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Come si curavano nel passato: il colera asiatico

Post n°90 pubblicato il 24 Marzo 2011 da lafarmaciadepoca
 

Oggi, per la serie “Come si curavano nel passato” abbiamo ospite il Vibrio cholerae, aka “bacillo virgola”, il responsabile del colera asiatico o epidemico.
Gli appassionati di storia lo conosceranno già: il colera asiatico è stato il flagello delle truppe inglesi e francesi stanziate in Asia, durante tutto l’Ottocento (in totale in questo secolo si sono avute ben sette epidemie!).

Il colera è una malattia a trasmissione oro – fecale (contraibile tramite l’ingestione di cibi contaminati da feci di infetti) ed insieme alla salmonella, al tifo e alla tubercolosi era annoverato tra le malattie epidemiche preferite dell’ Inghilterra della Regina Vittoria.

Parlo dell’Inghilterra proprio a causa del comportamento paradossale con cui i medici inglesi del tempo si approcciarono al colera.
Infatti, grazie agli studi di John Snow, risalenti intorno alla metà dell’Ottocento, si era arrivati alla conclusione che il colera era trasmesso attraverso il cibo, e l’acqua contaminata dal nostro amico Vibrio. Così, si decise di costruire un sistema di fognature per convogliare le acque di scarico e finalmente a Londra non si verificarono più focolai di colera: e quasi tutti vissero felici e contenti.
Quasi tutti perché, invece di estendere l’innovazione anche alle altre cittadine dell’Impero della Regina Vittoria, la geniale intuizione rimase confinata solo a Londra, così, per tutto l’Ottocento si continuò a morire a causa di questa malattia.

L’India era il vero focolare di questa malattia ed in particolare le città sui fiumi sacri erano delle vere e proprie incubatrici di Vibrio cholerae.
Il circolo vizioso era questo: tutti i liquami provenienti dalle strade cittadine erano convogliate e scaricate nel fiume, la popolazione indiana utilizzava per cucinare e per bere l’acqua contaminata ( ma non solo, ci faceva pure le abluzioni rituali), infettandosi e producendo altri liquami che venivano nuovamente scaricati nel fiume. L’unico a trarre vantaggio da ciò era il nostro batterio.

 

Precisato questo, veniamo al dunque: se avessimo contratto il colera asiatico nel 1874, come ci avrebbero curato? Apriamo il “Formulario terapeutico ragionato” del dottor Berruti e andiamo a vedere.

 

Il metodo di cura più diffuso era quello del Dottor Niemeyer:


"Le quarantene e gli isolamenti rigorosamente ordinati, sono di somma utilità. Oltre alle moltissime misure igieniche che i governi, i comuni, i cittadini, sotto la saggia direzione dei medici, devono prendere nelle tristi contingenze di epidemie cholerose, sia consiglio rigorosissimo che mai le deiezioni dei colerici vengano versate nelle latrine comune.
Il comitato per le epidemie della Società di Medicina di Berlino raccomanda per la disinfezione delle lingerie e degli abiti il calore  all’ebollizione; per le latrine fuori dalle abitazioni cloruro di calce ( su 100 parti di escrementi 10 di cloruro); per le sedie, vasi, ecc, un miscuglio di  permanganato di soda, solfato acido di ferro e acqua di cui se ne versa 10 parti su 100 di materie reiette; per la disinfezione delle case ove vi furono colerosi, il cloro gazoso. I lazzaretti siano soccorsi con buoni alimenti e vino, e se possibile, alloggiati provvisoriamente lungi dai luoghi ove scoppiò l’epidemia.
Alle persone che vogliono difendersi dall’epidemia a qualunque costo, i medici devono consigliare:

1 –
Di partire subito;
2 – Di andare il più lontano possibile;
3 – Di non ritornare fino alla completa estinzione dell’epidemia.
(il ragionamento non fa una piega!)

A chi deve restare si consiglia con rigore di non occupare mai una latrina estranea, ad attenersi ad un regime prudente, evitare i cibi di difficile digestione, come d’ogni bevanda o nutrimento che occasiona diarrea. Vino buono e birra non acida a dosi moderate. Ogni eccesso o inadempienza va proscritta.
Appena compare una diarrea, si mandi pel medico, si ponga a letto  e si beva qualche tazza di caffè e di menta piperita ben calda, unitamente a qualche goccia di liquore anticolerico. Un profuso sudore può difatti far abortire un attacco di cholera.
Sono grandemente encomiate le gocce russe anticoleriche: tintura eterea di valeriana, vino d’ipecacuana, laudano liquido del Sydenham e olio essenziale di menta piperita. Da prendersi 20 – 25 gocce di questo liquore ogni due ore.
Avvenuto l’accesso di cholera, la cura sintomatica deve rivolgere le sue mire:

1 – A combattere il catarro acuto  dell’intestino e l’abbondante trasudazione  del siero dai capillari intestinali, sorgente di tutti gli altri disturbi e pericoli;
2 – Riparare le perdite acquose subite dal sangue;
3 – Infine opporsi alla paralisi imminente del cuore;

L’opio dato sotto forma di tintura delle polveri del Dower in un veicolo mucillaginoso soddisfa molto bene alla prima indicazione sintomatica nella cura del cholera. Quando in poche ore l’ammalato ha preso più dosi da 2 a 5 centigrammi d’opio, e si ottenne diminuzione di  della diarrea, devesi diminuire la quantità finchè le evacuazioni normali provino che la trasudazione sierosa è cessata.
Se invece la diarrea continua e si scolora, le forze si perdono, la pelle si raffredda, allora l’opio è controindicato e le compresse fredde l’una dopo l’altra applicate  sul ventre ed il calomerlano, 5 cg all’ora, diedero i migliori risultati. Inutile riesce il nitrato d’argento  raccomandato dal Levi e Breslau.
Alla seconda indicazione di riparare le perdite acquose si soddisfa bene col fare ingerire piccoli pezzetti di ghiaccio. L’acqua calda è dannosa e viene tosto rigettata.
Al terzo compito si soddisfa con gli stimolanti e fra questi il migliore di tutti è il vino Champagne adacquato col ghiaccio e pei poveri l’acqua col rhum. Buona pratica consiste ancora nel sospendere di tanto in tanto il ghiaccio e le bevande fredde per somministrare una tazza di caffè nero ben carico e caldo.
Contro i crampi dolorosi dei muscoli, le frizioni con l’essenza di senape sciolta nello spirito di vino hanno efficacia palliativa. I senapismi vanno rigettati.
Fattasi la reazione si proceda con prudenza nell’uso degli alimenti e si cominci con il latte sciolto nell’acqua, coi brodi e biscotti".

Per concludere in bellezza, ecco la ricetta del vino cordiale anticolerico:

"Cannella  gr 10, pepe nero gr 2, cardamomo gr 2, china –china gr 30, radice di ratania gr 20 e un chilo di vino di Lunel. Triturare le sostanze, si lasciano  macerare per 4 giorni e dopodiché di filtra. Assumere un bicchierino la mattina e uno alla sera".

Ricapitolando per i troppo pigri: nel 1874, quando si sapeva come calcolare le “parti” di escrementi ad occhio, l’unico modo efficace per evitare di contrarre il colera era quello di partire ed andare il più lontano possibile. Se non avevate i soldi per fare ciò, allora era necessario rassegnarsi: le possibilità di contrarre la malattia erano piuttosto alte.
Se vi prendevate il colera, potevate annegare i vostri dispiaceri nel vino, nella birra non acida, nello Champagne o nel rhum. Non male come terapia, ma se una persona ha l’intestino in disordine, la prima cosa che qualunque medico consiglia è proprio l’astenersi dagli alcolici!
Fortunatamente, e ciò mi rincuora, si erano resi conto che il nitrato d’argento e i senapismi erano totalmente inutili.
Appena il paziente sarebbe stato meglio e si sentiva di mangiare qualcosa di più sostanzioso, gli si poteva proporre del latte sciolto in acqua (all’epoca avevano un gran terrore dei cibi troppo nutrienti e difficili da digerire!), brodo e qualche sparuto biscotto. Tenere presente che, se la contaminazione iniziale era avvenuta attraverso l’ingestione del Vibrio tramite acqua, allungando il latte, non si contribuiva certo alla guarigione del poveretto. Si poteva riprendere a rifornirsi di acqua presso quella determinata fontana solo quando si poteva essere sicuri che non fosse più contaminata (a volte, prima di arrivare alla “sorgente” d’infezione potevano passare mesi!).

Al giorno d’oggi il colera, purtroppo non è ancora stato debellato: gli ultimi casi risalgono all’anno scorso, nella zona di Haiti. Esiste un vaccino ma non fornisce una copertura efficace contro la malattia. Ho trovato notizie di un nuovo vaccino, ma non ho avuto conferme: sembra sia ancora in fase sperimentale e le notizie a riguardo sono poche.

Nonostante siamo ormai nel Ventunesimo secolo, i modi migliori per difendersi dal colera sono: fare attenzione a ciò che si mangia e si beve (soprattutto se siamo in viaggio in zone a rischio) e stargli il più lontano possibile, come già consigliava il Berruti nel 1874.

Grazie per aver letto il post!

 
 
 
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