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Un blog creato da lecittadelsud il 01/06/2010

LE CITTA' DEL SUD

Identità e decrescita sostenibile delle province duosiciliane

 
 

BREVE STORIA DELLE DUE SICILIE

da: "DUE SICILIE" Periodico Indipendente - Direttore: Antonio Pagano

www.duesicilie.org

La storia della formazione dello Stato italiano è stata così mistificata che non è facile fornire un quadro fedele di tutti gli avvenimenti che portarono all'unità. Dal 1860 in poi è stato eretto dal potere italiano un muro di silenzio  Molti importanti documenti sono stati fatti sparire o tenuti nascosti, e ancora oggi sono secretati negli archivi di stato;

 

 INDICE

Sintesi storica

Situazione sociale ed economica

Le più importanti realizzazioni

Le cause della fine del Regno

I Garibaldine e l'invasione piemontese

La resistenza duosiciliana

Conclusioni

 

 

ITINERARIO STORICO NEL REAME DELLE DUE SICILIE
tratto da Giuseppe Francioni Vespoli (1828) e Antonio Nibby (1819)

Itinerario 1 (Napoli Capitale)
Itinerario 1 (da Portici a Pompei)
Itinerario 1 (da Pozzuoli a Licola)
(Intendenza di Napoli)
Itinerario 2 (da Nola al Matese)
Itinerario 2 (dal Garigliano a Venafro)
(Terra di Lavoro)
Itinerario 3
(Principato Citra)
Itinerario 4
(Principato Ultra)
Itinerario 5
(Basilicata)
Itinerario 6
(Capitanata)
Itinerario 7
(Terra di Bari)
Itinerario 8
(Terra d'Otranto)
Itinerario 9
(Calabria Citeriore)
Itinerario 10
(Calabria Ulteriore Prima)
Itinerario 11
(Calabria Ulteriore Seconda)
Itinerario 12
(Contado di Molise)
Itinerario 13
(Abruzzo Citeriore)
Itinerario 14
(Secondo Abruzzo Ulteriore)
Itinerario 15
(Primo Abruzzo Ulteriore)
Itinerario 16
(Intendenza di Palermo)
Itinerario 17
(Intendenza di Messina)
Itinerario 18
(Intendenza di Catania)
Itinerario 19
(Intendenza di Girgenti)
Itinerario 20
(Intendenza di Noto)
Itinerario 21
(Intendenza di Trapani)
Itinerario 22
(Intendenza di Caltanissetta)

 

I SONDAGGI

 

 

LE INIZIATIVE

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ITINERARIO 20

Post n°77 pubblicato il 24 Novembre 2010 da lecittadelsud
 

Provincia (Intendenza) di Noto (capoluogo: Noto)
Distretti: Noto, Modica, Siracusa

Il vallo di Siracusa è limitato a settentrione dal vallo di Catania; ad oriente dal mar Ionio; a mezzogiorno dal Mediterraneo; ad occcidente dal vallo di Girgenti. Il maggior fiume del vallo siracusano è l'Anapo, Alphaeus, celebre nelle favole per aver data origine alla rinomata fonte Aretusa. Partesi questa intendenza in 3 distretti, 17 circondarti, e 34 comuni. I tre distretti del vallo di Siracusa, sono: Siracusa, Noto e Modica. La prima fu fondata dai Corinti e fu antica capitale della Sicilia; aveva un gran numero di tempii e di magnifici palagi. Il quarto degli abitanti vi perì nel tremuoto del 1693. Fu patria di S.Lucia. Evvi un'accademia di regii studi, ed una pubblica biblioteca. Noto, intieramente riedificata nel 1693, ha un collegio reale, un museo di antiquaria, un gabinetto di storia naturale, eduna biblioteca. Sono pur da notare Agosta, piazza forte; Lentini, patria di Gorgia, discepolo di Empedocle, e Ragusa. Vi si osserva il lago Biveri di 12 miglia di circuito. Nel territorio d'Avola nasce lo zucchero. Nel fiume Anapo trovasi la pianta del Papiro, di cui servivansi gli antichi prima dell'invenzione della caria da scrivere. Questa pianta addimandasi Pampera. Vi sono fabbriche di canape, cotone, seterìe, polvere, panni e ambra. I vini di Siracusa, moscadelli, sono eccellenti.

Lentini, Leontini. Prima di giungere a questa città si passa presso il così detto Biviere di Lentini, cioè l'antico lago Leontino, che era il più grande della Sicilia, e che oggi appartiene al Principe di Butera. Questo Lago in tempo di estate non ha più di dieci in dodici miglia di circuito, e rende l'aria d'intorno malsana. Lentinì, come altre città di Sicilia conserva il suo nome antico di Leontini con piccola alterazione, e deve la sua fondazione ai Calcidesi condotti da Teucle, i quali la edificarono, secondo Tucidide, cinque anni dopo, che Siracusa era stata fondata dai Corintj, e dopo averne discacciato i Siculi, cioè, come si vide parlando di Catania, l'anno 753 avanti l'era volgare. Quanto però fu gloriosa ne' tempi andati, altrettanto è miserabile lo stato, nel quale attualmente si trova. Sulla collina detta di Zerone, nome corrotto da Gerone, si osserva un avanzo di torre ottagona costrutta di pietre quadrate. Gli altri avanzi, che di questa città rimangono, si riducono ad acquedotti, e conserve di acqua verso occidente, e a qualche residuo delle antiche mura composte di pietre quadrate. Si mostra ancora un avanzo di una delle porte, presso la quale la tradizione vuole, che fosse ucciso il Re Geronimo. Tutto però è nello stato piò deplorabile. Partendo da Lentini, e passando per Carlolentini, o Carlentini, città edificata da Carlo V, sopra un monte, ma oggi in pessimo stato, vicino alla Terra di Villasmondo si vede un'ampia abitazione a due piani scavata nella rupe, e composta di parecchie stanze. Prima di giungere a Mililli si vedono in aperta campagna, chiamata dell' Auguglia, gli avanzi di un sepolcro a doppio ordine costrutto di grosse pietre. L'ordine superiore era decorato di mezze colonne.
Augusta, Agosta. Ha un porto assai vasto e si fa molto traffico con Malta. Il promontorio, sul quale la città è edificata, corrisponde all' antico Taurus promontorium. Poco dopo si trovano a sinistra sulla spiaggia del mare le rovine di Megara Iblèa, ossia Ible minore. Proseguendo il cammino, sei miglia prima di giungere a Siracusa, in faccia all'isola di Magnisi trovasi la base di una piramide distrutta, come si crede, dal terremoto del 1542. Questa base è quadrata, ed ha 24 palmi di diametro, e 16 di altezza.
Siracusa, Syracusae. Archia Corintio fu il fondatore dì questa città cosi famosa ne'secoli antichi, l'anno 758 avanti l'era volgare, secondo Tucidide. La gloria di essa, le sue guerre con Atene, Cartagine, e Roma, l'assedio fattone da Marcello, e difeso da Archimede, la sua presa, il suo rifiorimento sotto gli Imperadori ecc., sono cose assai note per chiunque siasi occupato della storia antica, onde non debbonsi qui ripetere. Fu la patria di molti illustri e ragguardevoli personaggi, di Teocrito, Diodoro, Agatocle, Archimede, Ecfanto, Dione, Monimo. Ma quanto fu celebre per lo passato, altrettanto è decaduta al presente; tuttavia conserva ancora molti avanzi della sua magnificenza, che meritano dì essere descritti, e veduti. L’antica città era divisa in quattro parti (giacché quella detta Epipolis, aggiunta da Dionisio il Vecchio, non fu mai abitata) appellate Neapolis, Tyche, Acradyna, ed Ortygia, che era una piccola isola unita al continente per mezzo di un ponte. Ortigia fu la prima ad essere abitata, ed Ortigia è solo quella, che forma Siracusa odierna. Nel centro di essa è il tempio di Minerva ridotto in chiesa Cattedrale, e presso, che intiero, meno i cangiamenti, che nell'andare de' secoli per la sua destinazione attuale ha dovuto soffrire. Ciò però, che resta di antico, facilmente distinguesi. Esiste tutta intiera la cella di pietre quadrate, sebbene vi siano stati aperti quattro archi per servire di comununicazione colle navate laterali, che corrispondono al portico antico, che cingeva il tempio. Anche le colonne del portico esistono al loro posto, sebbene ne siano stati chiusi gli intercolunnj. La sua architettura era di ordine dorico senza basi, e l'ingresso esisteva nel lato, nel quale è oggi. Le colonne erano scanalate, e composte di due o tre pezzi assai bene uniti insieme, da non conoscersi la commessura. Cicerone contro Verre parla di questo tempio, ne encomia le porte, sulle quali vedevasi espressa la Gorgone, e parla con ammirazione delle aste di gramigna. Nella cattedrale merita osservazione il vaso per l'amministrazione del Battesimo, sul quale leggesi una greca iscrizione de'bassi tempi. Unito alla cattedrale è il palazzo vescovile, nell' atrio del quale si conserva una iscrizione ad onore degli Dii tutti, eretta dai Siracusani a'tempi di Garone. Di qua passando nella piazza della Giudeca, nella chiesa di S. Filippo, ivi esistente, si vede un bel pozzo scavato nella rupe, e chiamato il bagno della Regina. Vi si scende per una scala a spira larga 6 palmi fino all'acqua. In Ortigia, presso il tempio di Minerva esisteva ancora quello di Diana, del quale parla pure Cicerone. Di questo veggonsi gli avanzi nella via Salibra, consistenti in due grosse colonne d'ordine dorico scanalate, che ne ornavano il portico. Fu in occasione delle feste dai Siracusani celebrate in onore di Diana in Ortigia, che i Romani s'impadronirono della città. Prima di lasciare Ortigia, ossia la moderna Siracusa merita di essere visitata la celebre fonte di Aretusa, la quale, sebbene impoverita di acque, pure ancora si osserva scorrere presso la mura nella parte meridionale della città. Ortigia si trova situata fra i due celebri porti di Siracusa chiamati Porta grande, e piccolo; quest'ultimo, secondo le osservazioni fatte, e gli indizj ritrovati, era artefatto, e lastricato di pietre. Dopo Ortigia, la parte della città che era più vicina al mare, era Acradina. In essa, nel luogo oggi detto Buon Riposo, veggonsi ancora varie volte sotterranee credute avanzi della casa di Agatocle, chiamata al dire di Diodoro, de' sessanta letti. Esistono ancora le vesti già dell' Anfiteatro attaccato alle mura, che dividono Acradina da Neapólis, e scavato nella rupe. Consistono queste in parte de' sedili, ed in un corridore, che girava attorno; ma la volta è caduta. Lasciando Acradina, dopo avere visitato, oltre i monumenti citati, le cave di pietra ivi esistenti chiamate latomie, e passando all' antico quartiere detto Neapólis, si trova quella latomia creduta il celebre orecchio di Dionisio. Giace questa un miglio distante da Ortigia, e si chiama il Paradiso, superando in antichità tutte le altre latomie, delle quali abbondano i contorni di Siracusa. In un angolo adunque di questa latomia si entra in una spelonca, nella quale facendo qualche strepito, è corrisposto da un rimbondo assai sonoro. Un' altra bella cava è quella, che chiamano il Pozzo dell'ingegnere, che è così vasta, che vi fanno dentro le corde. Oltre queste, esistono altre cinque latomie, tra le quali la più grande è quella detta de' Cappuccini, dal Convento ivi adiacente. Tutte queste latomie, che in origine servirono solo per trarre i materiali per la fabbrica della città, poi furono ridotte in luogo di detenzione pe' prigionieri, costume molto in pratica presso gli antichi, come apparisce ancora dalle Latomie di Munichia presso Atene, dalle quali, al dire di Senofonte uscirono i prigionieri di guerra, che vi tenevano rinchiusi. Presso il così detto orecchio di Dionisio veggonsi nell'alto gli avanzi del Teatro, al cui uso potrebbe forse avere servito la latomia predetta, per formare un rimbombo più forte, e far meglio udire gli attori. Di questo Teatro Cicerone asserisce, che era grandissimo. Esso è scavato nel sasso, ed ancora si riconoscono i gradini, che erano ricoperti di marmi più fini, e le scale di communicazione fra una precinzione e l' altra, In uno de' gradini di questo Teatro fu trovata una iscrizione greca col nome di Filistide, Regina di Siracusa. Nelle alture sovrastanti al Teatro, che sono formate da pietra viva, si osservano scavate nel masso molte camere sepolcrali, e specialmente nell'angolo formato da due strade tagliate nella rupe. Ivi dappresso, sotto la chiesa di San Niccolò si trova scavata nel sasso una bella conserva di acqua, lunga ottanta palmi, e larga trentacinque, e divisa da due ordini di pilastri in tre corridori. In questa conserva l' acqua era introdotta da un acquedotto scavato pure nel sasso, all' altezza di dieci palmi, che ancora si riconosce.  Ciò però, che maggiormente reca stupore in Siracusa è la vasta estensione delle sue mura formate da pietre quadrate, che secondo Diodoro furono finite in venti giorni essendovi occupate sessantamila persone divise in numero di duecento per ogni jugero di terreno, ed aiutate per il trasporto da seimila buoi. Ancora esiste presso che la metà di questo muro, dal castello Labdalo fino al seno di mare ove oggi è la Tonnara di S. Panagia. Nel luogo chiamato la Targetta si vedono le vestigia della porta ove segui il cambio de'prigionieri fra Marcello, e i Siracusani. Nella parte opposta osservasi un altro pezzo di muro, dove gli Ateniesi tentarono di assalire Siracusa, e vicino ad esso si osservano le vestigia del contro muro che gli Ateniesi procurarono di alzare per agevolarsi l'assalto. Si sa che non pervennero mai a compirlo, poiché i Siracusani nella notte disfacevano quello, che essi nella giornata aveano lavorato. Uscendo da Siracusa, ed incamminandosi verso il luogo chiamato Scala Greca si trovano le rovine del Castello Labdalo nominato di sopra, che fu la fortezza principale di Siracusa. Giace esso sopra una rupe inaccessibile da tutti i lati, presso il luogo dove i due quartieri di Neapolis, e Tyche congiungevano le loro mura. Dalle rovine di questo castello che veggonsi verso Ponente si riconosce, che due porte davano l'ingresso in un cortile lungo circa canne 3o, e largo 7 canne, e quattro palmi. Verso il settentrione si osservano i residui di una gran muraglia, che forma un baluardo triangolare, e che prolungandosi è attaccato ad una torre ettagona creduta l'Eurialo, e continuando si unisce al muro di mezzogiorno, dove forma un angolo assai acuto, che chiude tutta la fortezza. Dentro quest'angolo si trova un pozzo per commodo della guarnigione. Ivi la rocca è stata tagliata da parte a parte, formando una larga fossa, e profonda, che nel tempo stesso fornì le pietre per la edificazione della fortezza, e la rese da questa parte inaccessibile. In questa fossa si vede un'apertura che servì di strada sotterranea capace di un'uomo a cavallo, la quale s'introduceva nel quartiere Tyche, e potea servire a fare sortite, ed introdurre soccorsi. Continuando a salire di là dal Castello Labdalo per una scala tagliata nella rupe, e chiamata Scala Greca si giunge alla estremità di questa elevazione sulla quale si veggono residui di edificj antichi creduti opera de' Saraceni per godere di là della bella veduta. Ritornando ad Ortigia, infaccia ad essa, e circa un mezzo miglio distante dal mare di Porto Grande si osservano le rovine maestose del tempio di Giove Olimpico chiamato ancora Urio cioè di buon vento, ed Imperatore. Di questo tempio oggi sole due colonne dimezzate esistono in piedi, mentre sette ve n'erano ancora a'tempi di Gluverio, tanto le antichità vanno decadendo anche in Sicilia.. Celebre era la statua di Giove ivi esistente, la quale essendo stata da Gerone il vecchio Re di Siracusa coperta di un pallio di oro colle spoglie tolte ai Cartaginesi, ne fu da Dionisio il vecchio tiranno spogliata, al dire di Valerio Massimo, sotto pretesto, che un tal pallio era per Giove troppo pesante nella state, e troppo freddo nel verno, e perciò ne sostituì uno di lana, che meglio potesse servire. Verre Pretore trasportò questa statua a Roma, ed a questo traslocamento del simulacro si deve certamente attribuire la decadenza del Tempio. Meritano di essere lette le accuse di Cicerone contro lui circa questa statua. Sono celebri in Siracusa i Cemeterj antichi, o le Catacombe, che appartengono alla epoca del suo maggiore splendore. Di questi, che si riconoscono fino a sette di numero, quello chiamato le Grotte di S. Giovanni è il più spazioso, e il più bello. E' questo scavato nel sasso vivo, ed entrandovi subito s'incontra la strada principale tirata in retta linea, e coperta con volta piana 5 era molta lunga ma la terra che è caduta di sopra ha intercettata il passaggio. A mano sinistra poca dopo l'ingresso si vede un acquedotto, che casualmente s'incontrò nel fare questo taglio. Da ambo i lati si osservano molti sepolcri per uomini, e fanciulli; coperti ad arco, ed incavati nel sasso. Dì distanza in distanza veggonsi de' corridori formati a linea retta, e larghi sette palmi, ed il loro pavimento è coperto di 3o a 60 sepolcri scavati a traverso, che ne occupano tutta la larghezza, restando fra un sepolcro, e l’altro le divisioni dì mezzo palmo sulle quali era appoggiato il coperchio. Di tratto in tratto si osservano pure delle camere, che mostrano essere state chiuse con porta, e perciò avere appartenuto a famiglie distinte. In alcune di esse veggonsi de'sepolcri isolati, forse per il capo della famiglia, o per persone piò ragguardevoli. Dove le strade s'incrociano formano piazze rotonde coperte con cuppola, nel centro delle quali sono: delle aperture rotonde che servivano a dare aria, e lume. Questi edìficj' sotterranei simili all'incirca alle Catacombe di Roma per Vuso, lo furono ancora riguardo all'origine dovendo essere stati anche essi Latomie per trarre le pietre, e poi furono resi più regolari, quando se ne vollero fare sepolcri. Ciò però che merita osservazione è, che queste Catacombe di Siracusa pare, che non abbiano come quelle di Roma, di Napoli, e di altri luoghi servito per i Cristiani primitivi, ma che siano stati come tanti cemeterj publici della città, a somiglianza delle Catacombe di Egitto. Presso Siracusa scorre il famoso fiume Ànasso, nelle cui acque cresce la pianta del Papiro chiamato dai paesani Pampera. Questa pianta ama le acque tranquille, giacché non barbicandosi le sue radici ai terreno, verrebbe facilmente trasportata dalla corrente. Partendo da Siracusa , sul confine del suo territorio si trova il feudo di Cassibili, che prende il nome dal fiume chiamato un tempo Cacybaris. Sull'alto veggonsi le rovine dì un antico edilizio, che dagli scavi fattivi mostrò essere un bagno riccamente adornato di marmi, frai quali meritano essere rammentati un pregevole bassorilievo, ed un mezzo busto femminile in alabastro, che ivi furono scoperti nel 1771. Questo edificio è stato quindi ricoperto di terra. Continuando il cammino si trova la montagna di Àcrimonte, nome che si deriva da una città di Acre , che ivi si crede avere esistito. Nelle rupi, che formano la base di questo monte veggonsi scolpite in rilievo molte figure rappresentanti donne assise, con fanciulli di varie grandezze attorno, e figure militari da'lati. Altri pongono Acrae più dentro terra presso il luogo chiamato Palazzolo.
Noto, Noetvm. Questa città, che non esiste più sul sito dell'antica non porge cosa che meriti di essere descritta. Otto miglia però distante da Noto moderno si trova il sito dell'antico, dove si vede rovesciata dall'alto una greca iscrizione a lettere palmari, che tratta di un ginnasio. Due miglia distante da Noto moderno nel Romitorio di S. Maria, e precisamente nella cucina de' Frati esistono gli avanzi di un tempio antico, ignoto. Quattro miglia poi lontano da Noto moderno, sulla spiaggia del mare fra il fiume la Falconara di Noto anticamente detto Asinaro, ed il fiume Abbisso già detto Eloro, si veggono le rovine della antica città di Eloro, le quali però sono molto decadute dallo stato in cui le vide Cluverio, che afferma essersi a suo tempo veduti pezzi di grandi muraglie, vestigia di un Teatro, ed avanzi della famosa piscina descritta da Plinio. Presso la riva del mare nel luogo che dicesi spiaggia dell'Aguglia si vede un gran resto di un cono costrutto di pietre senza calce, che conserva ancora 42 palmi di elevazione, e 14 di diametro, posa sopra quattro gradini, e si erge sopra una specie di zoccolo tagliato nella rape. Forse sarà stato un trofeo eretto ne' tempi più antichi per qualche vittoria riportata. Nelle vicinanze di Eloro esiste un bel colombajo sotterraneo, scavato nella rupe. L’ingresso è adornato di due colonne doriche scanalate con cornicione bene eseguito; vi si scende per otto gradini antichi, e si osservano ancora gl'indìzj della porta, che lo chiudeva. L'interno è sostenuto da quattro grandi pilastri, ed infaccia si vede una gran tribuna, a piedi della quale all' altezza di tre palmi da terra si vedono incavate otto nicchie circolari, sulle quali sono alcune lettere greche molto grandi, che doveano formare qualche iscrizione. In mezzo alla tribuna si alza un masso isolato fatto per sostenere un sarcofago o per divenire sarcofago esso stesso; due altri simili se ne osservano fra pilastro, e pilastro, e provano sempre più che la fabbrica non è stata compita. Lateralmente alla tribuna si aprono due scavi in linea retta, con due ordini di sepolcri profondati regolatamente nel pavimento di entrambi; ambedue vanno a terminare in una scala a lumaca, di cui parlai poco sopra, e che sono restate imperfette. Altri tre simili scavi corrispondono nel medesimo sotterraneo, e negli spazj fra l'una, e l'altra vi sono nove nicchie simili alle prime. Vicino alla Torre di Vendicari che si crede edificata dal Conte di Noto Pietro di Aragona si veggono le rovine d'incerta città; ed altre rovine si veggono pure sopra una isoletta dello stesso nome, la quale non ha che 5oo passi di circuito, e forma un piccolo ricovero di barche.
Modica, Mothyca. Andando da Noto a Modica si traversa la catena de'monti, che finisce colla seconda punta dell' isola chiamata Capo Pachino, oggi Passaro, celebre per il Tempio di Apollo Libistino ivi anticamente esistente. Cinque o sei miglia distante da Modica che ognuno riconosce essere l'antica Mothyca nella cava d'Ispica si vede una intiera città, che per la sua forma rarissima mostra essere dell' antichità più remota. E questa scavata in un lato della valle formato da una rupe dentro la quale sono state scavate molte case, il cui prospetto anticamente era coperto dalla rupe stessa; ma questa coll'andare de' secoli essendo caduta ha mostrato queste case come se si fosse fatto in un disegno il loro spaccato. Entrando in una di queste abitazioni nella parte più bassa della valle, si trovano dieci o dodici stanze in fuga di bastante grandezza, ed in una di esse si vede la scala tagliata nel masso composta di nove gradini, ma che resta sospesa da terra circa nove palmi, ai quali si sarà supplito con una scala mobile di legno, che forse toglievasi per maggior sicurezza la sera. Al capo più alto della scala si osserva un' apertura fatta a guisa di un pozzo, che porta ad un piano superiore simile al primo, eda questo si passa ad un terzo piano. In questo ultimo piano si vede una galleria larga, scoperta, tagliata ancor essa nel sasso, la quale communica con tutte le stanze di questo piano, e da a godere una superba veduta. Chi non riconosce a questi tratti una città primitiva, e formata avanti, che si avesse l'idea di fabbricarsi le case? Si sà che in Affrica queste case scavate erano sì communi che aveano dato il nome ai Trogloditi, si sa che gli Affricani furono de'primi popoli a passare in Sicilia, dunque non è irragionevole il congetturare che a loro tale città appartengasi. I paesani chiamano questo luogo il castello d'Ispica.
Santa Croce Camarina, Kamarina. Nel lato di mezzogiorno dell'Isola in vista della Terra di S. Croce, e quattro miglia circa distante dal mare si vede una magnifica piscina lunga 74 palmi e larga 5o, formata di grosse muraglie di pietre quadrate, e nel suo vano ha 45 palmi di lunghezza, e 32 di larghezza. Ivi scaturisce un'abbondante sorgente di acqua, che si tramanda per due condotti larghi ognuno tre palmi. Cluverio crede, che questa sia la famosa fonte di Diana. Anticamente essa serviva per il bagno, che si osserva nel vicino giardino, nel quale scorre anche oggi l'acqua per inaffiarlo. La figura del bagno predetto è in forma di croce con stanza a cuppola in mezzo, e tutta la costruzione è di pietre quadrate, unite insieme senza calce. L'edificio poi oltre la sala suddetta ha tre altre camere, ed in tutto è lungo 52 , e largo 35 palmi. A qualche distanza di questo bagno si osservano le rovine di un altro edificio simile chiamato dai paesani bagnu di Marì. Seguitando il cammino per questa spiaggia, dopo otto miglia di strada si trova il sito dell'antica città di Camarina, così encomiata da Pindaro, e della quale parla Virgilio. Il solo residuo che ne resta è la cella di un tempio, della quale si veggono i muri laterali costrutti di pietre quadrate dove era l'ingresso, e verso il mare parte del pavimento formato da pietre egualmente quadrate di gran mole, lungo 3o palmi, e largo 20. Sopra questo edificio hanno fabricato una casa, ed una chiesa rurale, e ciò ha impedito l'intiera sua distruzione. Poco dopo si osserva verso l'Oriente il famoso lago di Camarina, ed il fiume Ippari oggi detto Camarana, che scorreva attorno alle sue mura. Di là da questo fiume sì trovano molti ruderi di sepolcri, ed in essi si rinvengono spesso di quei vasi, che piuttosto, che Etrusci dovrebbero dirsi italo-greci, e sìculo-greci, i quali sono di bella manifattura.

 
 
 
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Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d’avere: l’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t’aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti.
Italo Calvino, da “Le città invisibili”

 


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Paccheri di Gragnano ripieni di ricotta di pecora e Gamberetti di Mazzara su ragout di pomodorini del Vesuvio e salsa di Gamberi
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(tratto da O' surdato 'e Gaeta di Ferdinando Russo)


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Tutto quello che è stato fatto
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Piemme, 2010



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Guido Dorso
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L'uso criminoso dei NOSTRI soldi per avvelenare le NOSTRE FAMIGLIE deve finire.

 

HANNO DETTO SUL MERIDIONE


Il governo piemontese si vendica mettendo tutto a ferro e fuoco. Raccolti incendiati, provvigioni annientate, case demolite, mandrie sgozzate in massa. I piemontesi adoperano tutti i mezzi più orribili per togliere ogni risorsa al nemico, e finalmente arrivarono le fucilazioni! Si fucilarono senza distinzione i pacifici abitatori delle campagne, le donne e fino i fanciulli
L’ Osservatore Romano (1863)

Il Piemonte si è avventato sul regno di Napoli, che non voleva essere assorbito da quell'unità che avrebbe fatto scomparire la sua differenza etnica, le tradizioni e il carattere. Napoli è da sette interi anni un paese invaso, i cui abitanti sono alla mercè dei loro padroni. L’immoralità dell’amministrazione ha distrutto tutto, la prosperità del passato, la ricchezza del presente e le risorse del futuro. Si è pagato la camorra come i plebisciti, le elezioni come i comitati e gli agenti rivoluzionari
Pietro Calà Ulloa (1868)

Sorsero bande armate, che fan la guerra per la causa della legittimità; guerra di buon diritto perché si fa contro un oppressore che viene gratuitamente a metterci una catena di servaggio. I piemontesi incendiarono non una, non cento case, ma interi paesi, lasciando migliaia di famiglie nell’orrore e nella desolazione; fucilarono impunemente chiunque venne nelle loro mani, non risparmiando vecchi e fanciulli
Giacinto De Sivo (1868)

L’unità d’Italia è stata purtroppo la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico sano e profittevole. L’ unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse lo stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che in quelle meridionali
Giustino Fortunato (1899)

Sull’unità d´Italia il Mezzogiorno è stato rovinato, Napoli è stata addirittura assassinata, è caduta in una crisi che ha tolto il pane a migliaia e migliaia di persone
Gaetano Salvemini (1900)

Le monete degli stati pre-unitari al momento dell’annessione ammontavano a 668,4 milioni così ripartiti:
Regno delle DueSicilie 443,2, Lombardia 8,1, Ducato di Modena 0,4, Parma e Piacenza 1,2, Roma 35,3, Romagna,Marche e Umbria 55,3, Sardegna 27,0, Toscana 85,2, Venezia 12,7
FrancescoSaverio Nitti (1903)

Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l´Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti
Antonio Gramsci (1920)

Prima di occuparci della mafia  dobbiamo brevemente, ma necessariamente premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell’unificazione non era mai esistita, in Sicilia. La mafia nasce e si sviluppa subito dopo l’unificazione del Regno d’Italia
Rocco Chinnici (1983)

L’ufficio dello stato maggiore dell’esercito italiano è l’armadio nel quale l’unificazione tiene sotto chiave il proprio fetore storico: quello dei massacri, delle profanazioni e dei furti sacrileghi, degli incendi, delle torture, delle confische abusive, delle collusioni con la sua camorra, degli stupri, delle giustizie sommarie,
delle prebende e dei privilegi dispensati a traditori, assassini e prostitute
Angelo Manna (1991)

 
 

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