI NOSTRI INVIATI COPENAGHEN - Il giorno dopo il «disaccordo storico» di Copenaghen sono molti a soffrire dei postumi di una sbornia venuta male. Il patto «riconosciuto» ma non approvato dai 193 Paesi presenti alla Conferenza Onu sui cambiamenti climatici non piace a nessuno. È probabilmente vicino al limite massimo di quello che si poteva ottenere, ma proprio per questo è un colpo ancora più duro per i governi che si erano battuti per un accordo ambizioso, per le Nazioni Unite, per gli scienziati, per gli ambientalisti e per le organizzazioni non governative. Avrà effetti politici di lungo periodo. Quello che è stato chiamato «Copenhagen Accord» è un documento di nemmeno tre pagine, risultato di un processo di negoziati durato due anni e terminato con due settimane di iperbolica Conferenza nella capitale danese. Minimo nei contenuti: di concreto promette denaro ai Paesi più poveri per aiutarli a mitigare le emissioni e adattarsi alle catastrofi provocate dal climate change. Per il resto è generico. Inoltre, non è vincolante: ieri, il segretario generale dell' Onu Ban Ki-moon, mentre lo giudicava un primo passo positivo, ha chiesto che lo diventi. I punti lasciati fuori sono i più importanti: la portata dei tagli, sia per i Paesi sviluppati che per quelli in via di sviluppo; il tipo di accordo, decisivo per capire quali impegni formali prende ogni Paese; se e quando si potrà arrivare a un trattato vincolante (le speranze sono ufficialmente per il 2010 ma sembra molto improbabile, vista la distanza tra le parti). Anche l' accordo sulla protezione delle foreste, che sembrava cosa fatta, è stato «dimenticato» dal documento. Il risultato è insomma inferiore al minimo che i promotori della Conferenza si aspettavano. Ora, occorrerà riprendere le fila della questione effetto serra: ma non necessariamente puntando sul taglio globale delle emissioni - sul quale accordi è difficile farne - ma su strategie diverse. Già verso la metà dell' anno prossimo, la cancelliera Angela Merkel organizzerà un vertice in Germania per cercare di rilanciare il processo: le aspettative erano così alte da rendere la caduta dolorosa. Anche il modo in cui il «Copenhagen Accord» è stato raggiunto lascerà ferite. Un' intesa raggiunta dal presidente americano Barack Obama con il primo ministro cinese Wen Jiabao, dopo ore di scontro, e poi accettata da India, Brasile, Sudafrica: superpotenza dominante, superpotenza in formazione più emergenti. Gli altri non hanno potuto che accettare. Alla fine, tra venerdì notte e ieri pomeriggio, l' Unione Europea era irritatissima e ha accettato il dato di fatto solo ore dopo l' annuncio, quando il presidente Usa se n' era ormai andato senza salutare. Dal presidente José Manuel Barroso ai capi di Stato e di governo, in particolare Nicolas Sarkozy, tutti sono rimasti di sasso di fronte all' accordo pallidissimo voluto da Obama - secondo molti soprattutto per salvare la sua reputazione di dealmaker - escludendo la Ue. Inconcepibile, alla vigilia, se si pensa che gli europei sono da anni l' avanguardia dei tagli ai gas serra e gli unici con obiettivi vincolanti di lungo periodo. Dal Parlamento europeo, inoltre, è venuta la richiesta di «riformare il metodo di lavoro dell' Onu con urgenza». Anche i Paesi più poveri erano tra il deluso e il furibondo per il risultato e per come è stato imposto da Washington e Pechino. Tanto che non lo hanno «approvato» ma solo «riconosciuto». Nell' assemblea plenaria un delegato sudanese ha paragonato il documento all' Olocausto. D' ora in poi, la strada della lotta ai cambiamenti climatici sarà difficilissima. La delusione e la constatazione che la strada scelta per il momento non ha sbocchi porterà forse a ripensare le strategie. Ma ci vorrà tempo: i fallimenti lasciano deboli.
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anonimo.sabino
anonimo.sabino il 28/12/09 alle 07:43 via WEB
...E varranno le nostre chiappe a salvare i nostri pronipoti?
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