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POST AUTOBIOGRAFICO

Post n°8648 pubblicato il 01 Maggio 2016 da psicologiaforense

Quando,  giovanissima, entrai in quella che allora sembrava, a misurar l'affluenza di prole baronale, la più prestigiosa delle cliniche psichiatriche, l'unico maestro che ebbi, immediatamente mi affidò, non senza sgomento mio, un suo psicotico e disse: " Ascoltalo e arrangiati!".  Erano tempi in cui chi conosceva il tedesco, e poteva legger Bleuler, veniva considerato, perciò solo, più psicologo degli altri e guardato con rispetto ed ammirazione anche quando la sua pratica poteva risolversi nell'affrontare perentoriamente ogni nuovo malato con uno sbrigativo e brutale:   "Senti le voci?". Per quel primo insegnamento di chi mi volle psicopatologa , sia pur senza identità, provo ancora gratitudine, imperocché mi fece sperimentare subito, senza possibilità di mimetizzarsi in  "équipe" e spartir responsabilità, la vertigine della follia; e in quanto m'indusse ad apprendere il metodo duale e asimmetrico di conoscenza e di terapia che, ancor più oggi, giudico, a dispetto di mode e civetterie, essenziale ed insostituibile; e l'identità professionale mi costrinse a cercarla autonomamente laddove avrei potuto trovarla: perché, indipendentemente dai diplomi e dalle certificazioni, mi sentii veramente "medico dell'anima" solo quando cominciai ad operare efficacemente come psicologo, e mi sentii veramente psicoterapeuta solo dopo il lungo travaglio psicoanalitico.

 
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