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RIFLESSIONE DELLA SERA, UN GRIDO NEL SILENZIO, VOGLIA DI VIVERE, VOGLIA DI MORIRE, UCCIDERE SE STESSI,

Post n°7879 pubblicato il 17 Aprile 2014 da psicologiaforense

il suicidio costituisce oggi un grave problema di sanità pubblica: nei Paesi occidentali rappresenta infatti la seconda-terza causa di morte nei giovani e l'ottava-nona nei soggetti anziani. Nel 2013 circa due milione di individui si è tolto la vita, mentre circa 30 milioni di persone hanno tentato il suicidio. Ciò significa, in media, una morte per suicidio ogni 20 secondi e un tentativo di suicidio ogni  secondo. Il suicidio è un atto complesso, non ascrivibile a una sola causa......

CONGEDARSI DAL MONDO

 

Il suicidio, come ho scritto altrove,  è il traguardo di un per­corso che comincia dal disagio:  un sentimento di non adeguatezza all'ambiente in cui si vive e di difficoltà nel comunicare con le persone che lo formano.  Il disagio è utile se si limita a mettere in allerta nell'affrontare una nuova situazione, diventa negativo se permane a lungo e genera insicurezza e paura. Allora l'ambiente stimola la fuga e non più il desiderio di adeguarvisi. Una fuga den­tro la psiche: progressivo disinteresse per tutto quanto accade attorno, ritiro dagli affetti per il timore di essere incapace di rispondervi. Ci si chiude, a poco a poco, in una rinuncia che comprende persino il desiderio di fa­re. Il ritiro dalla società e dagli affetti sa già di morte. Una morte psicosociale che permette al corpo di muo­versi cadavere, magari ben ordinato e vestito. Siamo abi­tuati a usare la parola morte solo quando scompare il corpo, ma in realtà sovente e già luttuoso perdere la propria affermazione psicologica e il desiderio di stabili­re relazioni con gli altri, come se nessuno avesse interes­se e bisogno di noi. La morte del proprio corpo libera l'esistenza da ogni pena, toglie da un vicolo cieco e buio da cui non si riesce a uscire, lasciando dietro di sé sol­tanto una scia dolorosa. Uccidere se stessi è il risultato di un fallimento del proprio adeguarsi al mondo: dall'accumulo di continue frustrazioni, fino alla convinzione che le gratificazioni rimangono desideri continuamente traditi.  E allora la vi­ta è male, o meglio «io sono male» come vivente...  

 
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