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Un blog creato da lecittadelsud il 01/06/2010

LE CITTA' DEL SUD

Identità e decrescita sostenibile delle province duosiciliane

 
 

BREVE STORIA DELLE DUE SICILIE

da: "DUE SICILIE" Periodico Indipendente - Direttore: Antonio Pagano

www.duesicilie.org

La storia della formazione dello Stato italiano è stata così mistificata che non è facile fornire un quadro fedele di tutti gli avvenimenti che portarono all'unità. Dal 1860 in poi è stato eretto dal potere italiano un muro di silenzio  Molti importanti documenti sono stati fatti sparire o tenuti nascosti, e ancora oggi sono secretati negli archivi di stato;

 

 INDICE

Sintesi storica

Situazione sociale ed economica

Le più importanti realizzazioni

Le cause della fine del Regno

I Garibaldine e l'invasione piemontese

La resistenza duosiciliana

Conclusioni

 

 

ITINERARIO STORICO NEL REAME DELLE DUE SICILIE
tratto da Giuseppe Francioni Vespoli (1828) e Antonio Nibby (1819)

Itinerario 1 (Napoli Capitale)
Itinerario 1 (da Portici a Pompei)
Itinerario 1 (da Pozzuoli a Licola)
(Intendenza di Napoli)
Itinerario 2 (da Nola al Matese)
Itinerario 2 (dal Garigliano a Venafro)
(Terra di Lavoro)
Itinerario 3
(Principato Citra)
Itinerario 4
(Principato Ultra)
Itinerario 5
(Basilicata)
Itinerario 6
(Capitanata)
Itinerario 7
(Terra di Bari)
Itinerario 8
(Terra d'Otranto)
Itinerario 9
(Calabria Citeriore)
Itinerario 10
(Calabria Ulteriore Prima)
Itinerario 11
(Calabria Ulteriore Seconda)
Itinerario 12
(Contado di Molise)
Itinerario 13
(Abruzzo Citeriore)
Itinerario 14
(Secondo Abruzzo Ulteriore)
Itinerario 15
(Primo Abruzzo Ulteriore)
Itinerario 16
(Intendenza di Palermo)
Itinerario 17
(Intendenza di Messina)
Itinerario 18
(Intendenza di Catania)
Itinerario 19
(Intendenza di Girgenti)
Itinerario 20
(Intendenza di Noto)
Itinerario 21
(Intendenza di Trapani)
Itinerario 22
(Intendenza di Caltanissetta)

 

I SONDAGGI

 

 

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QUESTIONE MERIDIONALE. PRIMA L'INDIPENDENZA ECONOMICA

Post n°130 pubblicato il 14 Settembre 2012 da lecittadelsud
 

 

L’Italia rimane un Paese duale: le fratture che dividono il Nord e il Sud, cominciate con la forzata unità politica del paese nel 1861, non sono state ricomposte e i processi in atto non paiono ancora in grado d’invertire la rotta. Il divario riguarda non la sola dimensione economica, ma anche quella più ampiamente sociale.
In termini di Pil pro capite, le differenze Nord-Sud nei primi decenni post-unitari erano modeste, e il divario Nord-Sud è stato il risultato del processo d’industrializzazione che ha concentrato l’industria italiana prettamente al Nord, mentre contemporaneamente si dismetteva il nascente sistema industriale dell'ex regno delle Due Sicilie, oggi meridione d'italia.
L'italia è nata come colonizzazione del sud da parte del nord, e come tale il nord ha imposto l’orientamento delle economie locali secondo il proprio interesse. Così, il sud da sempre è stato considerato come "luogo" da cui estrarre liberamente braccia e materie prime da utilizzare nelle industrie del Nord e come mercato su cui immettere i prodotti finiti. Cosi, lo stato interviene nell’economia per garantire posti pubblici e misure assistenzialistiche minime in modo da dare reddito al Sud e farne aumentare la capacità di acquisto, senza però farne aumentare la capacità produttiva. La colonia interna, insomma, ha garantito al Nord manodopera qualificata e a basso costo, derrate agricole a prezzi stracciati, smaltimento rapido e vantaggioso dei propri prodotti (e dei rifiuti industriali) e carne da macello per le proprie guerre imperialiste.
Oggi, il problema centrale cui fornire soluzione per avere uno sviluppo più solido di tutto il paese è dato, quindi, dalla crescita del Mezzogiorno. Questa crescita deve essere, però, autonoma e in grado di sostenersi autonomamente nel lungo periodo.
Il Sud, in tal modo, potrebbe attuare delle politiche monetarie e fiscali differenti, non essendo più costretto a essere imbavagliato in un modello unitario fortemente orientato sul nord del paese. Il recente caso della divisione fra Repubblica Ceca e Slovacchia ha, ad esempio, portato maggiori benefici a quest’ultima, che era la parte meno progredita dell’Unione.
D'altra parte, essendo il sud un territorio colonizzato, forte è il rischio che una volta ottenuta l'indipendenza politica, non sia in grado di realizzare una piena indipendenza economica, continuando a chiedere aiuto alla parte più ricca del paese. In questo modo, quindi, si instaurerebbe un nuovo colonialismo di tipo economico: il neocolonialismo.
Se la ripresa della produttività al Mezzogiorno, quindi, anche per i maggiori margini di crescita, è un volano molto importante per il rilancio del Pil nazionale e della competitività dell'intero paese, allora perchè fino ad oggi i governi, sia di destra che di sinistra, sono stati incapaci di affrontare e risolvere la "questione meridionale"?
Probabilmente la risposta va analizzata in termini di rapporti di produzione e di rapporti di classe, e da questo punto di vista, come rilevava Nicola Zitara, "le strutture politico-sindacali sarebbero un elemento di conservazione della situazione esistente". Cosi mentre nelle regioni settentrionali l’ampiezza delle risorse permette lo sviluppo del territorio, oltre alla sopravvivenza del ceto politico e del suo sistema clientelare, in quelle meridionali la prima funzione è praticamente azzerata e, per usare un termine di moda, è la casta che beneficia della quasi totalità del flusso di denaro pubblico, dividendolo con limprenditoria affaristica del nord e la criminalità organizzata del sud, attraverso il sistema degli appalti.
Quello che risulta evidente è che non esiste fino ad oggi alcuna volontà da parte dello stato italiano di risolvere la "questione meridionale", e cosi sarà fino a che non ci sarà una forza politica in grado di rappresentare gli interessi economici del mezzogiorno, di condizionare il potere di scelta del sud, orientandolo all'acquisto dei propri prodotti, di trattenere al sud il risparmio delle famiglie attraverso un proprio sistema bancario, di controllare l'ingresso delle merci straniere, di realizzare, cioè, la piena indipendenza economica, prima che politica.

 
 
 

IL NORD E' FORTE PERCHE' IL SUD E' DIVISO

Post n°129 pubblicato il 10 Settembre 2012 da lecittadelsud
 

regno due sicilie

La scelta di Pino Aprile è una scelta coerente con il suo modo di essere e di pensare. L'idea del giornale ha colto tutti di sorpresa ma allo stesso tempo ha fornito una carica maggiore. Quello che mancava per raccontre il vero sud finalmente sta per concretizzarsi, ed è il vero successo dell'iniziativa di Bari. Questo è un passo fondamentale, perchè come ha detto lo stesso Pino Aprile un partito senza un giornale è zero, ed il sud ha il diritto ad avere una sua Voce.
Ora bisogna lavorare sull'unire i movimenti, bisogna aprirsi ad una nuova cultura volta al superamento di tutte quelle barriere ideologiche e culturali che contribuiscono ad aumentare le divisioni.
Il nord è forte perchè il sud è diviso, ed è questa continua lacerazione dei rapporti sociali che impedisce al sud di trovare la sua strada e liberarsi dalla sua perenne condizione di subordinazione al nord.
Adesso basta divisioni, stringiamoci tutti intorno alla proposta di Pino Aprile, cosi come è necessario portare avanti l'esperienza del Parlamento delle Due Sicilie, possibilmente uno solo, come luogo "simbolo" del confronto culturale e politico fra le variegate correnti di pensiero meridionaliste ed indipendentiste (e  magari scegliere come sede la reggia di Carditello).
Il sud per modificare il suo status di colonia deve intervenire direttamente nella politica e non delegare più ai partiti del nord. Ma per sedersi al tavolo deve averne la forza e questa forza può venire solo se c'è unità. Se ognuno decide di seguire la propria strada nulla riuscirà mai a cambiare, e di questo dovremo, poi, rendere conto ai nosri figli quando ci chiederanno che cosa abbiamo fatto per salvare la loro (e la nostra) terra e per non costringerli ad andare via.
Come ha detto Nicola Zitara "è assurda la pretesa di partecipare alla vita pubblica senza altro progetto che farsi eleggere a qualcosa. I fiaschi amareggiano, ma ancor peggio sarebbe un successo finalizzato a portare borracce ai mestatori dell'Italia padanista".
Serve allora un progetto politico "forte" che sappia essere frutto di una sintesi fra le varie tesi dei movimenti e da questo punto di vista l'idea della Macroregione delle Due Sicilie, che sempre più insistentemente sembra provenire da più parti, può divenire un forte elemento di aggregazione. Peraltro, anche la Comunità Europea auspica una maggiore cooperazione tra le regioni del sud per ricostruire quei rapporti naturali che le Due Sicilie hanno sempre avuto con il mediterraneo, ed uscire dal sottosviluppo. Il Sud avrebbe, così, le carte in regola per poter dialogare alla pari, non solo col governo nazionale ma anche con quelli europei, e soprattutto con quelli del Mediterraneo, interlocutori naturali. Diverremmo immediatamente il paese europeo ad avere maggiore diritto agli incentivi economici per lo sviluppo; con un impagabile vantaggio aggiuntivo: che i soldi dell'Europa per il Sud, resterebbero al Sud.
D'altra parte la crescente importanza di questa cooperazione trova una evidenza nella creazione di nuove forme giuridiche di governo tra territori oltre i confini nazionali. Si tratta, cioè, della creazione dei Gruppi europei di cooperazione territoriale e delle Euroregioni, che si stanno diffondendo nel continente grazie alla promozione del Consiglio d’Europa e al sostegno dei programmi della Commissione europea.
Bisogna sfruttare adesso questa possibilità e costruire insieme una "road map" di cui il giornale di Pino Aprile è solo un primo obiettivo a cui, si spera, ne seguiranno altri. Solo noi possiamo cambiare questa situazione che perdura da oltre 150 anni, solo noi siamo gli artefici del nostro destino e nessuno verrà mai a salvarci. Cominciamo, quindi, ad essere fin da ora quello che saremo in futuro.

 
 
 

Schietti, orgogliosi, allegri, mediterranei Lettera aperta a Pino Aprile

Post n°128 pubblicato il 17 Luglio 2012 da lecittadelsud

Caro Pino,


la Lega Nord è fuori dal governo e si è avvitata in una crisi forse irreversibile eppure lo spirito antimeridionale della politica italiana non si è affatto attenuato. Lo dimostra l'esclusione degli scrittori meridionali del Novecento dai programmi scolastici. Lo conferma l'applicazione del federalismo voluta dal governo Monti: anticipo dell'Imu al 2012 con simultaneo taglio dei fondi per i Comuni poveri, in modo da portare risorse dove già ci sono i soldi. E, nello stesso tempo, il governo ha dimenticato di elencare i diritti minimi da garantire in tutto il territorio nazionale, un silenzio che equivale a diritti zero per i cittadini del Sud. Ma questo non può sorprenderti: la legge si applica al Nord e si interpreta per i meridionali; va così da 151 anni e il razzismo dotto di chi ha studiato alla Bocconi cambia solo i toni rispetto a quello becero di chi si è diplomato per corrispondenza alla scuola Radio Elettra.

Le celebrazioni organizzate per i 150 anni hanno un merito: aver portato l'attenzione sulle statistiche, con la Banca d'Italia costretta ad ammettere che l'area di Napoli aveva un Pil del 40% superiore alla media nazionale. E se da +40% scivoli fino a -40% non può essere per responsabilità interne: è perché hai ceduto alla forza. Come a Pietrarsa il 6 agosto 1863. Ma il vento sta cambiando e dopo Gaeta oggi Napoli è libera da ceti politici eterodiretti. Ciò incoraggia chi crede che ogni comunità possa scegliere la propria strada, senza aspettare un placet.

E' il momento di osare. Va promosso un movimento che abbia a cuore gli interessi delle Terre del Sud. Libero e democratico, certo, ma soprattutto schietto, orgoglioso, allegro, mediterraneo. Un movimento aperto, ma che tenga fuori chi ha governato a braccetto con partiti nordisti e oggi magari cerca di riverniciarsi. Un movimento che punti nelle elezioni del 2013 a una rappresentanza diretta in Parlamento e che subito dopo apra, città per città, una fase costituente, perché i giovani del Sud possano contare in Europa senza esser costretti a lasciare le proprie Terre.

Caro Pino,  

nessuno meglio di te ha saputo raccontare cosa eravamo, cosa siamo diventati e cosa potremmo essere noi Terroni. Ecco perché crediamo che qualsiasi progetto di riscatto non possa che vederti alla testa. Lo sappiamo: puntare a uno scranno a Montecitorio appare poca cosa, per la distanza tra quanto si potrà fare e quanto servirebbe alle nostre Terre. Ma l'impegno che chiediamo a noi stessi e l'invito che ti rivolgiamo è di considerarlo il primo passo. Verso nuovi ambiziosi obiettivi.

In serata il primo elenco di personalità della cultura, giornalismo, società civile e spettacolo che hanno già sottoscritto l'appello

Per sottoscrivere l'appello scrivere a
info@partitodelsud.eu

fonte: http://partitodelsud.blogspot.it/2012/07/schietti-orgogliosi-allegri.html

 
 
 

FERDINANDOPOLI: LA PRIMA COMUNITĄ SOCIALISTA D'EUROPA

Post n°127 pubblicato il 05 Aprile 2012 da lecittadelsud
 

 ferdinandopoli

 

Nel 1773 Ferdinando IV, illuminato dagli studi di Gaetano Filangieri e Bernardo Tanucci, incarica l'architetto Francesco Collecini, allievo e collaboratore di Luigi Vanvitelli, di realizzare Ferdinandopoli, l'utopia pre-socialista di una città ideale in cui dare attuazione a riforme sociali, introducendovi la manifattura della seta nell'intera filiera: dalla coltivazione del gelso al prodotto finito. Purtoppo il sogno di una città ideale con teatro, ospedale, cattedrale e aree verdi finì con la fine del '700 e l'avvento della rivoluzione francese. Ma è rimasto il borgo di San Leucio e soprattutto gli artigiani e i maestri che ancora oggi, nonostante il lungo declino seguito all’Unita d’Italia, tessono la seta.

San Leucio è un esempio concreto di come i Borbone costruivano i nuovi borghi per sperimentarvi impianti industriali basandosi sulla autonomia industriale. L’utopia di ferdinandopoli, tuttavia, si differenzia dagli esperimenti filantropici che avevano come scopo quello di migliorare le condizioni di vita e di salute degli operai nei primi nuclei abitativi che cominciavano a sorgere intorno alla nuove fabbriche a partire dal XVIII secolo. San Leucio và vista più che come un fenomeno sociale e politico come una anticipazione dei centri operai sorti intorno alle fabbriche delle Company Towns (Saltaire, Port Sunlight, Bourneville …) perché poco ebbe in comune con le altre comunità utopiche, che al contrario avevano un fondo essenzialmente di trasformazione sociale.  La politica riformatrice dei Borbone è visibile nell'aspetto urbanistico e architettonico del borgo, non ispirato all'assolutismo monarchico ma ai principi di uguaglianza e sopraututto nel “codice delle leggi”, l’esperimento più interessante per i suoi aspetti senz’ altro progressisti.

Nel 1789, infatti, Ferdinando IV di Borbone promulga il "Codice delle leggi" che regola in modo innovativo la vita ed il lavoro della comunità leuciana. In realtà lo Statuto dell'Istituto di San Leucio si deve alla sua consorte Maria Carolina e tale scoperta, recente, si deve a Nadia Verdile giornalista e autrice di un saggio su San Leucio contenuto nel quinto numero dell' "Archivio per la Storia delle Donne", a cui va attribuito il merito aver trovato le prove della "maternità" carolinea di un Codice che guarda oltre il suo tempo, lanciando una sfida per l'emancipazione della figura e del ruolo delle donne nel Meridione d'Italia.

Lo Statuto, primo al mondo che riconosce i diritti delle donne, si fonda su basi di assoluta eguaglianza tra i mondi del maschile e del femminile. Scompare la differenza tra uomini e donne e tutti i coloni godono di pari diritti per: “Essendo voi dunque tutti Artisti, la legge che Io v’impongo, è quella di una perfetta uguaglianza.......Nessun di voi pertanto, sia uomo, sia donna, presuma mai pretendere a contrassegni di distinzione, se non ha esemplarità di costume, ed eccellenza di mestiere”.

Il codice sanciva il diritto e il dovere al lavoro. Il guadagno era proporzionale al merito e la retribuzione del lavoro veniva effettuata con un crescente compenso fino ad una cifra corrispondente all’opera dei maestri più qualificati:“Il solo merito forma distinzione tra gl' individui di S. Leucio. Perfetta uguaglianza nel vestire. Assoluto divieto contra del lusso”. Tutti uguali anche nel vestire, quindi, tutti vanno a scuola. L'istruzione è obbligatoria dai sei anni in poi: “Già si è situata in Belvedere la Scuola normale, in cui s’insegna a’ fanciulli, ed alle fanciulle sin dall’età di anni 6 il leggere, lo scrivere, l’abbaco; il catechismo della religione; i doveri verso Dio, verso se, verso gli altri, verso il Principe, verso lo Stato; le regole della civiltà; della decadenza e della polizia; i catechisti di tutte le arti; l’economia domestica; il buon uso del tempo, e quant’altro si richiede per divenir uom dabbene, ed ottimo Cittadino”

Aboliti i testamenti, gli averi vanno ai parenti o al Monte degli Orfani. Parte dei compensi va versato alla Cassa della Carità destinata agli invalidi, vecchi e malati. Vengono abolite le doti per le figlie e vi è divieto assoluto dei genitori di interferire negli affari di cuore dei figli. Un'unica limitazione: si sposa solo chi è bravo a lavorar la seta. C'è un arte da difendere e tramandare. Il cittadino si sente parte attiva di una comunità di uguali e al tempo stesso è il protagonista essenziale del processo di produzione. Ogni gruppo familiare, alloggiato nelle abitazioni a schiera, è dotato di telai per la lavorazione a cottimo. In seguito tutte le lavorazioni vengono riunite in un nuovo opificio. Accanto alle maestranze locali sono impiegati artigiani genovesi, francesi, messinesi e piemontesi. Il governo della comunità era affidato, insieme al parroco, a cinque “seniori del popolo” eletti ogni anno tra i membri anziani della comunità.

Tra i doveri del popolo leuciano vi erano sia quelli “negativi”, ovvero quelli che “impongono l'obbligo di astenersi dall'offender alcuno in qualche maniera” sia quelli “positivi” ovvero quelli che “impongono di fare a tutti il maggior bene che si possa ........ A ciascun de’ nostri simili ..... finanche a’nimici”, dove ”La più bella vendetta è quella di far bene a colui, che ci offese; ed il più bel piacere è quello d’imperare per mezzo delle beneficenze sopra colui, che ci disprezzò. Soccorrerlo nelle avversità, ed ajutarlo ne’ bisogni e mostrare a tutti gli uomini la più sublime grandezza di cuore e di generosità”.

 

Leggi lo Statuto di San Leucio. Clicca qui

 
 
 

L'ALBERGO DEI POVERI: IL GRANDE SOGNO RIVOLUZIONARIO DI CARLO III

Post n°126 pubblicato il 20 Marzo 2012 da lecittadelsud
 

L'Albergo dei Poveri, opera di Ferdinando Fuga, fu realizzato nel 1751 su incarico di Carlo di Borbone, che  di pari passo con la realizzazione da parte di Vanvitelli della grande Reggia di Caserta, voleva un edificio che potesse ospitare tutti i poveri del Regno. L'Albergo doveva quindi rappresentare, nell'idea di re Carlo , un simbolo: il simbolo della "pietà illuminata" della casa dei Borbone verso i propri sudditi.

L'albergo costruito dalla dinastia napoletana dei Borbone prevedeva l'edificazione di una struttura capace di accogliere circa ottomila tra poveri, diseredati, sbandati e immigrati. Nell'ospizio gli ospiti erano divisi in quattro categorie: uomini, donne, ragazzi e ragazze. Il progetto originario prevedeva un complesso edilizio molto più grande di quello attuale. Doveva estendersi su una vasta superficie con un prospetto di 600 metri di lunghezza e una larghezza di 135 metri e comprendere cinque grossi cortili; in quello centrale era prevista l'edificazione di una chiesa con pianta stellare a sei bracci. In realtà fu edificato solo in parte di quanto progettato: la facciata misurò 354 metri di larghezza e la superficie utile di circa 103.000 metri quadri. Nelle scuole-officine del Reale Albergo dei Poveri, vennero ospitati anche gli orfani maschi della Santa Casa dell'Annunziata. Lo scopo di questa caritatevole reggia dei poveri fu quello di assicurare ai meno fortunati mezzi di sussistenza e l'insegnamento di un mestiere. Nel 1838, nelle sale dell’Albergo trovò posto una scuola che sarebbe poi diventata in breve tempo famosa: la Scuola di Musica che fornì per vari anni suonatori provetti alle compagnie militari. In essa si avvicendarono insegnanti notissimi, tra i quali Raffaele Caravaglios. Nel 1816, sotto il regno di Ferdinando I, la scuola per sordomuti diretta dall’Abate Cozzolino (seconda tra gli stati preunitari dopo quella di Roma), venne trasferita in una parte autonoma del Reale Albergo.

Alle spese contribuirono Carlo, la stessa regina Maria Amalia che donò i suoi gioielli, il popolo Napoletano, gli enti religiosi con notevoli somme e donazioni di proprietà ecclesiastiche, il tutto per l’ammontare di un milione di ducati. In sostanza queste le cifre di quello che fù una delle più grandi costruzioni settecentesche d'Europa: ottomila poveri, duemila addetti, nove chilometri di corridoi larghi cinque metri (varrebbe dire la larghezza di una strada con marciapiedi), volte a perdita d'occhio, finestre che infilano la luce di altre fila di finestre, di porticati e cortili, perché l'albergo dei poveri non era nè cupo nè spettrale, ma un circuito senza uscite in cui maschi da un lato e femmine dall'altra, seguivano, da mattina a sera, venivano abituati al lavoro e all’igiene del corpo e dell'anima. Venne istituita l’assistenza sanitaria per gli anziani e gli inabili, ai giovani venne impartita una adeguata qualificazione professionale con avviamento al lavoro. Venivano loro insegnate varie arti: calzolaio, fabbro, falegname, tornitore, filatrice, oltre allo studio della grammatica e dell’aritmetica.

Fu tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX che l’ospizio ospitò le “donne perdute” e fu adibito anche a casa di “correzione dei minori” da cui il nomignolo di reclusorio” e di “serraglio”. Tra il 1800 e il 1816 furono terminate le parti frontali e laterali, i lavori proseguirono sino al 1829.

Solo la lungimiranza di Carlo di Borbone e dei suoi discendenti ha permesso che un gran numero di emarginati, diseredati abbia potuto godere e assicurarsi un sicuro asilo, un pasto quotidiano, cure mediche ed istruzione, e ancor oggi il palazzo conserva la memoria di edificio che ha svolto sempre un ruolo di pubblico servizio (costruito per riqualificare le fasce sociali sottraendole all’emarginazione). E riferendoci all’epoca, il regno di Carlo è da considerarsi rivoluzionario, volto al progresso dello “Stato” inteso per la prima volta come collettività, e tale fu percepito dai sudditi, che uscivano da lunghi secoli di dominazioni vicereali. Carlo fece anche di più: portò il Regno ai primi posti del mondo dell’epoca per dinamismo e trasformazione, per ricchezza e varietà delle arti e della cultura in generale. Napoli in particolare, ma anche le tantissime altre città d’arte del Meridione, divennero meta obbligata dei viaggiatori, che trovarono un Paese in rapido ed armonico progresso, tanto che lo stesso Goethe espresse ammirazione per “gli operosi napoletani”.

Poi le tristi vicende che portarono all’invasione piemontese e contemporaneamente alla fine del grande Regno delle Due Sicilie, con la tresformazione del meridione d’Italia in una colonia senza piu’ identità e dignità. Lo scempio maggiore avviene proprio nei pubblici stabilimenti di beneficenza, tanto che l’Albergo dei Poveri può sicuramente assurgere ad emblema dello stato di degrado che si determinò con la fine del regno. E il giornale napolitano “il Popolo d'Italia” cosi scrive il 6 maggio del 1862, riportando la visita fatta dal re Vittorio Emmanuele nel mese precedente: “Il re, e il ministro Rattazzi hanno visitato il maggiore pio stabilimento, che noi abbiamo, l'Albergo de' Poveri, e che è appunto il peggiormente amministrato, reso albergo della morte per lo spirito pel corpo. Ma quando essi vi andarono, i governatori prevenuti da' consorti, che pure circondano il nuovo ministero, col frastuono delle bande musicali soffocarono le grida de' gementi. I poverelli di quello stabilimento, più che creature umane, appaiono bestie pel modo, onde sono trattati. Dormono su vecchio e lurido strame: i loro vestimenti giornalieri sono cenci inutili più volte e rattoppati: senza calze e senza scarpe, il loro cibo è pasta nera ed acida, senza verun condimento le camicie e te lenzuola stoppia dura dì color bruno, in cui schifosi insetti formicolano a vergogna della umanità. Pessimo lo insegnamento, i maestri con meschino onorario servono svogliali, e con quel pagamento e per quella lontananza non possano esser certo i migliori di questo mondo. La morale, niuna. E le donne? Ahi ludibrio! Più di 300 giovanette hanno popolato i postriboli perché cacciate. Or questo stabilimento è specchio fedele di tutti gli altri in Napoli!

Anche questo è stato l’Unità d’Italia: le nostre donne piu sfortunate un giorno prima erano cittadine rispettate che potevano apprendere un lavoro e camminare a testa alta grazie all’impegno e alla presenza dello stato, ed il giorno dopo prostitute senza dignità da inviare al nord.  Questa vergogna venne denunciata dalla stampa napolitana che cosi scriveva: “Giovedì 6 condente, per ordine del governo, le più avvenenti giovanette alunne nel real albergo de’ poveri son condannate ad esibire il proprio ritratto in fotografa con la macchina appositamente introdotta in quello ospizio, assegnandone l'imponente oggetto di doversi spedire que ritratti a Torino. Il di più s'intende da per se stesso!”.

Che le cose fossero peggiorate risulta evidente da una denuncia fatta al prefetto di Napoli e pubblicata il 10 dicembre del 1862 da un giornale politico-popolare di Napoli, in seguito ad una lettera inviata a tale giornale da un ragazzo ”recluso” nell’albergo: “Signor Generale Lamarmora, mandami a chiamare, se hai viscere di carità, ed io ti mostrerò una lettera rimessa a me da un infelice recluso nell'albergo de' poveri dì Napoli.... Quivi sono fanciulli, e ragazze! L'amministrazione è organizzata a camorra,... Non appena leggi queste parole, va, o manda persone di tua fede colà, ed ordina che visitassero tutto, tutto il locale; anche a le corsee sotterranee, ove sono ammucchiati quelli che si è chiamano i miserabili. Troverai fanciulli, e bambine, ignudi, perché i cenci non garentiscono quelle povere carni! Li troverai pieni d'insetti, su paglia marcita, pallidi, smunti per la fame, perché quel poco di polenta, che loro si amministra, spesso vien tolta a 500 infelici ogni di sotto pretesto di punizione! Vedrai come quelle creature non hanno in questa rigida stagione un lenzuolo, una coperta, ed a guisa di bestie rannicchiate sul terreno in stanze umide e malsane. Interroga que' poverelli, e prometti loro di garantirli dalle sevizie e dalle torture... Sovratutto, o Generale, dimanda a quelle sventurate fanciulle, che non hanno altro scudo, che le lagrime... com'è conservata la loro innocenza!... Recati sul luogo, e poi dimmi, se i napoletani han ragione dì maladire Torino!

E la Gazzetta di Napoli del 5 dicembre riporta di una petizione dei “reclusi” dell’albergo  da presentare in parlamento, diretta al deputato Ricciardi, in cui sono denunciate le sevizie, i maltrattamenti, e le iniquità dei nuovi amministratori, alla cui testa vi era il sopraintendente de Blasio. Questi nuovi amministratori, come se non bastasse, gonfiano i loro compensi a dismisura, mentre quelli del governo borbonico prestavano la loro opera gratuitamente, tanto da suscitare l’indignazione di tutti i cittadini napoletani. Questo comportamento immorale (vizio che nel corso degli anni la classe dirigente italiana non ha perso) determinò subito un enorme disavanzo che portò a restringere il numero degli impiegati, mettendo in mezzo alla strada, dopo tanti anni di servizio, poveri padri di famiglia.

Col mutare dei tempi, l’Albergo dei Poveri perse, così, la sua primitiva impronta. Nel corso degli anni, poi, si avvicenderanno nei suoi locali un Centro di Rieducazione per Minorenni, un Tribunale competente a giudicare le cause riguardanti i minori di diciotto anni, un cinema, officine meccaniche, una palestra, un distaccamento dei Vigili del fuoco e l’Archivio di Stato civile. In seguito al terremoto del 1980, addirittura, un’ala dell'edificio ancora adibita ad ospizio crollò, causando la morte di alcune anziane donne e due persone che le assistevano.

Chi ha voglia di festeggiare i 150 anni di unità d’Italia è libero di farlo, noi non abbiamo nulla da festeggiare, sono troppe ancora le verità nascoste e finchè non sarà fatta giustizia storica nessuna ferita potrà mai essere rimarginata e i napolitani “continueranno a  maladire Torino”.

 
 
 

I PRIMATI DEL REGNO DELLE DUE SICILIE

Post n°125 pubblicato il 22 Febbraio 2012 da lecittadelsud
 

 

 

Per meglio comprendere il contesto politico, civile, culturale e sociale del Mezzogiorno italiano sotto il regno della Real Casa di Borbone delle Due Sicilie (1734-1860), può essere utile riassumere in maniera schematica i principali “primati” che segnarono in maniera profonda la civiltà e la società meridionale nella seconda metà del XVIII secolo e nella prima metà del XIX.

Dal sintetico quadro, apparirà infatti evidente da un lato come positiva e costruttiva fu l’opera dei sovrani Borbone (e in special maniera, come abbiamo potuto ben vedere, di Carlo, Ferdinando e Ferdinando II), e dall’altro quanto fallace e sovente menzognera sia la “vulgata” risorgimentale sul “borbonismo” in Italia.

A completamento di tutte le voci precedenti, ci limiteremo ad elencare, uno dopo l’altro, ogni singolo “primato”, almeno i più significativi. Al lettore lasciamo il giudizio in merito .

 

INDUSTRIA:

Nell’Esposizione Internazionale di Parigi del 1856 fu assegnato il Premio per il terzo Paese al mondo come sviluppo industriale (I in Italia);

Primo ponte sospeso in ferro in Italia (sul Fiume Garigliano);

Prima ferrovia e prima stazione in Italia (tratto Napoli-Portici);

Prima illuminazione a gas di città;

Primo telegrafo elettrico;

Prima rete di fari con sistema lenticolare;

La più grande industria metalmeccanica in Italia, quella di Pietrarsa;

L’arsenale di Napoli aveva il primo bacino di carenaggio in muratura in Italia;

Primo telegrafo sottomarino dell’Europa continentale.

Primo esperimento di Illuminazione Elettrica in Italia a Capodimonte;

Primo Sismografo Elettromagnetico nel mondo costruito da Luigi Palmieri;

Prima Locomotiva a Vapore costruita in Italia a Pietrarsa;

 

 

ECONOMIA: 

Bonifica della Terra di Lavoro;

Rendita dello Stato quotata alla Borsa di Parigi al 12%;

Minor tasso di sconto (5%);

Primi assegni bancari della storia economica (polizzini sulle Fedi di Credito);

Prima Cattedra universitaria di Economia (Napoli, A. Genovesi, 1754);

Prima Borsa Merci e seconda Borsa Valori dell’Europa continentale;

Maggior numero di società per azioni in Italia;

Miglior finanza pubblica in Italia; ecco lo schema al 1860 (in milioni di lire-oro) :

Regno delle Due Sicilie: 443, 2

Lombardia: 8,1

Veneto: 12,7

Ducato di Modena: 0,4

Parma e Piacenza: 1,2

Stato Pontificio: 90,6

Regno di Sardegna: 27

Granducato di Toscana: 84,2

Prima flotta mercantile in Italia (terza nel mondo);

Prima compagnia di navigazione del Mediterraneo;

Prima flotta italiana giunta in America e nel Pacifico;

Prima nave a vapore del Mediterraneo;

Prima istituzione del sistema pensionistico in Italia (con ritenute del 2% sugli stipendi);

Minor numero di tasse fra tutti gli Stati italiani.

La più grande Industria Navale d'Italia per numero di operai (Castellammare di Stabia, 2000 operai);

La più alta quotazione di rendita dei titoli di Stato (120 alla Borsa di Parigi);

Rendita dello Stato quotata alla Borsa di Parigi al 12%;

Minor tasso di sconto (5%);

Prima Nave da guerra a vapore d'Italia (pirofregata "Ercole"), varata a Castellammare;

Prima Nave da crociera in Europa ("Francesco I");

Primo Piroscafo nel Mediterraneo per l'America (il "Sicilia", 26 giorni impiegati);

Prima nave ad elica ("Monarca") in Italia varata a Castellammare;

Prima città d'Italia per numero di Tipografie (113 solo a Napoli);

Primo Stato Italiano in Europa, per produzione di Guanti (700.000 dozzine di paia ogni anno);

Primo Premio Internazionale per la Produzione di Pasta (Mostra Industriale di Parigi);

Primo Premio Internazionale per la Lavorazione di Coralli (Mostra Industriale di Parigi);

 

GIURISPRUDENZA – ORGANIZZAZIONE MILITARE:

Promulgazione del primo Codice Marittimo italiano;

Primo codice militare;

Istituzione della motivazione delle sentenze (G. Filangieri, 1774);

Istituzione dei Collegi Militari (Nunziatella);

Corpo dei Pompieri.

Prima applicazione dei principi della Scuola Positiva Penale per il recupero dei malviventi;

 

 

SOCIETÀ, SCIENZA E CULTURA:

Prima assegnazione di "Case Popolari" in Italia (San Leucio presso Caserta);

Primo Cimitero italiano per poveri (il "Cimitero delle 366 fosse", nei pressi di Poggioreale);

Primo Piano Regolatore in Italia, per la Città di Napoli;

Cattedra di Psichiatria;

Cattedra di Ostetricia e osservazioni chirurgiche;

Gabinetto di Fisica del Re;

Osservatorio sismologico vesuviano (primo nel mondo), con annessa stazione metereologica;

Officina dei Papiri di Ercolano;

La più alta percentuale di medici per abitante in Italia;

Più basso tasso di mortalità infantile in Italia;

Prime agenzie turistiche italiane;

Scavi archeologici di Pompei ed Ercolano;

Prima cattedra di Astronomia;

Accademia di Architettura. una delle prime e più prestigiose in Europa;

Primo intervento in Italia di Profilassi Anti-tubercolare;

Primo istituzione di assistenza sanitaria gratuita (San Leucio);

Prime agenzie turistiche italiane;

Scavi archeologici di Pompei ed Ercolano;

Primo Atlante Marittimo nel mondo (G. Antonio Rizzi Zannoni, "Atlante Marittimo delle Due Sicilie");

Primo Museo Mineralogico del mondo;

Primo "Orto Botanico" in Italia a Napoli;

Primo Osservatorio Astronomico in Italia a Capodimonte;

Primo Centro Sismologico in Italia presso il Vesuvio;

Primo Periodico Psichiatrico italiano pubblicato presso il Reale Morotrofio di Aversa da Biagio Miraglio;

Primo tra gli Stati Italiani per numero di Orfanatrofi, Ospizi, Collegi, Conservatori e strutture di Assistenza;

Primo istituto italiano per sordomuti;

Prima Scuola di Ballo in Italia, annessa al San Carlo;

Prima Città d'Italia per numero di Teatri (Napoli);

Prima Città d'Italia per numero di Conservatori Musicali (Napoli);

Prima Città d'Italia per numero di pubblicazioni di Giornali e Riviste (Napoli);

Scuola pittorica di Posillipo (da cui uscì, fra gli altri, G. Gigante);

Le celeberrime fabbriche di ceramica e porcellana, fra cui quella di Capodimonte;

Teatro S. Carlo (il primo nel mondo), ricostruito dopo un incendio in soli 270 giorni;

Scuola musicale napoletana (Paisiello, Cimarosa, Scarlatti);

Successo mondiale (e tutt’oggi valido) della canzone napoletana;

I palazzi reali.

 

Questi sono solo i “primati”, non certo tutte le attività avviate nel Regno e i progressi raggiunti in ogni campo, che abbiamo per altro già delineato in tutte le voci precedenti basti pensare, come già visto, alla scuola di arazzeria).

Riteniamo superfluo, per concludere, fare polemiche. Ci basta sottolineare tre verità storiche tanto ovvie quanto inoppugnabili: alla luce di tutto quanto descritto,

1) si può ancora continuare a credere alla “vulgata” risorgimentale che presenta il Regno borbonico come il più regredito e odiato d’Italia?

2) Come si può spiegare il fatto che prima del 1861 non esisteva praticamente il fenomeno dell’emigrazione, e che dopo tale data sono emigrati quasi 20.000.000 di disperati?

3) Tutto questo costituisce una spiegazione al tragico quanto eroico fenomeno della rivolta filoborbonica del 1860-1865? 

Appare evidente, oggi come non mai, la necessità di ripresentare agli italiani la loro storia secondo criteri di maggiore imparzialità. Non per spirito di sterile polemica, ma ad onore e servizio della verità storica. A servizio della memoria della identità culturale e civile di tutti gli italiani.

 

Fonte: http://www.carlodiborbone.com/ita/archiviostorico/primati.htm

 

 
 
 

I figli dei ministri? Tutti geni (con posto fisso e vicino a mammą) – Nomi, foto, storie

Post n°124 pubblicato il 08 Febbraio 2012 da lecittadelsud

Sarà forse una questione genetica ma i figli di questi ministri incartapecoriti, che da una settimana somministrano al Paese dosi mai viste di delirio senile, sono tutti ma proprio tutti dei grandi fenomeni della natura, una sfida alle leggi della statistica. Oh nemmeno uno “sfigato” ma tutti autentici geni con uno o più posti fissi e con compensi che i comuni mortali possono solo sognare. O forse no. Forse sono solo i figli di una classe dirigente che predica bene e razzola malissimo. Forse sono soltanto la punta dell’iceberg di un sistema malato, fondato sul nepotismo e sulla clientela e ostile al merito. E tuttavia, le sparate di Monti, Fornero e Cancellieri, ci offrono una grande opportunità, ossia quella di aprire nel Paese una grande discussione sul tema della mobilità sociale. Dobbiamo interrogarci su come sia possibile offrire a tutti (al figlio di Monti come a quello dell’operaio) le stesse condizioni di partenza e le stesse opportunità così come recita l’articolo 3 della Costituzione che qui ricordiamo: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

Ecco a voi i ritratti di questi fenomeni della natura e, come si suol dire, Una coincidenza è una coincidenza due coincidenze sono un indizio tre coincidenze sono una prova:

GIOVANNI MONTI (figlio di Mario)

39 anni. A poco più di 20 anni è già associato per gli investimenti bancari per la Goldman Sachs, la più potente banca d’affari americana, la stessa in cui il padre Mario ricopre il ruolo apicale di  International Advisor. A 25 anni è già consulente di direzione da Bain & company, dove rimane fino al 2001.  Dal 2004 al 2009, vale a dire fino al suo approdo alla Parmalat, Giovanni Monti ha lavorato prima a Citigroup e poi a Morgan & Stanley: a Citigroup è stato responsabile di acquisizioni e disinvestimenti  per alcune divisioni del gruppo, mentre alla Morgan  si è occupato in particolare di transazioni economico-finanziarie sui mercati di Europa, Medio Oriente e Africa, alle dipendenze dirette degli uffici centrali di New York.

SILVIA DEAGLIO (figlia di Elsa Fornero)

37 anni. A soli 24 anni, mentre già svolgeva un dottorato in Italia, ottiene un incarico presso il prestigioso Beth Israel Deaconess Medical Center di Harvard, il prestigioso college di Boston. La figlia del ministro inizia ad insegnare medicina a soli 30 anni. Diventa associata all’università di Torino a 37 anni con sei anni di anticipo rispetto alla media di accesso in questo ruolo. Il concorso lo vince a Chieti, nel 2010, nella facoltà di Psicologia, prima di essere chiamata a Torino, l’università dove insegnano mamma e papà, nell’ottobre 2011. alla professoressa Deaglio ha certamente giovato nella valutazione comparativa il ruolo di capo unità di ricerca all’Hugef, ottenuto nel settembre 2010 quando era ancora al gradino più basso della carriera accademica, e a ridosso dell’ultima riunione della commissione di esame che l’ha nominata docente di seconda fascia. Come detto, l’Hugef è finanziato dalla Compagnia di San Paolo, all’epoca vicepresieduta da mamma Elsa Fornero.

PIERGIORGIO PELUSO (figlio di Annamaria Cancellieri)

Appena laureato viene catapultato subito all’Arthur Andersen. Un fenomeno della natura. Da lì balza a Mediobanca. Passa poi per diversi enti e dirigenze bancarie tra cui Aeroporti di Roma (consigliere d’amministrazione), Gemina (consigliere) Capitalia, Credit Suisse First Boston e Unicredit per finire, poco tempo fa, alla Fondiaria Sai dove ricopre il ruolo di direttore generale con compenso da 500mila euro all’anno.

MICHEL MARTONE (figlio di Antonio)

Figlio di Antonio Martone, avvocato generale in Cassazione, amico di Previti e Dell’Utri e Brunetta, già  nominato da Brunetta presidente dell’authority degli scioperi, ruolo da cui si è dimesso dopo essere stato coinvolto come testimone nell’inchiesta P3. Il superaccomandato Michel Martone ha una carriera universitaria molto rapida: a 23 anni ha un dottorato all’università di Modena. A 26 anni diventa ricercatore di ruolo all’università di Teramo. A 27 anni diventa professore associato. Al concorso, tenutosi tra gennaio e luglio 2003, giunse al secondo posto su due candidati, in seguito al ritiro di altri 6. Presentò due monografie, una delle quali in edizione provvisoria (ossia non ammissibile); ottenne 4 voti positivi su 5, con il parere negativo di Franco Liso, contro i cinque voti positivi ricevuti dall’altra candidata, 52enne con due lauree e 40 pubblicazioni. Tuttavia fu Martone ad ottenere il posto da ordinario. A 37 anni diventa viceministro del governo Monti.

MassimoMalerba

Fonti: Wikipedia, Linkedin, governo.it, gemina,it, Gazzetta di Parma, eco di Torino

 
 
 

NOI, I “MAFIOSI” DEL SUD ITALIA

Post n°123 pubblicato il 24 Gennaio 2012 da lecittadelsud
 

Ci risiamo. Ogni qual volta il Sud alza la testa per protestare contro le iniquità e la corruzione dello stato italiano, diventiamo tutti mafiosi e camorristi. E’ successo a Terzigno dove ci si ammala di tumori e succede ora in Sicilia dove la crisi è talmente profonda che un giovane su due e disoccupato e dove si fa fatica a mettere il piatto in tavola. Insomma noi gente del Sud non abbiamo nessun diritto, neanche quello di protestare: dobbiamo “chinare” il capo e basta. Dobbiamo subire le ingiustizie delo stato italiano, la prepotenza della criminalità organizzata e l’arroganza della nostra classe politica senza battere ciglio, perchè è cosi che ci vogliono da 150 anni. Noi siamo la pecora nera, quelli che non hanno voglia di lavorare e si lamentano sempre, siamo quelli che proteggono i mafiosi, gli “Affricani”, o come ci appellano più recentemente i “topi da derattizzare”.

Perdendo la sovranità di popolo libero e indipendente da quel maldetto 17 marzo del 1861, abbiamo perso ogni diritto per diventare cittadini di serie B di uno stato che per stessa ammisione di Gramsci “è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l´Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti”.

Eppure in tutti questi anni di unità, nonostante le violenze ed i soprusi subiti, abbiamo sempre stretto la cinghia ed aiutato l’intero paese a crescere, altro che zavorra o palla al piede. Siamo stati costretti ad abbandonare la nostra terra e servire uno stato per noi straniero, il Piemonte, che ci ha sempre considerato una terra di conquista da sfruttare. E nonostante le violenze fisiche e psicologiche subite abbiamo contribuito con il nostro sangue e il nostro sudore a rendere grande questo paese.

Ma è bene dirlo, lo abbiamo fatto a caro prezzo. Dopo la farsa dell’annessione, questa era la situazione del meridione ben descritta da Francesco Proto Carafa, Duca di Maddaloni:  Intere famiglie veggonsi accattar l’elemosina; diminuito, anzi annullato il commercio; serrati i privati opifici. E frattanto tutto si fa venir dal Piemonte, persino le cassette della posta, la carta per gli uffici e le pubbliche amministrazioni. Non vi ha faccenda nella quale un onest’ uomo possa buscarsi alcun ducato che non si chiami un piemontese a sbrigarla. Ai mercanti del Piemonte si danno le forniture più lucrose: burocrati del Piemonte occupano tutti i pubblici uffizi, gente spesso ben più corrotta degli antichi burocrati napoletani. Anche a fabricar le ferrovie si mandano operai piemontesi i quali oltraggiosamente pagansi il doppio dei napoletani. A facchin della dogana, a camerieri a birri, vengono uomini del Piemonte. Questa è invasione non unione, non annessione! Questo è voler sfruttare la nostra terra di conquista. Il governo di Piemonte vuole trattare le province meridionali come il Cortez ed il Pizzarro facevano nel Perù e nel Messico, come gli inglesi nel regno del Bengala". E molti anni dopo Luigi Einaudi ammise che l’unità d’Italia fù a solo vantaggio del nord: “Si è vero, noi settentrionali abbiamo contribuito qualcosa di meno ed abbiamo profittato qualcosa di più delle spese fatte dallo Stato italiano, peccammo di egoismo quando il settentrione riuscì a cingere di una forte barriera doganale il territorio ed ad assicurare così alle proprie industrie il monopolio del mercato meridionale”.

Ma nonostante questo, nonostante i nostri martiri dimenticati e infangati con i marchio di “briganti”, nonostante la fame e le umiliazioni subite, siamo andati avanti con dignità e nell’interesse di tutto il paese. Sempre chinando il capo.

Allora è poco corretto definire “mafiosa” la gente del sud che, giustamente protesta; certo oggi non potrebbero più definirci “briganti” proprio come furono definiti coloro che combattevano per la libertà dall’oppressore piemontese. Tutto ciò è strumentale e inaccettabile e forse qualcuno farebbe bene a ricordare che la mafia è un prodotto dell’unità nazionale e che essa, come disse Rocco Chinnici, “...... come associazione e con tale denominazione, prima dell’unificazione non era mai esistita....”. Qualcuno farebbe bene a ricordare che da sempre lo stato italiano si è servito di mafia e camorra per impedire al sud di intraprendere e di alzare la testa. O ricordare le parole di Napoleone Coljanni che considerava lo stato "il re della mafia".

Allora, prima di giudicare in maniera superficiale o strumentale il popolo meridionale, andrebbero capite le ragioni della sua protesta, inquadrandole in un contesto che non puo essere solo quello attuale, ma che parte dall’unità d’Italia, cioè dal momento in cui come disse Giustino Fortunanto, comincia “la nostra rovina economica” perchè “lo stato italiano profonde(va) i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che in quelle meridionali”. Cosi come va capito, chi per rabbia (e non per cinica demagogia) brucia la bandiera italiana nella quale non si riconosce piu’. E se al Sud aumentano episodi del genere andrebbe capito il motivo profondo e non scegliere la strada piu semplicistica di accomunare taluni gesti con quelli della Lega Nord, che poco hanno a che vedere con le vere tragedie sociali che colpiscono il Mezzogiorno d’Italia dal 1861.

Quello che oggi il popolo meridionale chiede non è, al contrario della Lega Nord,  la secessione e questo è bene chiarirlo. Ciò che chiede e che le differenze tra Nord e Sud, create dallo stato italiano, si possano finalmente azzerare e che il Sud torni ad avere una speranza di futuro per i suoi giovani, perchè finalmente dopo 150 anni non siano piu’ costretti ad abbandonare la loro terra. Ciò che il Sud chiede è avere pari opportunità di crescita, cosi come la stessa qualità di vita e dei servizi di un cittadino del nord, dal momento che le tasse sono pagate al Sud come al Nord. Ciò che il Sud chiede è una nuova classe politica meridionale che sappia difendere le istanze della propria gente senza dover piu ricorrere all’usanza mafiosa del “voto di scambio” ma facendo semplicemente valere ciò che ci spetta come un diritto e non come un favore. Ciò che il Sud chiede e dare degna sepoltura ai martiri meridionali trucidati da quella sporca guerra contro il brigantaggio che, come scrisse Indro Montanelli “costò più morti di tutti quelli del Risorgimento........il falso del Risorgimento che assomiglia ben poco a quello che ci fanno studiare a scuola".

Quello che il popolo meridionale vuole è semplicemente tornare ad essere quell’ eden verso il quale, per stessa ammissione del Console svizzero Claude Duvoisin, “tanti svizzeri, che vi emigrarono agli inizi dell’800, furono spinti per ragioni economiche, oltre che dalla bellezza dei luoghi e della qualità della vita”.

Quello di cui il popolo meridionale ha bisogno è di una vera rivoluzione, la “Rivoluzione Meridionale”, auspicata quasi un secolo fa da Guido Dorso, profeta inascoltato, che possa finalmente farlo uscire da un ritardo, che secondo il politologo statunitense Robert Putnam, è dovuto anche al fatto che fino a ieri “l’interesse per la politica non (era) dettato dall’impegno civico, ma per obbedienza verso altri o per affarismo”, dove la “corruzione viene considerata una regola dai politici stessi....(e) i principi democratici ..... guardati con cinismo”. Ma questa assenza di “comunità civica”, prosegue Putnam e stata voluta dallo stato italiano che ha da sempre soffocato, attraverso l’assistenzialismo, ogni tentativo di elaborare un cosciente pensiero politico autonomo, abituando  il popolo meridionale a chinare il capo al potere e disabituandolo al lavoro.

Ma per fortuna il Sud stà, finalmente, elaborando una nuova coscienza politica e civica, e non è piu’ disposto a differenza del passato a “chinare la testa”. Oggi al Sud si respira sempre piu’ aria di rivoluzione, aria di libertà, di voglia di riscatto e di cambiamento.  Il popolo del Sud, per usare una citazione di Guido Dorso, non vuole piu’ la carità, ma giustizia; non chiede piu’aiuto, ma libertà. Il popolo del sud che si ribella non è mafioso!

 
 
 

ABOLIAMO LE REGIONI, VERE SANGUISUGHE DELLO STATO E COVO DI CORRUZIONE

Post n°122 pubblicato il 16 Dicembre 2011 da lecittadelsud
 

 

Slitta al 31 dicembre 2012 il termine entro cui vengono riassegnate le funzioni delle province. Mentre viene fissata una dead line (31 marzo 2013), entro cui giunte e consigli in carica delle province decadono incostituzionalmente. Già perchè si è deciso di abolire le provincie con un semplice decreto in barba all'articolo 114 della Costituzione che stabilisce che la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato e che gli Enti locali sono autonomi secondo i principi fissati dalla Costituzione.

Ci hanno fatto credere che l'abolizione delle province avrebbe come obiettivo quello di  ridurre il debito pubblico, ma nessuno ha mai fatto un analisi costi/benefici e nessuno ha mai denunciato che questa assurda farsa finirà per aumentare i costi dello Stato in quanto le Regioni, alle quali inevitabilmente dovrebbe essere affidato parte del compito delle province, non sono affatto istituzioni virtuose, anzi, esse costituiscono una sanguisuga vera e propria per le nostre già precarie risorse, oltre ad essre lontane dai cittadini ed offrire humus per corruzione. E ciò a prescindere dal fallimento dell’iniquo e pericoloso federalismo leghista.

L' istituzione "Regione", non dimentichiamolo, è stata partorita negli anni 70, quindi tanto tempo dopo le province e dopo secoli dei comuni, e l' unico merito che hanno avuto è stato quello della creazione di una nuova "Casta" di clientele, ha preso i fondi destinati alle province ad ai comuni e non già per una gestione virtuosa ma per affari di affaristi collusi con la Politica. In tutti questi anni le regioni hanno saputo procurare solo disservizi amministrativi  pagati a caro prezzo dai contribuenti-cittadini bisognosi di buona sanità, di aria salubre, di cura e tutela dell'ambiente e di sviluppo socio- economico.

E’ processualmente accertato che i buchi scandalosi delle regioni, determinati da fatturazioni false, consulenze inutili, sprechi, priviliegi, stipendi e pensioni d’oro e tangenti imponenti, sono oggi la norma in un sistema di cui profittano partiti di tutti e due gli schieramenti e che indirizza immense quantità di danaro nelle tasche dei politici e dei partiti.

Le regioni, comprese quelle a statuto speciale, si sono rivelate inutili e dannose, carrozzoni clientelari alla cui guida spesso si sono succeduti personaggi di non proprio brillante caratura personale e politica, spesso strumentali a logiche di potere perverso, della corruzione e della malversazione. Esse non sono altro che una duplicazione inefficiente e burocratizzata dello stato centrale, lontane anni luce dai cittadini che peraltro, come avviene con lo stato centrale, hanno tempi di risposta lunghissimi e producono corruzione e ingiustizie territoriali con differenze di trattamento.

Le Regioni, che sono venti, oggi costano all'anno più di una guerra, esattamente 328,279.262.743 di euro (dato Istat 2009),  mentre le Province, che sono 110,  costano solo 14.110.342.636 di euro,  per cui se si vuole ripianare l'enorme  debito pubblico è evidente che questo può venire solo dall’eliminazione di quel pozzo senza fondo che sono le regioni, i veri enti da eliminare.

Al contrario delle regioni le provincie, che nascono già prima dell’unità d’Italia, proprio perchè insistono su un area ben delimitata hanno sempre svolto un forte ruolo di collante e di difesa del proprio territorio e dei propri cittadini, spesso in contrasto proprio con le scelte delle regioni che penalizzano delle aree a vantaggio di altre. Le province, quindi, sono storicamente e territorialmente più vicine ai cittadini in tutti i sensi, e hammo sempre rappresentato le vere esigenze di chi vive la provincia.

Se proprio si vogliono abolire le province, allora, su un tema cosi importante che impatta direttamente sulla vita delle comunità, la parola dovrebbe essere data ai cittadini attraverso un referendum in cui si chieda se si vuole mantenere le province o le regioni. Nessun governo può proporre un provvedimento così gravido di conseguenze territoriali, sociali, economiche, politiche e storiche. L'abrogazione delle Province, oltre a cancellare in tanti casi oltre mille anni di storia, getterà nel caos i territori, per la storica incapacità delle Regioni ad occuparsi di questioni strutturali, infrastrutturali e della tutela del territorio.

Infine va detto che l’eventuale abolizione delle Province comporterebbe l’aumento immediato del 16-20% della spesa pubblica e lo studio del CERTeT della Bocconi “Una proposta per il riassetto delle Province”, redatto dal dott. Roberto Zucchetti, indica chiaramente come il costo della rappresentanza istituzionale incida marginalmente nei bilanci provinciali con una media nazionale dell’1,4% del bilancio totale, cioè poco più di un caffè per ogni cittadino. Viceversa i costi del trasferimento di competenze a Comuni e Regioni sarebbero elevatissimi più del 16-20% per non parlare dei disservizi immediati per i cittadini. E’ lampante dunque che questa non è la strada da percorrere, e probabilmente va ripensato totalmente il federalismo mantenendo le provincie e pensando piuttosto alla creazione di 3 o 4 macro-regioni autonome con proprio parlamento ed in linea con le previsioni strategiche della comunità europea.

 
 
 

LEGHISTI TUTTI IN GALERA. E BUTTATE LA CHIAVE!

Post n°121 pubblicato il 06 Dicembre 2011 da lecittadelsud

La Lega Nord da quando è nata non ha fatto altro che sbraitare la sua secessione dallo stato italiano rappresentando, di fatto, un pericolo serio di sovvertimento dell’ordine costituzionale, secondo cui la Repubblica è “una e indivisibile” (art. 5) e dove "tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi"(art. 54).
Ebbene non solo questo movimento, ricordiamolo razzista e anti-italiano, non è stato perseguito dalla legge, cosi come vorrebbe la Costituzione Italiana, ma è addirittura diventato un partito di governo.
Oggi siamo arrivati al punto che questo movimento, ripetiamolo razzista e anti-italiano, vorrebbe far ricadere le colpe del debito pubblico del paese esclusivamente sul sud e sui meridionali.
Questo è inaccettabile sia da un punto di vista storico che da un punto di vista politico ed economico.
Dal punto di vista storico ricordiamo che il debito pubblico italiano è stato ereditato dallo Stato Piemontese, che sebbene in bancarotta, continuò, anche dopo aver depredato le casse del piu ricco Regno delle Due Sicilie, a spendere in guerre ed armamenti, cosa che piu o meno si contunua ancora oggi a fare se pensiamo alla spesa folle di 20 miliardi di euro per acquistare 131 caccia bombardieri F35 Lockheed, ovvero quanto l’ammontare di una corposa finanziaria.
Dal punto di vista strettamente politico ed economico il Sud (sfatiamo questo altro luogo comune) ha avuto dallo stato aiuti percentualmente sempre minori rispetto a quanto investito al Nord. A partire dalla parole del primo governatore della Banca d’Italia, Carlo Bombrini, che voleva un Sud non piu’ in grado di intraprendere (perchè tanto odio verso di noi?), si è avuta una progressiva riduzione sia dei capitali investiti che degli aiuti pubblici. Dopo la seconda guerra mondiale, il Piano Marshall, sebbene il Sud avesse subito piu’ danni di guerra, andò completamente a sostegno delle fabbriche del Nord. Successivamente il piano della Cassa per il Mezzoggiorno si è rilevato fallimentare perchè quel poco che è stato investito (solo lo 0,3 % del PIL nazionale), e per lo piu’ senza controllo e senza un piano strategico, in molti casi è ritornato al al Nord attraverso “strani” cambi di sede legale delle aziende settentrionali. E si continuerà fino ai giorni nostri con lo scandalo dei fondi FAS, inizialmente destinati per l’85% nel Mezzogiorno e per il 15% nel Centro-Nord, ma che le manovre del governo hanno ridistribuito in maniera iniqua allocando 18,9 miliardi al Mezzogiorno e 19,4 miliardi al Centro-Nord (4,6 miliardi sono stati destinati a diversi interventi post-terremoto in Abruzzo). Tali manovre, pertanto, hanno determinato uno spostamento dal Sud al Centro-Nord di 16,5 miliardi di euro, e questo ha comportato un onere fortemente concentrato sui cittadini del Sud, a cui questo governo sta facendo pagare in maniera sproporzionata ed iniqua la crisi del paese.
Il sud, ovvero le ex province del regno delle Due Sicilie, dal 1861 è diventato una colonia dello stato italiano. Dopo aver depredato tutte le nostre ricchezze, aver tolto la terra ai contadini, aver chiuso le nostre fabbriche per trasferirle al nord, aver chiuso la Borsa di Napoli ed acquisito tutte le nostre banche, da quel momento, è cominciata l'emigrazione di massa (fenomeno fino a quel momento sconosciuto al sud) e dopo una guerra civile durata 10 anni, con 1 milione di morti taciuti dalla storia, lo stato italiano ha deciso che il Sud non doveva piu' intraprendere, ma doveva essere un'area di consumo dei prodotti del nord, fornire mano d'opera a basso costo, e costituire un bacino di voti clientelari per mantenere in equilibrio il sistema mafioso e massonico dello stato italiano. E per far questo si è servito anche della mafia e della camorra e di una classe politica meridionale incapace e servile che non ha mai difeso gli interessi della propria terra.
Ma i meridionali dovevano pur campare per permettersi di consumare i prodotti del nord, cosi ci si è inventati l'assistenzialismo pubblico come forma di ammortizzatore sociale e di clientelismo politico, gonfiando a dismisura gli enti pubblici con gente incapace e parassita, mentre i figli migliori della nostra terra emigravano.
Ma tutto questo deve finire, perche come disse il nostro ultimo amato sovrano Francesco II "le ingiustizie non durano in eterno", ed è, allora, necessario un riscatto che passa attraverso il recupero della nostra identità e la decimazione della classe politica meridionale.
Come fanno questo barbari padani, dopo tutto questo, dopo aver contaminato le nostre terre con i rifiuti tossici dei loro "imprenditur"e dopo aver commesso l'ennesimo scippo di una realtà industriale meridionale come l'Alenia di Pomigliano, la cui sede legale è stata trasferita in provincia di Varese, a continuare ad insultare ed infangare il meridione?
Dovrebbero essere tutti in galera per sovversione contro lo stato, almeno in uno stato civile e democratico, ed invece sono ancora li nel parlamento a minacciare la loro secessione e ad inveire, con toni di sprezzante e becero razzismo contro i meridionali.
Ma se volete la guerra sappiate che noi siamo molti di piu e che questa volta, a differenza di 150 anni fa, saremo noi meridionali a cacciarvi a pedate nel culo fuori dalle balle.

 
 
 
 

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Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d’avere: l’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t’aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti.
Italo Calvino, da “Le città invisibili”

 


LA RICETTA
Paccheri Al Regno delle Due Sicilie
Paccheri di Gragnano ripieni di ricotta di pecora e Gamberetti di Mazzara su ragout di pomodorini del Vesuvio e salsa di Gamberi
vedi la ricetta in dettaglio

LA POESIA
"E ' a Riggina! Signò! … Quant'era bella! E che core teneva! E che maniere! Mo na bona parola 'a sentinella, mo na strignuta 'e mana a l'artigliere… Steva sempre cu nui! … Muntava nsella Currenno e ncuraggianno, juorne e sere, mo ccà, mo llà … V''o ggiuro nnanz' 'e sante! Nn'èramo nnammurate tuttequante! Cu chillo cappellino 'a cacciatora, vui qua' Riggina! Chella era na Fata! E t'era buonaùrio e t'era sora, quanno cchiù scassiava 'a cannunata!… Era capace 'e se fermà pe n'ora, e dispenzava buglie 'e ciucculata… Ire ferito? E t'asciuttava 'a faccia… Cadiva muorto? Te teneva 'mbraccia…".
(tratto da O' surdato 'e Gaeta di Ferdinando Russo)


PER RIDERE UN PO

cavour_garibaldi
Cavour è un tale che muore dal freddo piuttosto che dividere il fuoco con gli altri (G.Garibaldi)

LA FOTO



 

MOVIMENTI E SITI DI INFORMAZIONE


 

 

 

  




 

 

Facciamoci vedere!

 

LIBRI IN VETRINA

 

 
Il Sud e l'unità d'Italia
Giuseppe Ressa
Centro Cult. e di Studi Storici
Brigantino-Il Portale del Sud, 2009
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Terroni di Pino Aprile
Terroni

Tutto quello che è stato fatto
perchè gli italiani del sud
diventassero meridionali
Pino Aprile
Piemme, 2010



La Rivoluzione Meridonale
Guido Dorso
Edizioni Palomar, 2005


Fuoco del Sud
Lino Patruno
Rubbettino Editore, 2011

 

I NOSTRI VIDEO

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UNITA' D'ITALIA: UNA SPORCA GUERRA DI CONQUISTA

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L'ATTACCO DELLO STATO ALL'INDUSTRIA MERIDIONALE

https://www.youtube.com/watch?v=_xP6vELmimo
FRATELLI MASSONI

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STORIA DELL'IMMAGINE AFRICANA DEL MEZZOGIORNO

https://www.youtube.com/watch?v=IuwD7x18vHA
ZEROCITY: LA CITTA' DEL FUTURO

 

I VIDEO DALLA RETE


INNO DELLE DUE SICILIE
(Giovanni Paisiello 1787)


IL MERIDIONALISMO E IL SUO PROFETA
(Nicola Zitara a Mizar-TG2)


I PRIMATI DEL REGNO DELLE DUE SICILIE
(sotto la dinastia Borbone dal 1734 al 1860)


CARO NORD
(liberamente tratto dall'omonima lettera di Giuseppe Quartucci)

 

LINGUE E DIALETTI MERIDIONALI

 

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o territoriale verso
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L''ecomostro in costruzione nel cuore di Salerno
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L'uso criminoso dei NOSTRI soldi per avvelenare le NOSTRE FAMIGLIE deve finire.

 

HANNO DETTO SUL MERIDIONE


Il governo piemontese si vendica mettendo tutto a ferro e fuoco. Raccolti incendiati, provvigioni annientate, case demolite, mandrie sgozzate in massa. I piemontesi adoperano tutti i mezzi più orribili per togliere ogni risorsa al nemico, e finalmente arrivarono le fucilazioni! Si fucilarono senza distinzione i pacifici abitatori delle campagne, le donne e fino i fanciulli
L’ Osservatore Romano (1863)

Il Piemonte si è avventato sul regno di Napoli, che non voleva essere assorbito da quell'unità che avrebbe fatto scomparire la sua differenza etnica, le tradizioni e il carattere. Napoli è da sette interi anni un paese invaso, i cui abitanti sono alla mercè dei loro padroni. L’immoralità dell’amministrazione ha distrutto tutto, la prosperità del passato, la ricchezza del presente e le risorse del futuro. Si è pagato la camorra come i plebisciti, le elezioni come i comitati e gli agenti rivoluzionari
Pietro Calà Ulloa (1868)

Sorsero bande armate, che fan la guerra per la causa della legittimità; guerra di buon diritto perché si fa contro un oppressore che viene gratuitamente a metterci una catena di servaggio. I piemontesi incendiarono non una, non cento case, ma interi paesi, lasciando migliaia di famiglie nell’orrore e nella desolazione; fucilarono impunemente chiunque venne nelle loro mani, non risparmiando vecchi e fanciulli
Giacinto De Sivo (1868)

L’unità d’Italia è stata purtroppo la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico sano e profittevole. L’ unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse lo stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che in quelle meridionali
Giustino Fortunato (1899)

Sull’unità d´Italia il Mezzogiorno è stato rovinato, Napoli è stata addirittura assassinata, è caduta in una crisi che ha tolto il pane a migliaia e migliaia di persone
Gaetano Salvemini (1900)

Le monete degli stati pre-unitari al momento dell’annessione ammontavano a 668,4 milioni così ripartiti:
Regno delle DueSicilie 443,2, Lombardia 8,1, Ducato di Modena 0,4, Parma e Piacenza 1,2, Roma 35,3, Romagna,Marche e Umbria 55,3, Sardegna 27,0, Toscana 85,2, Venezia 12,7
FrancescoSaverio Nitti (1903)

Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l´Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti
Antonio Gramsci (1920)

Prima di occuparci della mafia  dobbiamo brevemente, ma necessariamente premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell’unificazione non era mai esistita, in Sicilia. La mafia nasce e si sviluppa subito dopo l’unificazione del Regno d’Italia
Rocco Chinnici (1983)

L’ufficio dello stato maggiore dell’esercito italiano è l’armadio nel quale l’unificazione tiene sotto chiave il proprio fetore storico: quello dei massacri, delle profanazioni e dei furti sacrileghi, degli incendi, delle torture, delle confische abusive, delle collusioni con la sua camorra, degli stupri, delle giustizie sommarie,
delle prebende e dei privilegi dispensati a traditori, assassini e prostitute
Angelo Manna (1991)

 
 

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