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Il pesto pugliese

Post n°2 pubblicato il 27 Dicembre 2008 da lucio.colizzi

E’ veramente tardi. Il gate numero 23 finalmente viene aperto per l’imbarco. L’hostess dell’Alitalia si scusa per il ritardo, questa volta dovuto al mancato arrivo dell’aeromobile: Il solito ritardo. Sono in fila stremato da una giornata intensa di incontri e riunioni. Le solite riunioni. Riesco ad aggiudicarmi il mio posto sull’aereo; il numero 23 A, almeno posso appoggiare la testa sul finestrino e fare una bella dormita per l’ora e mezza che mi separa dall’arrivo all’aeroporto di Brindisi. Terminato l’imbarco, finalmente si può partire. Le luci diventano diffuse e la manovra per l’approntamento alla pista è cominciata con una serie di istruzioni da parte del personale di bordo. Mi sono sempre chiesto perché invece di inserire un paracadute a testa sotto il sedile, ci mettono dei salvagente gonfiabili. Inclinando la testa sul lato destro, le palpebre cominciano a diventare pesanti e tutta la tensione e l’adrenalina accumulata dagli importanti confronti della giornata su come si progetta questo o quel sistema, si dissolve in una sensazione di leggera pesantezza cullata dal rombo dei motori.

Come attratto da un forza invisibile che mira a sconvolgere l’essenza del momento, il mio sguardo si abbassa per un attimo e si focalizza sulla tasca cucita sul sedile di fronte a me. Stendo la mano destra, aggancio la sacca con l’indice e tiro verso di me allungando la testa come se stessi guardando giù da un precipizio. All’interno le solite cose: le istruzioni su cosa fare in caso di incidente; un sacchetto da utilizzare per il mal d’aereo; un depliant che propone oggetti da acquistare e miglia da accumulare; e poi un giornale. Conosco questo giornale; viene stampato dalla compagnia aerea ogni mese, ed in ogni numero c’è sempre una città di cui si racconta la storia, l’arte, l’architettura e ovviamente la cucina e le tradizioni gastronomiche. Dalla foto di copertina, è evidente che questo mese è dedicato alla Sicilia, la madre del Mediterraneo. Incuriosito, estraggo il giornale e lo sfoglio dirigendomi subito al trafiletto dedicato alla gastronomia dell’isola. Il sole la fa da padrone, le splendide ed infinite materie prime, ma è molto interessante la parte dedicata al pesto siciliano ed a tutte le sue varianti.

In Sicilia questa salsa non ha radici storiche lontanissime come nel classico pesto genovese che deriva probabilmente già dai romani. Infatti Virgilio in un poemetto descrive il “Moretum” una salsa a base di aglio, formaggio, coriandolo e ruta. Per prepararla bisogna sbianchire (sbollentare) qualche spicchio di aglio in un pentolino, pastarli nel mortaio insieme a del pecorino (100 gr. di formaggio per ogni spicchio di aglio), del sedano, un pizzico di coriandolo in foglie e della ruta. Si amalgama il tutto aggiungendo un po' d'olio e di aceto ed aggiustando di sale. Probabilmente è il padre di tutti i pesti. Un’altra salsa è il Pistou tipico della Provenza, che invece è l’antagonista gemello del pesto alla genovese, anche se sembra che in una pubblicazione di uno chef francese dal nome J. Reboul del 1889, si riporta la ricetta della soupe pistou esordendo dichiarando esplicitamente che la salsa è di origine ligure. Viva l’Italia!

In Sicilia esistono tante varianti del pesto. Ad esempio il mataroccu, è una salsa tipica della zona di Marsala, lavorata nel mortaio e che si usa per condire gli spaghetti; viene preparata con gli stessi ingredienti del pesto, più foglie di prezzemolo e di sedano, pezzetti di pomodoro e pepe. In ogni caso la maggior parte delle ricette di pesto in Sicilia sono nate di recente, vuoi per necessità di avere piatti sani, genuini e nello stesso tempo mordi e fuggi, vuoi perché tanta materia prima trova il suo naturale impiego in salse che poi possono essere conservate anche per l’inverno. Interessante è il pesto di pistacchi, delizioso, e quello sfiziosissimo di pomodori essiccati, chiamato da qualcuno "pesto mediterraneo". C'è quello di finocchietti, con tutta la fragranza che questa essenza acquista se cresciuta nella terra e sotto il sole di Sicilia. C'è quello cosiddetto delle Lipari, dove a una base di mandorle granellate, pomodoro maturo frullato, una piccola forza d'aglio e olio extravergine d'oliva si aggiunge la fresca suggestione di qualche foglia di menta: altra delizia. Di pesti trapanesi, poi, ce ne sono diversi, l’articolo cita una versione con tantissimo aglio, mandorle granellate, basilico, pomodori freschi tagliuzzati e olio extravergine; un'altra simile, ma con un'idea di aglio e in più pinoli, prezzemolo, formaggio pecorino non stagionato; infine la terza, più semplice, con basilico, pomodoro, mandorle, olio, aglio e peperoncino. E poi, quello che è chiamato da alcuni produttori semplicemente "pesto siciliano", così, senza altre specifiche, un composto di basilico, prezzemolo, aglio, olio e peperoncino.

Chiudo la rivista tirando un respiro profondo e cercando di immaginare i profumi: di terra, di mare, di ortaggi, di erbe officinali ed aromatiche, di olio e di olive. Una domanda si insinua tra i miei neuroni, semplice, semplice, limpida ed ingenua: MA PERCHE’ LA PUGLIA NON HA UN PESTO?

E’ nato così il mio progetto “pesto pugliese” e qualcosa mi dice che il risultato è destinato a rimanere in eterno nella storia. Passata la voglia di dormire, prendo carta e penna attivando nello stesso tempo la fantasia ed i ricordi dei profumi e dei sapori delle materie prime pugliesi. Quali sono le caratteristiche che deve avere un pesto? Provo a tirare giù un elenco:

  1. Autoconsistente: nel senso che deve avere la sua dignità come salsa senza necessariamente aggiungere altri ingredienti. La prova principale di questa proprietà è quella di utilizzare la salsa come unico condimento per un piatto di spaghetti;

  2. Materie prime povere: vi immaginate quale destino può avere una salsa a base di caviale norvegese o tartufo bianco d’alba? Eccellente, ma dedicata ad un numero eccessivamente ristretto di fortunati nel mondo;

  3. materie prime rappresentative del territorio. Quando si parlerà del mio pesto si dovrà pensare alla Puglia e non al suo inventore. Fondamentale sarà costruire il set di ingredienti secondari intorno ad uno o pochi ingredienti principali che siano portavoce della gastronomia del territorio.

  4. Polivalente: è una marcia in più rispetto alla proprietà 1. Significa che oltre ad essere degna da sola non disdegna la compagnia di altri ingredienti come pesce, molluschi, frutti di mare, ortaggi. Anzi in taluni casi diventa un elemento tra tanti tutti devoti a suonare all’unisono la strabiliante orchestra del gusto;

  5. Abbinabile al vino. Qui devo ragionare su una nota tecnica. Tutti gli esperti sanno che il tentativo di abbinare un vino a qualcosa che tende verso l’acidulo (es. aceto per estremizzare) è arduo e talvolta impossibile. Quindi un buon pesto non deve presentare un eccessiva acidità, ma deve essere ben equilibrato tra componenti acide che forniscono principalmente freschezza e componenti grasse che si occupano del gusto.

  6. Semplicità nella preparazione. Viene da se che il pesto genovese ha vinto la sfida dell’immortalità ed ha oltrepassato le alpi grazie anche alla sua straordinaria semplicità nella preparazione: tutto in un mortaio, e via!

Costruire un pesto che abbia queste sei caratteristiche non è stato cosa semplice. Ben un anno di prove, affinamenti, abbinamenti, tecniche di cottura, ricerca di materie prime, assaggi, opinioni. Infine ecco il prodigio: la perfezione, il futuro e per sempre pesto pugliese. Gli ingredienti sono stati scelti scrupolosamente, tanto è che ne è nato un vero e proprio disciplinare, vediamoli uno per:

1)     Cime di rapa: le cime di rapa stanno al pesto pugliese come il basilico sta a quello genovese. Chi non conosce le nostre orecchiette e cime di rapa? Non si poteva scegliere di meglio, perché questo ortaggio ha portato il nome della nostra regione in giro per il mondo. Anche se derivano dalla rapa sono una varietà a se ed hanno tante di quelle caratteristiche organolettiche da dare al nostro pesto pugliese le potenzialità di un farmaco. In Puglia sono da sempre un ingrediente povero, ma secondo si può definire povero una materia prima che contene moltissimo calcio (97 mg), vitamina C (110 mg., il doppio delle arance bionde), vitamina A (225 mcg), vitamina B2 (0,16 mg), fosforo (69 mg) e una quantità considerevole di proteine (2,9 g)? Pensate che intuizione i nostri avi ad utilizzarle come sostituto della carne.
Sono ricchissime di antianemica
clorofilla, stimolano l'appetito e disintossicano l'organismo. Il consumo di cime di rapa è consigliato per le donne in gravidanza: contengono molto folato, utile per prevenire la spina bifida nel bambino.

Infine per convincervi definitivamente sulla scelta provate ad inserire sul motore di ricerca google “cime di rapa”, vi accorgerete che è sinonimo di Puglia.

2)     Pecorino Canestraio Pugliese DOP: nella ricetta del pesto Pugliese questo formaggio tipico del territorio è inserito a braccetto con una quantità analoga di Parmigiano Regiano, ed entrambi dovrebbero essere stagionati almeno un anno. L’accoppiata è meravigliosa!

   Il Canestrato Pugliese è stato riconosciuto D.O.C. con D.p.r. del 10 set. 1985 e D.O.P. nel 1996 con il reg. (Ce) n.1107/96 - è un formaggio a pasta dura non cotta, ottenuto da latte intero di pecora di razza gentile di Puglia probabilmente di ceppo merinos. Il vero Canetrato Pugliese si produce da dicembre a maggio, periodo questo legato alla transumanza dei greggi dagli Abruzzi alle piane del Tavoliere Pugliese. Il nome di questo formaggio deriva dai canestri di giunco pugliese, cosiddette fiscelle o panari (a seconda che ci si trovi a nord nel Barese o a sud nel Salento) entro cui lo si fa stagionare, i quali sono uno dei prodotti più tradizionali dell'artigianato pugliese. La lavorazione del Canestrato Pugliese avviene con una procedura caratteristica derivante dalla tradizione casearia meridionale. Nel periodo di lavorazione le forme, che possono pesare da 7 a 14 chili, racchiuse nei tipici canestri, che assicurano quella caratteristica rugosità della crosta, vengono pressate per fare fuoriuscire l'umidità in eccesso.

Le salature del Canestrato Pugliese, rappresentano un ulteriore passaggio fondamentale, sono fatte a secco, spargendo il sale grosso, tipico delle saline di Margherita di Savoia, attorno alla forma. Il prodotto così ottenuto trova il suo utilizzo sia giovane che maturo, il suo sapore più delicato nel fresco e più intenso nell'altro, deriva oltre che dal tipo di pascolo e dal latte, principalmente dal caglio di agnello essiccato e con molta cura conservato con bucce secche di aranci, limoni e foglie di ortica.

3)     Mandorle di Puglia: 

In Puglia la mandorla è tra i principali protagonisti della pasticceria sotto forma di Pasta Reale (con cui si fanno gli agnelli ed i pesci di Pasqua) e “torte rosate" in particolare, ma è consumata anche al naturale, da sgranocchiare semplicemente dopo una leggera tostatura che la priva della buccia, magari accompagnata anche dalla sparracina, ovvero una bottiglia di Negroamaro sulla cui sommità è ben piantato un mazzetto di foglie di sedano: giusto per dissetarsi bevendo alla canna. Un altro rito è quello delle spiagge d’estate, chi è stato nel Salento sulla costa Gallipolina od Otrantina avrà sicuramente incontrato il venditore di rinfresco che grida a squarciagola:cocco freeescooo…..mandorla frescaaaaa!!!”

Per il nostro pesto pugliese, riscopriamo questo ingrediente come elemento di piatti salati, applicazione che si è persa nel tempo ma molto diffusa in passato.

La mandorla arriva da molto lontano. In Puglia arriva grazie dall’Asia portata dai fenici. La leggenda più famosa è forse quella legata alla guerra di Troia. "Gli antichi Greci narravano che Fillide, una principessa Tracia, incontrò Acamante, figlio di Teseo, sbarcato nel suo regno per una sosta durante la navigazione verso Troia. I due giovani, si innamorarono perdutamente, ma Acamante fu costretto a proseguire con gli Achei per combattere nella guerra di Troia. La giovane principessa, dopo aver atteso dieci anni che finisse la guerra, non vedendolo tornare con le navi vittoriose si lasciò morire per la disperazione. La dea Atena, commossa da questa struggente storia d'amore, decise di trasformare Fillide in uno splendido albero di mandorlo. Acamante, che in realtà non era morto, quando seppe che Fillide era stata trasformata in albero abbracciò Fillide-pianta, che per ricambiare le carezze fece prorompere dai suoi rami fiori anziché foglie. Quell'abbraccio si ripete ogni anno a primavera.". Esiste un’altra versione di questa leggenda, in cui il protagonista è il fratello di Acamante: Demofoonte.

In provincia di Bari, la mandorlicoltura è diffusissima e ha influenzato profondamente sia la conformazione del paesaggio agrario sia la cultura popolare: basti pensare al patrimonio di canzoni contadine pugliesi legato alle lunghe e laboriose operazioni di smallatura. In particolare sul territorio del comune di Toritto, al confine tra pre-Murgia e Alta Murgia, si sono sviluppare varie cultivar autoctone che portano il nome di antichi cittadini torittesi. E alcune di queste hanno resistito all'invasione delle più produttive varietà californiane. Si tratta di mandorle che portano il nome di illustri cittadini torittesi: la “Antonio De Vito", la Genco e la “Filippo Cea" (di cui sopravvive la pianta “madre" in località Matine di Toritto). Quest'ultima, in particolare, è ancora diffusa nei mandorleti e presenta caratteristiche di eccellenza: un alto contenuto in olio e acidi grassi polinsaturi, una bassissima acidità e una sapore intenso ma, allo stesso tempo, equilibrato, con note di burro finali. Non dimentichiamo poi le altre varità che sono diffuse anche in altre regioni del meridione come la Tuono, con la quale ho provato a realizzare il mio pesto con risultati eccellenti.

Infine ecco la famigerata ricetta:

Ingredienti:

1 kg di Cime di Rapa freschissime

100 gr di Mandorle (di Toritto, Tuono o Pizzuta d’Avola)

100 gr di Pecorino Canestraio Pugliese DOP molto stagionato

50 gr di Parmigiano Regiano stagionatura 12 mesi

10 cl di Olio extravergine d’Oliva Pugliese (meglio se di Terra d’Otranto)

Sale e pepe quanto basta

Procedimento:

1)     Sbollentare le cime di rapa per alcuni minuti in acqua bollente e raffreddarle subito in una bacinella con acqua e ghiaccio (il nome tecnico di questa procedura è sbianchire. Questo procedimento è fondamentale, poiché il freddo del ghiaccio oltre a bloccare la cottura della cima di rapa ne esalta la clorofilla e quindi il colore che diventa magicamente di un verde brillante;

2)     Sbriciolare le mandorle e tostarle per alcuni minuti con una pentola antiaderente fino a quando la cucina non si riempirà del tipico profumo degli oli essenziali;

3)     A questo punto frullare o pestare in un mortaio tutti gli ingredienti con l’esclusione dei formaggi: Cime di rapa sbianchite, aglio (piccolo trucco. Se volete attenuarne il sapore provate a sbianchirlo), mandorle tostate, sale, pepe, olio extravergine d’oliva;

4)     Mettete il composto in una ciotola ed aggiungere i due formaggi grattugiati. Se la salsa dovesse risultare troppo densa, non è proibito aggiungere qualche goccio d’acqua rigorosamente fredda.

Nel prossimo post vi darò alcune ricette da realizzare con il mio pesto di cime di rapa!! A presto ….

Ho rivevuto un sacco di email che mi chiedono un filmato sulla preparazione corretta del Pesto Pugliese (vi prometto che arriverà presto !) 

  

 

 

 

 
 
 
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Un blog di: lucio.colizzi
Data di creazione: 27/12/2008
 

FOTOGRAFIA GASTRONOMICA

Il mio piatto dal titolo "Il Porcino di Mare" ha vinto il concorso nazionale fotografia gastronomica "anche l'occhio" 2007.

Il Porcino di Mare

 






 





 

 





 





 





 
 




 

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