« ANNAMARIA...E LE LEZIONI DI VITAIL GIORNO DOPO FERRAGOST... »

IL DRAGO TARANTASIO di Teresa Ramaioli

IL DRAGO TARANTASIO 

di

Teresa Ramaioli

iltuonoilgrillo
iltuonoilgrillo il 16/08/14 alle 18:22 via WEB
-IL DRAGO TARANTASIO---Secondo le leggende popolari, il lago Gerundo chiamato anche mare per la sua vastità, pare si trovasse fra i bacini dei fiumi Adda, Oglio e Serio, comprendeva il territorio fra Lodi, Piacenza, Cremona e Bergamo e aveva una grande isola centrale. Le testimonianze scritte accennano semplicemente ad una zona lacustre insana, mentre la tradizione orale è ricca di racconti. Alcune ricerche geologiche rendono l’esistenza di questo lago più che possibile. La zona indicata è caratterizzata da una base ghiaiosa coperta di terra e potrebbe indicare la presenza di un lago prosciugato prima del Medioevo grazie alle ripetute bonifiche e canalizzazioni. All'inizio del XIV secolo i tre fiumi esondarono e allagarono nuovamente le zone che erano state prosciugate. Dalle acque del Mar Gerundo uscì un drago che chiamarono Tarantasio. Il mostro terrorizzava gli abitanti, il suo fiato ammorbava l'aria e causava una malattia chiamata febbre gialla. Si riteneva che il mostro distruggesse le barche e divorasse i bambini. La leggenda dice che San Cristoforo fece un miracolo, sconfisse il drago, le acque si ritirarono e nella palude prosciugata, fu trovata una “costola colossale” che il popolo ritenne essere parte del Drago. Ancora oggi nella sacrestia della chiesa parrocchiale di San Bassiano è custodita la famosa costola, che però pare sia di un bisonte o comunque di un fossile. A testimonianza dell’evento resta il nome di una frazione di Cassano d'Adda denominata Taranta. Secondo un’altra leggenda fu il capostipite dei Visconti che uccise il drago e poi adottò come simbolo del casato il biscione con il bambino in bocca. La leggenda del drago del Lago Gerundo fu fonte di ispirazione per lo scultore Luigi Broggini che pensando a Tarantasio ideò l'immagine del cane a sei zampe, marchio simbolo dell'Eni. Ciao Teresa Ramaioli

Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
La URL per il Trackback di questo messaggio è:
https://gold.libero.it/paviastoria/trackback.php?msg=12925098

I blog che hanno inviato un Trackback a questo messaggio:
 
Nessun Trackback
 
Commenti al Post:
iltuonoilgrillo
iltuonoilgrillo il 17/08/14 alle 09:07 via WEB
PESTE -Le epidemie di peste tra il ‘300 e la fine del ‘600 decimarono la popolazione dell’Europa. . Il ratto nero diffondeva le pulci responsabili della peste . Dove continuavano ad albergare i ratti neri (soprattutto nei porti e località marittime) la peste bubbonica era sempre in agguato, mancavano mezzi efficaci per circoscriverla. A Venezia furono adottate ordinanze e dettami di natura igienica, come lavare muri con abbondante aceto, confinare i contagiati nei lazzaretti. Venezia, per il proprio sviluppo, non poteva rinunciare ai commerci con i porti orientali. Il primo lazzaretto risale al 1423 (circa). I lazzaretti non erano dei veri ospedali, e a prendersi cura dei malati, spesso senza speranza, erano monaci, suore e qualche sopravissuto alla peste. Le cure prestate servivano a poco. Molto usato era il salasso per procurare la purificazione del corpo, in verità era proprio questa pratica ad accelerare la morte. Gli ammalati dovevano rimanere nel digiuno totale, oppure mangiare solo determinati cibi e pochi liquidi. Sembra che ai più forti e meno colpiti dalla malattia fosse offerto pane bagnato con aceto, fichi secchi e noci tritate, perchè considerati cibi di alto valore nutritivo. Ricorrenti erano le zuppe di acetosa cotta in brodo di cappone speziato con cannella, l’orzo addolcito e le mandorle trite condite con miele caldo. Bevevano acqua aromatizzata con aceto e spezie. L’aceto era considerato utile sia per disinfettare sia per curare. Dai pasti mancavano frutta e verdure fresche che sarebbero state importanti per il loro contenuto vitaminico. Senza antibiotici e vitamine era dura superare la malattia. Le guarigioni erano poche, e considerate miracoli della provvidenza. Con le scoperte della scienza, si è costatato che una dieta a base di fibre e frutta è preferibile ad una proteica (carne e formaggi), inoltre, l’assunzione di acqua è fondamentale per sopperire alla perdita di liquidi causata dalla febbre. Ora sappiamo che una corretta alimentazione non solo è necessaria per sconfiggere il male, ma è fondamentale per prevenirlo. Ciao Teresa Ramaioli
(Rispondi)
iltuonoilgrillo
iltuonoilgrillo il 17/08/14 alle 09:20 via WEB
ZAFFERANO--Lo zafferano è stato usato per profumare, tingere tessuti, dipingere, curare malattie, colorare alimenti e insaporire vivande. Pianta erbacea originaria dell'Asia minore, ricordata in un papiro egiziano del 1550 a.C. La mitologia greca ne attribuisce la nascita all’amore ricambiato di un bellissimo giovane di nome Crocus, che viveva al riparo degli Dei, per una ninfa di nome Smilace che però era la favorita del Dio Ermes. Il Nume, per vendicarsi di Crocus, trasformò il giovane in un bulbo. Nel IX e XII libro dell’Iliade si narra di come Isocrate facesse profumare i guanciali con zafferano prima di andare a dormire, e di come le donne troiane lo usassero per profumare i pavimenti dei templi. Durante l’impero romano, aumentò la produzione di zafferano. Il lusso dell’epoca diede al croco una notevolissima importanza, e con esso erano profumate le abitazioni e i bagni imperiali. Con la caduta dell’Impero Romano la popolarità dallo zafferano venne meno, e la sua coltura sopravvisse in Oriente, nell’impero di Bisanzio, e nei paesi arabi. Attorno all'anno mille furono gli Arabi che ne reintrodussero in Europa la coltivazione attraverso la Spagna. Fino al Medioevo le pianta aveva il nome di croco, poi gli arabi lo cambiarono in za'faran in riferimento al colore giallo assunto dagli stimmi dopo la cottura. Nella cucina medioevale e rinascimentale lo zafferano veniva impiegato come antidoto contro tutti i mali. Un tempo possedere zafferano era una vera prova di ricchezza, per ottenere un chilo di stimmi necessitano duecentomila fiori. In alcune aree del sud Italia c’è una tradizione secondo la quale per augurare felicità agli sposi viene cosparso il letto nuziale di fiori di croco. Ciao Teresa
(Rispondi)
iltuonoilgrillo
iltuonoilgrillo il 17/08/14 alle 12:52 via WEB
IL SIGNOR BONAVENTURA nasce dalla fantasia di Sergio Tofano, in arte STO, artista poliedrico, attore, regista, disegnatore, poeta. Fu il Corriere dei piccoli, supplemento a colori x bambini, del Corriere della sera, a chiedere a STO un nuovo personaggio. Con un segno fatto di linee semplici ed eleganti, creò questa figura, dalla caratteristica marsina e bombetta rossa, i larghi pantaloni bianchi e il fedele cane bassotto giallo. La sua pria comparsa avvenne il 28 ottobre 1917, sul numero 43 del Corriere dei piccoli. Il fumetto si presentava a tutta pagina, divisa in otto vignette, ognuna delle quali riportava in didascalia i testi. Testi scritti dallo stesso STO e composti da distici ( strofe di due versi) di ottonari(versi di otto sillabe metriche) a rima baciata. L’ottonario è stato definito ‘il verso più appiccicoso della lingua italiana ‘ perché la sua accentazione non ti si leva più dalla testa, molto usato nelle filastrocche. Le storie di Bonaventura seguivano sempre lo stesso copione, una disavventura iniziale del protagonista si trasformava in un beneficio per qualcun altro, che poi ringraziava sempre con una banconota da un milione grande come un lenzuolo. Il fedele compagno di Bonaventura è un cane bassotto giallo, sempre presente nelle sue avventure. C’ è il bellissimo Cecè figura presa, come omaggio, da un personaggio di una commedia di Pirandello del 1913. Un disegnatore che dirà di se stesso ‘ho usato più la gomma che la matita‘.Il Signor Bonaventura ha affascinato e accompagnato generazioni di fanciulli, uno dei fumetti di maggior successo della prima metà del ‘900. Cessò negli anni 60, fu ripreso negli anni 80 da atri disegnatori che simpaticamente per tenerlo al passo coi tempi, cambiarono un milione con un miliardo, e lo stesso riportato ancora al milione di euro recentemente. –Ciao Teresa Ramaioli
(Rispondi)
iltuonoilgrillo
iltuonoilgrillo il 17/08/14 alle 13:45 via WEB
GARIBALDI A PAVIA--Cleto Arrighi, il «principe» degli scapigliati milanesi, coordinò e diresse nel 1888 la pubblicazione di un'opera collettiva dal titolo Il ventre di Mi­lano. Sono due volumi pieni di vita, di personaggi, di aneddoti. Si legga ad esempio questa cronaca di un pranzo allestito a Pavia - in tutta fretta e con qualche problema organizzativo - per la venuta di Garibaldi Correva il 1861. Era il tempo degli entusia­smi per Garibaldi... I pavesi un giorno vengono a sapere che il grand'uomo doveva venir nella loro città a trovare la madre di Cairoli, e organizzano il banchetto... A tavola erano quattrocento. Sedevano nella grande sala a primo piano dell'albergo dei Tre Re di proprietà del signor Pietro Galli. Il menu del pranzo era stato dettato da quel De Vecchi, ... Lui s'era assunto di provvedere, di disporre, di ordinare. Ci dovevano essere tra gli altri piatti del branzino in bianco e delle pernici in salmì. Il signor Galli sulle prime si grattò in capo. Dove si pigliano lì per lì dei branzini e delle pernici per quattrocento garibal­dini, giovani pieni di valore ma anche di appetito? Eppure non si poteva far a meno. C'era in quel tempo a Pavia il signor Federico Carini, uno de' più strenui camerieri di albergo e di restaurant ch'io conosca. Egli è capace di servire quaranta persone, disperse in molti tavoli, da solo. Tant'è vero ch'egli è unico nel re­staurant della Porta Lunga in piazza Santo Stefano, frequen­tatissimo specialmente nelle domeniche, e nessuno si lamen­tò mai d'essere stato lasciato in dimenticanza. Egli è il Pico della Mirandola dei camerieri. Con lui stava anche un certo Baldi, che ora fa il mediatore. Carini fu chiamato dal Galli, il quale gli confidò d'aver preparati sessanta piccioni e venti fra trote e lucci, che dovevano passare per pernici e per bran­zini. Mancargli soltanto ventisei teste e ventisei code di vere pernici per la presentazione in tavola. Carini a queste finzio­ni non era nuovo certamente. Pure pensando che il trucco si doveva farlo a Garibaldi, sulla prima reagì. Ma necessità non ha legge. Il tempo stringeva. Per quattrocento persone ci volevano almeno sessanta pernici. E si sa bene che non si trovano sempre lì covate e a giusto punto sessanta pernici. Di teste e di code perniciose invece v'ha sempre buona scorta ne­gli alberghi. Vada dunque pei piccioni. Tanto e tanto il salmì saprà far miracolo. Si è cuochi o non si è cuochi? Garibaldi del resto non ne toccò. Egli mangiò due fettine di prosciutto, un'aringa, e un po' di luccio-branzino. Rifiutò tutto il resto. Il pranzo costò ai sottoscrittori ottocento lire. Da: Massimo Montanari. Convivio oggi: storia e cultura dei piaceri della tavola nell'età contemporanea. Roma Laterza, 1992. --Ciao Teresa Ramaioli
(Rispondi)
Gli Ospiti sono gli utenti non iscritti alla Community di Libero.
 
 
 
 

Archivio messaggi

 
 << Maggio 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
    1 2 3 4 5
6 7 8 9 10 11 12
13 14 15 16 17 18 19
20 21 22 23 24 25 26
27 28 29 30 31    
 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

FACEBOOK

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 72
 

Ultime visite al Blog

cassetta2saturno_leofosco6dinobarilidanielemi13acer.250Dott.Ficcagliaamorino11communitywindil.passovulnerabile14BeppeCassismariateresa.savinodiego2020200
 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
I messaggi e i commenti sono moderati dall'autore del blog, verranno verificati e pubblicati a sua discrezione.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963