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A chi serve l’articolo 18?

Post n°900 pubblicato il 09 Febbraio 2012 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

“Gentile signora, mi dispiace, stiamo rivedendo l’organizzazione del personale e dobbiamo provvedere a una riduzione. Non c’è giudizio di merito su di lei, ma se lei non mi può garantire la presenza continua, sa com’è, con i suoi problemi. L’azienda non può più tenerla, abbiamo bisogno di ridurre. C’è la crisi.”

“Ma scusi, io come faccio? Mio figlio ha solo un anno, io ho fatto l’impossibile. Nonostante le operazioni che ha subito sono venuta sempre al lavoro, ho preso le ferie solo durante il ricovero.”

“E’ vero, ma se lei prende le ferie ora, mi fa mancare la presenza in un periodo lavorativo, non mi serve che lei resti l’estate che il lavoro diminuisce.”

“Lo capisco, ma mio figlio è disabile, ha bisogno di fare la terapia, se lei mi licenzia io non posso pagarla.”

“Mi rendo conto, ma sa, non posso farci nulla.”

“Lei non può farlo… mi rivolgerò al Tribunale del Lavoro.”

“Signora, mi dispiace per lei, ma la nostra azienda ha meno di 15 dipendenti, io sono libero di licenziarla quando voglio.”

“Lei mi sta mettendo in mezzo alla strada.”

“Signora, la sua produttività è notevolmente diminuita, io sono costretto a mandarla via.”

“Lei mi sta cacciando perché mi devo occupare di mio figlio, non può farlo, è disumano.”

“Pensi quello che vuole, ma le cose stanno così. Ora la saluto, ho un appuntamento.”



Lei esce dall’ufficio del capo del personale. Le gambe le tremano dalla rabbia, le lacrime ferme ai bordi degli occhi come nei cartoni animati. Come farà, un figlio di un anno, il mutuo da pagare. Non sapeva, non poteva prevedere che Mattia sarebbe nato cieco. Non poteva sapere che avrebbe speso ogni mese 400 euro per il terapista domiciliare che gli insegna a camminare, a muoversi, a riconoscere gli oggetti, a mangiare da solo, gli insegna a vivere. Lei non è capace di farlo, non sapeva cosa fosse un cieco prima della sua nascita, non sa come spiegargli le cose. Nella struttura pubblica sta in lista d’attesa e lui è piccolo, non ha tempo da perdere. Anche lei sta imparando, sta andando dalla psicologa. Altri soldi, troppi soldi. Come farà ora, senza il lavoro. Suo padre lavora, anche lui da un privato, ma sta in ufficio dalle 9 del mattino alle 7 di sera. Gli straordinari sono obbligatori, se no te ne vai.

Si ferma. Vede un ragazzo, giovane, ben vestito entrare dalla porta. Si ferma davanti al tavolo della segreteria.

“Ho un colloquio di lavoro con il capo del personale per un’assunzione.”

“Sì certo, la sta aspettando.”

di  Valentina Rinaldi | 9 febbraio 2012 su il fatto quotidiano

 
 
 
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Data di creazione: 04/05/2010
 

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