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UN CAFFE' IN PIAZZA DUCALE A VIGEVANO (PAVIA) racconto (135) di Dino Secondo Barili

Post n°16552 pubblicato il 19 Novembre 2014 da dinobarili
 

Intrigo …

…a Pavia

(Queste storie, anche se raccontate come vere,

sono frutto di fantasia,

pertanto non hanno  nulla a che vedere

 con persone reali o fatti realmente avvenuti)

135

Un caffè in Piazza Ducale …a Vigevano

Il segno distintivo di Vivevano (provincia di Pavia) è l’operosità dei suoi abitanti. Diciamo pure che, i vigevanesi, hanno nel sangue l’ingegno e l’intraprendenza. Prima di tutto hanno una manualità senza limiti. Oggi, avere una simile manualità crea da sola “un importante valore aggiunto”. Sia le donne, sia gli uomini, sono animati da spirito attivo e combattivo. Non si fermano davanti ad alcun ostacolo. Detta così… sembra “uno spot pubblicitario” sugli abitanti di Vigevano… ma non è così. Vigevano e la sua gente… sono sempre stati originali. Nel secondo dopoguerra (1945-1965) …a Vivevano non si vedeva in giro anima viva … né di notte né di giorno. Tutti al lavoro. Ogni famiglia era un’impresa, ogni casa un laboratorio. Si racconta (ma forse è un po’ esagerato) che in una casa c’erano due macchine per cucire le tomaie delle scarpe… La famiglia era composta da padre, madre e due figli di quindici e sedici anni… Quelle due macchine da cucire lavoravano ventiquattrore al giorno, con turni impressionanti. Poi è arrivato il benessere… Le strade di Vigevano cominciarono a popolarsi di persone che prendevano il “caffè” prima di iniziare il turno di lavoro. Ormai parecchie persone potevano permetterselo. Si poteva guardare al futuro con moderato ottimismo. Pensare alla casa di proprietà, ai viaggi, all’istruzione… Per prima cosa i figli dovevano conseguire la Laurea… e questo da solo comportava un impegno finanziario non indifferente. Poi, la Laurea del figlio o della figlia è arrivata… e sono cominciati a nascere i problemi. “E, adesso, cosa facciamo?” – si chiedevano padre e madre – “Mica tutti possono fare il Dottore Commercialista?” L’altro giorno il Signor Giovanni, 82 anni, era in Piazza Ducale con un amico quasi coetaneo, il Signor Giuseppe, 80 anni, alto e magro come era sempre stato, quando era giovane… e cuciva tomaie con suo padre e sua madre. - “Caro Giuseppe… sono finiti i nostri tempi quando facevamo dieci / dodici ore di lavoro nelle nostre case… e nessuno si lamentava. Anzi, erano momenti d’oro. C’era lavoro per tutti…e tutti lavoravano come matti. (“tuti a fasù dané” – “tutti a fare denari”). Non c’era tempo per nient’altro. Ora si continua a parlare di crisi, di aziende che chiudono, di cassa integrazione, di esodati … Ma tu, Giovanni, lo sai chi sono gli esodati? Io non l’ho ancora capito. Ricordo mia madre che faceva cuocere due pezzi di carne dentro alla pentola sopra la stufa…” così risparmiava tempo lei…e noi della famiglia (mio padre e mia sorella). Si risparmiava tempo perché quando si aveva fame … si poteva fare la zuppa con il brodo… e mangiare un pezzo di carne bollita. Neanche un lamento. Cose che, oggi, si rifiutano di fare persino alla “mensa del povero”. A volte mi chiedo come mai …siamo così cambiati!... E pensare che “conservo” ancora la “mia” macchina per cucire le tomaie delle scarpe…” – Giuseppe era stato zitto. Per carattere, non è mai stato di molte parole. Questa volta, però, ha fatto un discorso abbastanza lungo. “Anch’io conservo ancora la “mia” macchina per cucire la tomaie. A volte mi viene voglia di rimettermi a lavorare… per combattere la crisi…” Giovanni, scrollò la testa… “Troppo tardi, troppo tardi… adesso la “crisi” si combatte con le chiacchiere in TV…Parlano solo persone… che “non” hanno mai cucito tomaie per le scarpe… ” (135)

 
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