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La neve di Marco - paperino61to "redattore per due giorni"

Post n°382 pubblicato il 21 Novembre 2012 da est.la.belle.epoque


L'ispirazione di questo racconto
mi è venuta vedendo la neve caduta in montagna ,
ho abbinato questo fatto
a una canzone del mai dimenticato Elvis Presley,
una delle più belle che abbia mai cantato,
con un testo di denuncia sociale.

Spero ancora una volta
di coinvolgervi nell'emozione di un mio scritto.

Buona lettura a tutti voi

Marco



La neve sta scendendo copiosa, osservo i fiocchi di neve coprire la strada e posarsi delicatamente sui tetti.

M’incanto a guardarli , torno con la mente a quando ero bambino. Apro la porta che da sul balcone, l’aria gelida entra in casa.

Respiro a pieni polmoni, la luce del lampione illumina l’intensità della neve che scende.

Per un attimo sento , o così mi sembra , di sentire un pianto, un singhiozzo che si perde  nel vuoto e nel silenzio. Dico mi sembra , trattengo il fiato, come se potesse servire a sentire meglio.

La neve sembra coprire tutto anche quello che credevo di avere sentito. Rientro in casa, vado in cucina mentre alla televisione parlano della grande tempesta. Accendo il forno, sono gesti meccanici, nelle orecchie ronza quel  “ pianto  “.

Riapro la porta e mi sporgo dal balcone cercando di scrutare meglio, acutizzando al massimo la vista e l’udito. Riesco a sentire il posarsi della neve sulla strada,ma di quel  “ pianto  “ nulla.

Decido di scendere, prendo con me anche una pila, potrebbe servirmi. Una voce dentro di me dice chiaramente che sono pazzo, là fuori non c’è nessuno. Esco dal condominio , e vado verso gli angoli bui. Come uno stupido urlo se c’è qualcuno, ma la mia voce è l’unica che testimonia la presenza di qualcuno in strada.

Ho fatto il giro dell’isolato per ben due volte, ma inutilmente, l’aria gelida è penetrata attraverso la giacca a vento, i capelli ormai sono del colore della neve, vedo a fatica innanzi a me.

In lontananza mi sembra di scorgere qualcosa, forse una scatola di cartone o simile, decido di attraversare rischiando di essere preso sotto da un’auto che in quel momento stava transitando.

Sento l’autista imprecare , non sono parole d’amore, ma tutto questo non mi ferisce. La luce della pila , man mano che mi avvicino , dà forma a ciò che mi sembrava di avere visto : dei cartoni messi insiemi a mo di casa.

Un insieme di cartoni, scatole, come se servissero a ripararsi dal freddo e dalla neve. Ora sento distintamente un singhiozzo, il fascio di luce illumina una massa di capelli ricci sotto un viso da bambino.


          


Mi guarda , due occhi scuri, impauriti, le lacrime solcano il suo viso. M’inginocchio accanto a lui , le domando come si chiama .

_ “ Jack signore “.

_ “ Piacere io sono Roby,

che fai qui a quest’ora e con questo tempaccio ?  “.

Il  piccolo avrà si e no 7 anni e con tutta innocenza mi risponde che questa è la sua casa. Un brivido percorre la mia schiena , siamo nel terzo millennio, Ipad , e altre cazzate simili, e c’è gente che vive in queste condizioni.

 “ Tu hai casa ? “ mi domandò.

 “ Certo Jack, i tuoi dove sono ?  “.

Il piccolo chinò la testa e quasi  a voce bassa disse che suo padre non lo aveva mai conosciuto e la madre è in carcere; non sa quando uscirà.

Lo guardai, avevo le lacrime anch’ io, un adulto e un bambino, un bianco e un nero sotto la coltre di neve che scendeva sempre più copiosa.

_ “ Bene   Jack, dammi la mano , andiamo da me. Ti va una cioccolata calda con biscotti ?  “ domandai.

Si alzò e prese la mia mano, fece un cenno di si con il capo. Lo presi in braccio ed iniziai a correre, mentre la sua casa di cartone cedeva sotto il peso della neve. In breve arrivammo al condominio, venne ad aprirmi il portiere.

“ Buonasera signore Levroy  “. Poi guardò il bambino, e come un pugno nello stomaco esclamò : “  Lo sa signore, che i neri non possono entrare in questo stabile, lo dice il regolamento  “. Dicendo ciò indicò con il dito il regolamento appeso.

Mentre mi avvicinavo al’ascensore, risposi : “ Fottiti stronzo  “.

Rimase interdetto, blaterò qualche parola, alle quali mostrai il mio dito medio alzato.

Jack sorrise, e mi abbracciò forte. Preparai un bel bagno caldo mentre cercai un pigiama da indossare. La cioccolata stava scaldandosi sul fornello acceso.

Mi scusai per non avere vestiti  da bambini, ma non sono sposato .

Ci sedemmo sul divano, Jack posò la testa sul mio petto e prima di addormentarsi mi ringraziò.

Sorrisi mentre fuori i miei occhi osservavano i fiocchi di neve , ricordandomi che per anni la mia unica casa era stata costruita con dei cartoni, sulla spiaggia di Coney Island.


            

 

Se tutti Noi offrissimo quel poco che abbiamo verso chi ne ha bisogno, sicuramente il mondo lo si potrebbe disegnare come un grande sorriso.


        

 
 
 
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