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CIAO GIOVANNI ... MENEGI53

Post n°19135 pubblicato il 26 Aprile 2015 da dinobarili
 

CIAO GIOVANNI ...

MENEGI53

menegi53
menegi53 il 25/04/15 alle 19:19 via WEB
Bello il post Dino, mi è piaciuto anche per quel che di mutamento che la curva della vita dopo l'ascesa al massimo riserva nella sua discesa inesorabile. Un pizzico di malinconia in un finale molto bello e particolare. Un abbraccio e un buon sabato!
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dinobarili
dinobarili il 26/04/15 alle 09:19 via WEB
Ciao Giovanni - ricordi quella canzone di tanti anni fa? "Nella vita tutto è gloria ... passa, e va" Buona e felice domenica. Dino
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iltuonoilgrillo
iltuonoilgrillo il 26/04/15 alle 09:23 via WEB
CIBO E LETTERATURA ----Il pranzo di Babette è un racconto scritto nel 1950 da Karen Blixen (autrice anche di La mia Africa), nel quale un’ex cuoca francese fuggita dalla sua patria perché accusata di essere una rivoluzionaria, trova ospitalità presso due sorelle non sposate che vivono in un piccolissimo paese norvegese. Le due donne, figlie di un pastore seguace di una confessione particolarmente rigida del protestantesimo, conducono una vita molto sobria e accolgono Babette con loro come governante. Dopo alcuni anni, Babette vince il premio di una lotteria francese, 10.000 franchi, una somma ragguardevole che le avrebbe permesso di ritornare in Francia a condurre una vita agiata. La donna, invece, decide di preparare un pranzo in ricordo del padre delle sue anziane ospiti, di cui ricorre il centesimo anniversario della nascita, invitando i dodici abitanti del villaggio. Il pranzo è sontuosissimo, a dispetto della sobrietà nella quale sono vissute le sorelle e i loro compaesani, e richiede giorni di preparazione e ingredienti selezionatissimi che Babette si fa mandare dalla Francia (foie gras, tartufi ecc.). Il risultato è fenomenale, degno di quella grandissima cuoca che si rivela essere Babette, che viene a spendere interamente la cifra vinta alla lotteria per la gratitudine che prova verso le persone che l’hanno accolta e le hanno dato un tetto in tutti questi anni. Il generale Loewenhielm, che sospettava un poco di quel vino, ne bevve un sorsetto, sussultò, sollevò il bicchiere prima all’altezza del naso e poi degli occhi, e lo posò poi, sbalordito. “Che strano!” pensò. “Amontillado! E del miglior Amontillado che abbia mai assaggiato”. Dopo un attimo, per mettere alla prova le reazioni del suo gusto, prese una mezza cucchiaiata di minestra, poi una cucchiaiata piena, e posò il cucchiaio. “È veramente strano!” disse a se stesso, “perché sto certamente bevendo brodo di tartaruga... e che brodo di tartaruga!” [...] Quando fu servita una nuova pietanza rimase in silenzio. “Inaudito!” disse a se stesso, “questo è Blinis Demidoff!” Si guardò intorno, osservò i suoi compagni di tavola. Mangiavano tutti calmi calmi il loro Blinis Demidoff, senza dar mai segno di stupore o di approvazione, come se lo avessero mangiato ogni giorno per trent’anni di fila [...] Il generale Loewenhielm posò di nuovo il bicchiere, si rivolse al suo vicino di destra e gli disse: “Ma questo è certamente un Veuve Cliquot 1860!” Il vicino lo guardò cortesemente, gli sorrise e fece un’osservazione sul tempo. (K. Blixen, Il pranzo di Babette) ----Ciao Teresa Ramaioli
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iltuonoilgrillo
iltuonoilgrillo il 26/04/15 alle 09:24 via WEB
Ciao Dino, Marcel Proust nella "Ricerca del tempo perduto" descrive come il sapore di un piccolo dolce, la madeleine inzuppata in un infuso, sia in grado di risvegliare nell’autore una serie di ricordi legati al passato. E appena ebbi riconosciuto il sapore del pezzetto di madeleine, inzuppato nel tiglio, che mi dava la zia (benché non sapessi ancora, e dovessi rimandare a molto più tardi la scoperta del motivo per cui quel ricordo mi rendesse tanto felice), subito la vecchia casa grigia sulla strada, dove era la sua camera, si adattò, come uno scenario di teatro, al piccolo padiglione che dava sul giardino, costruito sul retro per i miei genitori (quel lato tronco che solo avevo rivisto fin allora); e con la casa, la città, da mattina a sera, e con qualsiasi tempo, la piazza dove mi mandavano prima di pranzo, le vie dove andavo a far delle compere, i sentieri in cui ci si inoltrava se il tempo era bello. E come in quel gioco, che piace ai Giapponesi, che consiste nell’immergere in una ciotola di porcellana piena d’acqua dei pezzetti di carta fino allora indistinti che, appena bagnati si distendono, si rigirano, si colorano, si differenziano, diventano fiori, case, figure umane consistenti e riconoscibili; così, ora, tutti i fiori del nostro giardino e quelli del parco di Swann, e le ninfee della Vivonne, e la brava gente del villaggio e le loro piccole case e la chiesa e tutta Combray e i suoi dintorni, tutto questo che sta prendendo forma e solidità, è emerso, città e giardini, dalla mia tazza di tè. (M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto). Buona lettura Teresa Ramaioli
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