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« Somiglia a me, che mi ce...così adesso »

il coraggio della gioia

Post n°261 pubblicato il 30 Marzo 2018 da emma01

 

CESARE PAVESE
- DOPO -

La collina è distesa e la pioggia l'impregna in silenzio.

Piove sopra le case: la breve finestra
s'è riempita di un verde più fresco e più nudo.
La campagna era stesa con me: la finestra
era vuota, nessuno guardava, eravamo nudi.
Il suo corpo segreto cammina a quell'ora per strada
col suo passo, ma il ritmo è più molle; la pioggia
scende come quel passo, leggera e spossata.
La compagna non vede la nuda collina
assopita nell'umidità: passa in strada
e la gente che l'urta non sa.

Verso sera
la collina è percorsa da brani di nebbia,
la finestra ne accoglie anche il fiato. La strada
a quest'ora è deserta; la sola collina
ha una vita remota nel corpo più cupo.
Giacevamo spossati nell'umidità
dei due corpi, ciascuno assopito sull'altro.

Una sera più dolce, di tiepido sole
e di freschi colori, la strada sarebbe una gioia.
E' una gioia passare per strada, godendo
un ricordo del corpo, ma tutto diffuso d'intorno.

Nelle foglie dei viali, nel passo indolente delle donne,
nelle voci di tutti, c'è un po' della vita
che i due corpi han scordato ma è pure un miracolo,
E scoprire giù in fondo a una via la collina
tra le case, e guardarla e pensare che insieme
la compagna la guardi, dalla breve finestra.
Dentro il buio è affondata la nuda collina
e la pioggia bisbiglia. Non c'è la compagna
che ha portato con sé il corpo dolce e il sorriso.
Ma domani nel cielo lavato dall'alba
la compagna uscirà per le strade, leggera
del suo passo. Potremo incontrarci, volendo.

 

Versi da Poesie, Mondadori Editore, pagine 61 e 62

 

 

 

FRANCO BATTIATO
IL SENTIMENTO NUEVO - 1981 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

hardfucknota 

chiaro che nel 1981, a tredici anni, dello “shivaismo
tantrico di stile dionisiaco”, così come “desideri mitici
di prostitute libiche” o “senso del possesso che fu 
pre alessandrino”, mi piaceva l'effetto
scioglilingua, in una sorta di deliquio tra me ed
i due nicola (zanichelli / zingarelli) fedeli compagni.
anche ora però, la questione resta relegata
ad un mezzo sorriso. Eppure siamo fatti anche di
intangibile. In un assortimento alterno di percezioni,
io a tredici anni, nel mio imbambolato crescere,
in un tutt'occhi, ginocchia e gomiti, spigoli insomma,
mi deliziavo sognando sveglia di vivere accanto a questi tre
fenomeni. Sì perché ho sempre sognato alla grande.
volevo una sorta di comune asessuata, appartengo
al genere svegliato al piacere qualche tempo dopo i tredici,
una comune dicevo, composta da cesare pavese, per

raccontare bene bene di quelle sue colline dolci,
calde, femminee e dolenti, della sua costante di tristezza
intelligente e certa in modo matematico, continua,
flagrante del suo reato di essere, e non celata,
ma ben sbattuta in faccia,
come le lenzuola bianche di nonna stese al sole
che svolazzavano battute dal vento, evolvendo panneggi
magistrali.
franco battiato, per cantarmi parole che non conoscevo
ancora ma sentivo sensate e simboliche 

 talmente mie che le volevo non conoscendone

un cazzo, ma che segnavano possibilità da
trafficare, e questo giullare mesto diceva delle
robe ridondanti riconoscimento, malgrado il necessario  

uso maniacale dei dizionari domestici e della
biblioteca comunale.


l'incontro con albrecht fu frutto di un sequestro,

di un'appropriazione
non debita di un pacchetto,

chiamavo così la cartella di riproduzioni
di studi di Durer che l'insegnante d'arte delle medie, giovine pittore,


-sia lode al tuo nome, amico dagli occhi tristi-,

aveva portato in classe per consentircene la visione,
che mi rapì al punto che lo rapii a mia volta e per un bel pezzo,
così da osservare, vedere e guardare ad elementi presenti
nel mio quieto quotidiano ma da occhi, tempi e modi
distantissimi, senza il fiato di gianmaria sul collo che
mi dava della ladra. ho restituito la cartella da collezione,
grazie al pressing serrato del su menzionato
gianmaria, e di mia mamma
che mi ha fece avere una raccolta di
lavori di durer, in un pomeriggio di giugno, quando, con
la sua sferragliante cinquecento, mi accompagnò ad una
illustrissima libreria del capoluogo, cui aveva fatto la richiesta
e la gioia di avere tra le mani quella raccolta non fu
mitigata dal senso di nausea e mal di testa martellante  
che mi dette il viaggio all'interno di quella piccola auto
bianca, col suo rumore e con l'odore caratteristico,
prodotto dai rivestimenti in  similpelle bordeux,
surriscaldati dal calore del sole d'inizio estate.

 

 

 

 

 
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