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Un blog creato da lecittadelsud il 01/06/2010

LE CITTA' DEL SUD

Identità e decrescita sostenibile delle province duosiciliane

 
 

BREVE STORIA DELLE DUE SICILIE

da: "DUE SICILIE" Periodico Indipendente - Direttore: Antonio Pagano

www.duesicilie.org

La storia della formazione dello Stato italiano è stata così mistificata che non è facile fornire un quadro fedele di tutti gli avvenimenti che portarono all'unità. Dal 1860 in poi è stato eretto dal potere italiano un muro di silenzio  Molti importanti documenti sono stati fatti sparire o tenuti nascosti, e ancora oggi sono secretati negli archivi di stato;

 

 INDICE

Sintesi storica

Situazione sociale ed economica

Le più importanti realizzazioni

Le cause della fine del Regno

I Garibaldine e l'invasione piemontese

La resistenza duosiciliana

Conclusioni

 

 

ITINERARIO STORICO NEL REAME DELLE DUE SICILIE
tratto da Giuseppe Francioni Vespoli (1828) e Antonio Nibby (1819)

Itinerario 1 (Napoli Capitale)
Itinerario 1 (da Portici a Pompei)
Itinerario 1 (da Pozzuoli a Licola)
(Intendenza di Napoli)
Itinerario 2 (da Nola al Matese)
Itinerario 2 (dal Garigliano a Venafro)
(Terra di Lavoro)
Itinerario 3
(Principato Citra)
Itinerario 4
(Principato Ultra)
Itinerario 5
(Basilicata)
Itinerario 6
(Capitanata)
Itinerario 7
(Terra di Bari)
Itinerario 8
(Terra d'Otranto)
Itinerario 9
(Calabria Citeriore)
Itinerario 10
(Calabria Ulteriore Prima)
Itinerario 11
(Calabria Ulteriore Seconda)
Itinerario 12
(Contado di Molise)
Itinerario 13
(Abruzzo Citeriore)
Itinerario 14
(Secondo Abruzzo Ulteriore)
Itinerario 15
(Primo Abruzzo Ulteriore)
Itinerario 16
(Intendenza di Palermo)
Itinerario 17
(Intendenza di Messina)
Itinerario 18
(Intendenza di Catania)
Itinerario 19
(Intendenza di Girgenti)
Itinerario 20
(Intendenza di Noto)
Itinerario 21
(Intendenza di Trapani)
Itinerario 22
(Intendenza di Caltanissetta)

 

I SONDAGGI

 

 

LE INIZIATIVE

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ITINERARIO 18

Post n°72 pubblicato il 11 Ottobre 2010 da lecittadelsud
 


Provincia (Intendenza) di Catania (capoluogo: Catania)
Distretti: Catania, Caltagirone, Nicosia

Il vallo di Catania ha per limiti al nord il mare Ionio; all'est il mar di Sicilia, al sud il vallo di Siracusa; all'ovest quello di Caltanissetta. Partesi in tre distretti, 25 circondarli, e 66 comuni. I tre distretti sono: Catania, Nicosia e Caltairone.  A settentrione della piana di Catania sorge gigante il famoso Mongibello, il quale, lasciando verso il meriggio una grande pianura, ha un'elevazione di 3 miglia circa sul livello del mare, e una periferìa di circa 120 miglia. Si discerne in tre regioni, coltivata, selvosa, e scoperta. Havvi tra queste tre divisioni per la temperatura e le produzioni la stessa differenza ch'è tra le tre zone torrida, temperata, e glaciale. I fenomeni di questo volcano, a petto al quale il Vesuvio potrebbe dirsi un volcano da gabinetto, sorpassano tutto ciò che l'imaginazione può rappresentarsi. Le sue eruzioni han lanciato pietre selciose, basaltiche con ciottoli neri, con zeolìte, con crisòliti: lave vitrose, scorie massive, porose, arenacee, ceneri, tufi, ferro, zolfo, solfato di ferro, bitume, soda, ammoniaco. Nel porto di Catania sbocca il Simeto, oggi Giarretta, il quale termina alla foce la provincia, e partela da Siracusa. Il fiumicello Aci è noto nella favola. Nel primo si raccoglie l'ambra gialla, con cui si fanno de'graziosi lavori. Catania è la più bella e la più colta provincia dell'isola. Ivi sono le maremme saline. In quasi tutta l'isola abbondano bei marmi e pietre dure, sì come diaspri, smeraldi, brilli ecc. I vini sono poderosi, ed haccene quantità di dolci. Vi sono fabbriche di seterìe eccellenti, manifatture d'agata, di marmi, di cristalli di rocca, di ambra ecc.

Aci Reale, Ace , 0 Acys. E' questa edificata sulle falde dell'Etna, e sulle lave già coltivate di essa; si chiama Reale a distinzione di altri luoghi che in Sicilia portano lo stesso nome. Ovidio la chiamò erbosa, per il ruscello dello stesso nome, che l'irrigava. Essa è situata circa un miglio distante dal mare sopra un'altezza assai considerabile formata da replicate eruzioni vulcaniche dell’ Etna, contandosi perfino nove strati di terra fra una eruzione, e l'altra. Da questa altezza si discende al mare per una via a zig-zag, chiamata la Scalazza. La città è molto polita, e decorata di belli edificj, e di chiese grandi. La campagna è assai coltivata a canape, e lini. Lasciato Aci, e prendendo la strada di Catania, si osservano gli avanzi di un magnifico bagno con due grandi sale, una maggiore dell'altra, ed ambedue a volta; nella più grande di esse si veggono cinque, e nell'altra tre ordini di doccioni incastrati nel muro, forse per isvaporare il calore soverchio dell'acqua termale. Nel muro intermedio si vedono a piedi di esso alcuni archetti, per i quali si communicava l'acqua di una stanza in un'altra. Attorno a queste due sale esteriormente si veggono molti avanzi appartenenti a questo stesso bagno, e fra questi parte dell'acquedotto, che vi portava l'acqua da una sorgente sulfurea, e calda, a poca distanza, che i paesani appellano il Pozzo di S. Venera. Quest'acqua è ottima per i morbi cutanei, e la chiesa ivi adiacente di S. Venera è quella, che le da il nome attuale.
Trizza. Continuando il viaggio quasi sempre in vista del mare si giunge alla piccola popolazione nominata la Trizza, dove i famosi scogli de' Ciclopi chiamati volgarmente Faraglioni formano un ricovero mal sicuro ai navigli. Questi sono di forma conica, e non stanno più di cento passi discosto dalla terra. Accanto all'ultimo si trova un' isoletta chiamata Aci anche essa, che gira circa duecento passi: è coperta di ruderi, e vi si veggono ancora conserve di acqua. Sì l'isoletta, che li scogli sono molto interessanti per le produzioni naturali, dalle quali sono formati, e sono celebri nella mitologia per le favole de' Ciclopi, per gli amori di Galatèa, e di Aci, per la collera, e la barbarie di Polifemo ecc.. Essi erano anticamente chiamati i tre scogli de' Ciclopi, Scopuli Cyclopum tres.
Castello d’Aci. A vista di occhio dello scalo della Trizza si giunge al Castello d'Aci, fortezza situata sopra un alto promontorio di lava, celebre nella storia Siciliana per esservisi fortificato Artale di Alagona ribelle del Re , il quale poi si rese per capitolazione. Questo castello è di accesso difficile, essendo situato sopra una rupe tagliata perpendicolarmente intorno, e da tre lati cinta dal mare, e non potendovjsi entrare, che per un ponte levatojo. Verso terra domina un villaggio popoloso, già cinto di mura, delle quali si vedono ancora gli avanzi, e una porta. Si pretende, che questo recinto fosse fatto dal Conte Ruggieri, il primo de' Normanni, che dominò in Sicilia, conquistandola sui Saraceni. Poco prima di giungervi si trova un' antica piscina quadrata a volta, con muri anche essi di pietre quadrate. La volta è interiormente circolare, e posa sopra quattro grandi pietre poste negli angoli.
S.Maria di Lognina. Dopo circa quattro miglia di disagiato cammino si giunge allo scalo di Lognina, ove non sono, che pochi abitanti, una chiesa, ed una torre di guardia. Questo è il celebre porto di Catania descritto da Omero, che lo chiama grande, e da Virgilio; ma le eruzioni dell'Etna ne hanno talmente cangiato l'aspetto, che non si potrebbe più riconoscere per lo stesso descritto dai principi della Greca, e Latina poesia. Poco prima di giungere a Catania, nel traversare la tenuta del Rotolo si veggono le rovine di un antico edificio, del quale si conserva ancora una parte del pavimento, ed alcuni pezzi della elevazione delle mura. A capo di esso esiste più intiera del resto una gran tribuna, e dietro vi si osserva un lungo corridore a volta, di solida costruzione, che è restato coperto di antica lava. Vi si può camminare in piedi, ma la volta corrisponde sotto il pavimento della fabbrica. L'uso di questo edificio è affatto incerto. Quindi si trova il masso di un antico sepolcro.
Catania, Catana. Questa città giace trenta miglia distante da Taormina, e sessanta da Messina; la sua fondazione si deve ai Calcidesi, i quali partiti con Teucle dalla Eubea, prima Nasso, e quindi Catana edificarono in Sicilia, cinque anni dopo, al dire di Tucidide, che Siracusa era stata fondata da Archia, e dai Corintj. Fondatore della colonia Catanese fu Evarcho nell' anno 753 avanti Gesù Cristo, cioè lo stesso in cui venne fondata Roma. La vicinanza dell'Etna ha fatto soggiacere Catania a molte sciagure per i terremoti, pure l'amenità della sua situazione l'ha vinta sopra gl’incommodi derivanti dal vulcano, e sempre Catania è risorta più bella. Infatti la città odierna cosi popolosa, florida, e ben fabbricata , con strade ampie, e diritte, non data, che poco più di un secolo; e circa il suo rango è la terza città dell' isola. Essa giace in una aperta pianura non lungi dal golfo, che porta il suo nome; a levante è bagnata dal mare, a mezzogiorno siede vicino alle più basse falde dell’Etna. Vi sono molte chiese, e case religiose, ed una Università. La festa di S. Agata protettrice della città merita specialmente di essere veduta per gli usi, che l'accompagnano. Essa si celebra il 4 di Febrajo. Molti sono gli avanzi antichi, che ancora ivi rimangono, ed in primo luogo è degno di essere menzionato l'Anfiteatro, sebbene in gran parte sepolto. Questo Anfiteatro era già in rovina ai tempi di Teodorico, e perciò gli fu chiesto il permesso di servirsi delle pietre di esso per risarcire le mura della città, come si rileva da Cassiodoro nella lettera 49 del libro terzo: a quella epoca deve ascriversi la rovina degli ordini superiori. L’ordine inferiore rimase poi interrato per le rovine prodotte dai terremoti; ma malgrado ciò, sono evidenti gl'indizj di esso nella piazza Stesicora, oggi detta di Porta d'Aci. Dirimpetto alla chiesa del Carcere si trova l'ingresso per scendere nel sotterraneo. La mole è formata da pietre quadrate di lava, e gli archi da grossi mattoni, come dagli avanzi apparisce. Annesso al Teatro era l' Odèo; dì questo si veggono ancora gli avanzi. Le Terme si prolungavano nella piazza de' Benedettini, e alla Chiesa della Concezione de' Minoriti, essendo parte di esse quella stanza a volta circondata da un acquedotto, attaccata a quella chiesa, e ridotta in cappella di S. Cataldo. Alle Terme pure doveano appartenere quegli avanzi di stufe scavati dal Principe di Biscari, situate in faccia la Chiesa di S. Maria dell' Idria. Dalle Terme passando al Foro di Catania se ne veggono gli avanzi in quelle volte, che trovansi sepolte nel cortile detto di S. Pantaleo. Delle volte, che prima servivano di taberne, molte servono anche oggi di abitazione, altre sono sepolte, ed altre distrutte. Parte del Convento di S. Agostino è fondata sopra avanzi antichi poco discosti dal Foro, e forse alla Basilica appartenevano le colonne, che prima del terremoto del 1693 stavano nel chiostro del convento suddetto, e che oggi sostengono i portici della piazza di S. Filippo. Andando quindi al Convento de' Carmelitani di Monte Santo, si vede ivi una bella sala ottagona con volta formata di pietre quadrate di altezza eguale, che formano come tante zone. Questo era un laconico, o Sudatorio, come dopo gli scavi fattivi nel 1779 è stato riconosciuto. Vi si vede ancora il praefurnium, il passaggio per andarvi, e porzione del sotterraneo, che riceveva il calore del fuoco, che di là si commanicava dappertutto. Così insensibilmente si giunge alla parte bassa, e marittima di Catania, dove è primieramente da osservarsi la Cattedrale rifabbricata dopo l'anno 1693, allorché il terremoto distrusse quella edificata in origine dal Conte Ruggieri, ed adornata con colonne di granito estratte dal Teatro, con altri marmi, che decoravano la scena. Questa chiesa è edificata sopra le rovine di antichi bagni, de' quali si vedono ancora gli avanzi di volte decorate di stucchi. Una porzione dell' esterno si osserva dentro il Seminario attaccata alla Chiesa. Merita di essere veduta la chiesa internata nel palazzo Buonajuto, che mostra essere stato un sepolcro antico costrutto di pietre quadrate Etnèe. L’ingresso antico era dalla parte verso la stalla, ed oggi è murato. Nel resto l'interno era quadrato con quattro grandi nicchie, una delle quali serviva d'ingresso, e le altre tre erano per i sarcofagi. Di queste una è stata ridotta in altare; l'altra è stata tagliata per l' ingresso moderno; e la terza è tagliata in parte dal nuovo muro. Uscendo dalla porta Ferdinanda,  arco eretto in memoria del matrimonio fra il Re Ferdinando III e Maria Carolina Arciduchessa d'Austria, nella parte occidentale, nel Territorio detto del Sardo esisteva una fabbrica antica con volta a botte. Questo edificio, che trovasi fuorj delle mura e fa propendere a crederlo un sepolcro, è stato trasformato in un casino moderno, e perciò è poco riconoscibile. Presso questo rudero rimodernato si vedono avanzi dell' antico acquedotto Catanese, il quale traeva la sua origine da Licodia. Più di due secoli sono ne restavano 42 archi, i quali parte furono demoliti per ristaurare le mura della città, e parte vennero rovinati, e coperti dalla eruzione del 1669. Il luogo della sorgente dell'acqua, che era da questo portata in Catania, appellasi oggi la Botte dell'Acqua, e ne' giri, che formava l' acquedotto, parte sotterraneo, parte sopra sostruzioni, e sopra archi percorreva dieciotto miglia. Celebre era in Catania il Tempio di Cerere, del quale appena si riconoscono gl'indizj dentro il Bastione denominato degl'Infetti, e nella strada, che lo circonda, consistenti in avanzi di mura forti eguagliate al suolo. Continuando il cammino per questa via, si giunge alla Chiesa di S. Agata la Vetera, dove esiste un antico sarcofago di marmo, che pretendesi avere racchiuso il corpo di S. Agata, dopo che ebbe ricevuto il martirio. Andando quindi al Convento de' Domenicani di S. Maria la Nuova, è da notarsi, che ivi era il pubblico cemeterio. Nella Chiesa di S. Maria di Gesù esiste il sepolcro di Bartolommeo Paternò, ed un busto di marmo di Alvaro Paternò suo avo, Senatore di Roma, opera di Vincenzo Gagini, scultore. Uscendo dalla Chiesa di S. Maria, si vede di prospetto il Romitorio de' Preti ritirati, detto la Mecca, dove nella Chiesa dedicata a S. Girolamo si scende in un Colombario ben conservato, colla nicchia più grande per il proprietario di esso. Inoltrandosi per questa strada, si giunge a Cifali, nome che si pretende derivato da Cibele, che si dice avere avuto qui un tempio. Molte sono le rovine che ivi si veggono e si suppone appartengano al tempio della Dea di Pessinunte. Un miglio distante, nel territorio detto la Licatia, esiste un edificio di pietre quadrato ridotto in cappella, che interiormente è decorato di tre nicchie, e coperto di volta che scrittori Catanesi appellano il tempio di Leucotea. Ritornando in Catania, meritano di essere osservate due stanze sepolcrali, sotterranee, presso l’Ospedale di S. Marco, e quasi sotto la Chiesa di S. Euplio. La tradizione sacra vuole, che ivi questo Santo fosse rinchiuso. Meritano, infine, di essere osservati il Museo del Principe di Biscari, la Biblioteca della Università; il Monastero de' Benedettini, la sua Chiesa, Biblioteca, Museo, e giardini; ed il Museo delle produzioni naturali sicule del Sig. Gioeni.
Monte Etna, Aetna (Mongibello). Stando in Catania non si può mancare di salire sopra l'Etna, vulcano il più antico, de'quali la storia faccia menzione. Per fare questo viaggio con minore incommodo, è necessario di scegliere il tempo caldo, ed una giornata tranquilla, ed ascendervi di notte, accompagnato da una guida esperta, che conduca. Dopo avere traversato campagne fertilissime, e boschi adorni di alberi smisurati, si troverà in un deserto coperto, di ceneri aride che non lasciano crescervi erba. Ivi comincerà a soffrire il più rigido clima; per le nevi, ed il freddo, e molto più se spira vento. Continuando ad ascendere, si trova il rudere di un antico sepolcro chiamato la Torre del Filosofo, e che dai frammenti di marmo, e di piombo ivi trovati mostra essere stato assai decorato. Si giunge dopo sopra la più alta cima, dove chiuso fra tre colline osservasi il cratere assai vasto; se vi si giunge prima dello spuntare del sole si gode uno spettacolo nuovo; si veggono sotto i piedi le nubi, si scopre d'intorno tutta la Sicilia, e se il tempo è chiaro non è difficile lo scoprire anche Malta. Scendendo di nuovo a Catania, e lasciando la via lungo la costa, per internarsi nel paese, dopo sei miglia di strada si trovano le rovine di un antico ponte sul fiume Simeto, indizj sicuri di antica via.
Centorbi, Centuripae. Questa città è situata sopra un alto monte isolato, di circa un'ora e mezza di disastrosa salita. Sebbene anticamente fosse delle più nobili della Sicilia, secondo, che Cicerone la descrive nelle Verrine: oggi però è molto decaduta dal suo splendore. Si riconoscono gli avanzi del suo recinto, con mura situate sopra balze inaccessibili, e la città stessa sendo in terreno ineguale, era formata a varj ripiani fortificati da speroni. Verso il settentrione, scendendo circa un miglio dalla moderna abitazione, si veggono gli avanzi di un magnifico bagno, restando ancora cinque grandi tribune, che formavano uno de'lati, ed in una di esse vi sono ancora i sedili. Altri avanzi di uso incerto si veggono ne' luoghi chiamati la Dogana, la Panneria, e la Maddalena, e nella casa di un privato di cognome Di Marco. Anche la Chiesa del Crocifisso è edificata sopra avanzi antichi, ed altri residui si veggono presso il Convento di S. Agostino, di varie epoche, ma il primo ordine è antichissimo. Avanti la chiesa principale veggonsi alcune colonne di diverso diametro, che unitamente ad altri marmi in diverse epoche trovati mostrano quanto questa città fosse decorata. Merita di essere osservata una urna sepolcrale di marmo conservata nella Chiesa principale. Fragli oggetti che si sono rinvenuti debbono annoverarsi i camei, le gemme, e soprattutto elegantissimi vasi dipinti italo-greci, che mostrano essere state tali manifatture assai conosciute in questa città. Centuripae fu la patria del celebre medico Celso. Di là da Centorbi havvi la città di corrispondente all' antico S. Filippo di Argirona, Agyrium. Siccome tutte le sue memorie antiche sono sparite, non merita di essere visitata, e fare un penoso viaggio per pervenirvi. Solamente è da notarsi, che essa fù patria dello Storico di Sicilia Diodoro, e che ivi fu nello scorso secolo scoperto un piedestallo, sul quale in greci caratteri era espresso il nome di Diodoro figlio di Apollonio, ora conservato nel Museo del Principe di Biscari in Catania. Lasciando Centorbi, e prendendo la via di Adernò, dopo avere osservato il fiume Salso, e traversato il Feudo di Aragona, si giunge di nuovo al fiume Simeto. Si passa questo per un ponte moderno , che nello stesso tempo sostiene un acquedotto, il quale porta le acque al Feudo predetto.
Aduernò, Adranum. Questa città, che conserva l'antico nome di Adrano, fu fondata da Dionisio tiranno di Siracusa, il quale così chiamolla, al dire di Diodoro, per un tempio ivi esistente del Dio Adrano, divinità nazionale de'Siciliani. Questa città, molto popolata, conserva ancora parte dell'antico recinto costrutto di pietre quadrate di lava, e connesse senza calce. La grossezza delle mura era di palmi sedici, e se ne vede un tratto di più di cento canne nel luogo chiamato di Cortaleni. Altri residui se ne veggono nell’orto Reali, e dietro il Convento di S. Francesco. Dagli avanzi esistenti apparisce, che di tratto in tratto vi erano torri quadrate. Del tempio famoso del Dio Adrano si riguarda come un avanzo dagli abitanti del paese un grosso muro di pietre quadrate di sostruzione ivi ancora esistente. Merita pure di essere visitata la torre Normanna, che servì di abitazione ai suoi Conti, e che oggi serve di carcere. Questa si trova nel centro della città, e per mancanza di riparazioni cade in rovina. Merita di essere citato un bel sepolcro costrutto di pietre quadrate presso il Convento de' Cappuccini; ed un altro edilìzio antico quadrilungo, costrutto anche esso di pietre quadrate, oggi ridotto in Chiesa di S. Maria della Scala.
Licodia. Partendo da Aderno, e seguitandoli cammino, a vista del fiume Simeto si trova la piccola popolazione di Licodia, che non va confusa coll'altro luogo di questo nome posto presso il fiume Mazzaruni, già detto Achates, e che un giorno fu colonia di Leontini, chiamata Eubea. Di là da Licodia, ad un miglio di distanza trovansi le sorgenti dell' acqua, che noi vedemmo condotta con acquedotto a Catania. Queste sono quattro, e si uniscono insieme al capo dell'acquedotto, in una stanza quadrata, o bottino, e sotto terra arrivavano al luogo detto de' Romiti, e di là ora sopra terra, ora sotterranea l'acqua giungeva a Catania.
Paternò, Hyblae Majores. Sulle rovine dell'antica città d'Ible soprannomata Maggiore, il Conte Ruggieri per ritirarsi in caso di sconfitta, quando assediava Catania, costruì sopra uno scosceso promontorio una torre di questo nome, che ancora esiste, servendo di carcere, la quale può considerarsi come l’origine più vicina della città moderna. La città è in gran parte situata sul declive del promontorio, ed il resto è nella pianura. Nel luogo denominato l'Ospedale si veggono antichi pavimenti di mosaico, che si estendono sotto parecchie case. Tre miglia lontano dalla città, nel luogo chiamato Bella Cortina veggonsi gli avanzi di un bagno, con un edificio nel centro a forma di croce, assai ben conservato, costrutto solidamente di pietre quadrate. Dai tubi di terra cotta ivi scoperti, si crede, che questo fosse il Sudatorio. In questa stessa contrada, alle falde dell' Etna esiste una grotta chiamata del Fracasso, il cui ingresso è quasi coperto di spine; essa trae il nome attuale dal romore, che ivi si ode delle acque, che si riuniscono, e sprofondandosi dentro, risorgono cento passi lontano, producendo un piccolo lago. Queste si credettero dall'Allegranza le acque, e la fonte de' Palici, malgrado la testimonianza di Diodoro, che le poneva altrove, e malgrado la testimonianza riunita di Ovidio, e di Diodoro, che a chiare note danno all'acqua l'odore sulfureo, che oggi non ha. Seguendo la stessa strada si trovano gli avanzi di un antico sepolcro; è per la strada di Adernò sì vedono i residui di fabbriche de'bassi tempi. Ritornando a Paternò, meritano di essere veduti un pezzo di muro nel luogo chiamato il Priolo, contrada de'Romiti, composto di massi irregolari di costruzione così detta ciclope. Sotto la Rocca di Paterno, e in un podere della famiglia Alessi, presso la barca di Paternò, veggonsi gli avanzi di due acquedótti. Presso quest'ultimo podere il fiume Simeto si tragitta con una scafa, ed immediatamente sotto Paternò si veggono le rovine di un antico ponte sopra questo fiume, le quali contrastano colla violenza delle acque. A questo ponte distrutto sovrasta la collina di Castelluzzo, nella quale veggonsi incavate nella rupe non poche abitazioni; sulla eminenza di questo colle, che forma una mediocre pianura, si vedono due conserve di acqua, una delle quali è rimasta imperfetta. Due, o tre miglia distante da Paternò, in un territorio chiamato il Petraro si trova un poggio circondato di forti muraglie, e fortificato con torri, sulla cui sommità sono i residui di una fabbrica quadrilunga, ed altre rovine credute di un tempio.
Misterbianco. Ritornando sulla strada principale, si scorge in alto a destra della medesima, la Terra della Motta di S. Anastasia, così detta dalla Chiesa parrocchiale. In essa si vede una gran torre Normanna resa celebre per la prigionia di Bernardo Caprera. Presso questa Terra si pone l'antica città di Murgentium. Sulla destra pure della via osservasi di tratto in tratto qualche vestigio dell' acquedotto Catanese, e circa cento passi prima di giungere alla Terra di Misterbianco a sinistra si vedono gli avanzi di un bagno, del quale esistono ancora nove camere, e due di queste di forma circolare conservano ancora i sedili. Queste camere sono costrutte di pietre quadrate con volta coperta da forte lastrico, e sopra una di esse esiste ancora una vasca, che si giudica avere servito di bagno estivo. Uscendo dalla Terra di Misterbianco si vede a destra della via un monte di forma acuta chiamato Monte Cardillo. Sopra di esso esistono avanzi di un edificio triangolare senza indizj di porta, che ha 3o palmi per ogni lato con due angoli acuti ed uno tagliato. Da questo punto si gode una estesa veduta delle parti mediterranee dell'isola.
Scordia. Prendendo la strada di Lentini, si osserva nel feudo detto la Castellana un'ampia conserva d'acqua tagliata nella rupe, in una collina detta di S. Basilio. Questa per la sua artificiosa costruzione, e grandezza merita di essere veduta. Essa è divisa da pilastri in sette navate ciascuna di palmi sette di larghezza, e la metà della lunghezza della prima è occupata da una larga scala che serviva per scendere ad attinger l'acqua. Sull'alto della collina, e delle eminenze vicine si vedono molte case, e molte camere si osservano scavate nella rupe, indizj di popolazione ragguardevole, che un tempo occupò questi luoghi. Riprendendo la via di Lentini, verso tramontana si osserva un monumento assai curioso costrutto di pietre quadrate, di figura ovale nell' esterno, e conica nell'interno. La volta è a capo alzato, e coperta di grosse pietre che formano tante zone a guisa di alti scalini, come si osserva in altri edificj a cupola; e di questi, sei ne esistono quasi intieri; un largo condotto lungo per quanto si discerne 45 palmi, ma che s'internava nel monte, vi scaricava dentro l'acqua; onde fa supporre, che sia una conserva per far macinare un molino. In faccia a questa fabbrica si vede l'antica città di Lentini.
Licodia Eubea, Licuddia. Verso le sorgenti del fiume di Mazzaruni (Dirillo) già detto Achates, che diede o ricevè nome dalle pietre così chiamate (pietre d’Agata), che in gran quantità vi si trovano, esiste la popolazione di Licodia edificata sulle rovine dell'antica Eubea, colonia de'Leontini. Vi restano ancora gli avanzi di un castello assai forte costrutto di pietre quadrate senza calce, sul quale i Normanni edificarono una cittadella anche essa in rovine. Vi rimane ancora una strada sotterranea di communicazione col castello; gli avanzi di ana delle porte antiche, e molti ruderi di sepolcri, in uno de'quali l'anno 1808, scoperto nel podere del Barone Aliotta Ferreri furono rinvenuti oggetti molto curiosi.

 
 
 
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L'AFORISMA

Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d’avere: l’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t’aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti.
Italo Calvino, da “Le città invisibili”

 


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Paccheri Al Regno delle Due Sicilie
Paccheri di Gragnano ripieni di ricotta di pecora e Gamberetti di Mazzara su ragout di pomodorini del Vesuvio e salsa di Gamberi
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"E ' a Riggina! Signò! … Quant'era bella! E che core teneva! E che maniere! Mo na bona parola 'a sentinella, mo na strignuta 'e mana a l'artigliere… Steva sempre cu nui! … Muntava nsella Currenno e ncuraggianno, juorne e sere, mo ccà, mo llà … V''o ggiuro nnanz' 'e sante! Nn'èramo nnammurate tuttequante! Cu chillo cappellino 'a cacciatora, vui qua' Riggina! Chella era na Fata! E t'era buonaùrio e t'era sora, quanno cchiù scassiava 'a cannunata!… Era capace 'e se fermà pe n'ora, e dispenzava buglie 'e ciucculata… Ire ferito? E t'asciuttava 'a faccia… Cadiva muorto? Te teneva 'mbraccia…".
(tratto da O' surdato 'e Gaeta di Ferdinando Russo)


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Cavour è un tale che muore dal freddo piuttosto che dividere il fuoco con gli altri (G.Garibaldi)

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Tutto quello che è stato fatto
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Pino Aprile
Piemme, 2010



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Guido Dorso
Edizioni Palomar, 2005


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Lino Patruno
Rubbettino Editore, 2011

 

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L'ATTACCO DELLO STATO ALL'INDUSTRIA MERIDIONALE

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FRATELLI MASSONI

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STORIA DELL'IMMAGINE AFRICANA DEL MEZZOGIORNO

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ZEROCITY: LA CITTA' DEL FUTURO

 

I VIDEO DALLA RETE


INNO DELLE DUE SICILIE
(Giovanni Paisiello 1787)


IL MERIDIONALISMO E IL SUO PROFETA
(Nicola Zitara a Mizar-TG2)


I PRIMATI DEL REGNO DELLE DUE SICILIE
(sotto la dinastia Borbone dal 1734 al 1860)


CARO NORD
(liberamente tratto dall'omonima lettera di Giuseppe Quartucci)

 

LINGUE E DIALETTI MERIDIONALI

 

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L''ecomostro in costruzione nel cuore di Salerno
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L'uso criminoso dei NOSTRI soldi per avvelenare le NOSTRE FAMIGLIE deve finire.

 

HANNO DETTO SUL MERIDIONE


Il governo piemontese si vendica mettendo tutto a ferro e fuoco. Raccolti incendiati, provvigioni annientate, case demolite, mandrie sgozzate in massa. I piemontesi adoperano tutti i mezzi più orribili per togliere ogni risorsa al nemico, e finalmente arrivarono le fucilazioni! Si fucilarono senza distinzione i pacifici abitatori delle campagne, le donne e fino i fanciulli
L’ Osservatore Romano (1863)

Il Piemonte si è avventato sul regno di Napoli, che non voleva essere assorbito da quell'unità che avrebbe fatto scomparire la sua differenza etnica, le tradizioni e il carattere. Napoli è da sette interi anni un paese invaso, i cui abitanti sono alla mercè dei loro padroni. L’immoralità dell’amministrazione ha distrutto tutto, la prosperità del passato, la ricchezza del presente e le risorse del futuro. Si è pagato la camorra come i plebisciti, le elezioni come i comitati e gli agenti rivoluzionari
Pietro Calà Ulloa (1868)

Sorsero bande armate, che fan la guerra per la causa della legittimità; guerra di buon diritto perché si fa contro un oppressore che viene gratuitamente a metterci una catena di servaggio. I piemontesi incendiarono non una, non cento case, ma interi paesi, lasciando migliaia di famiglie nell’orrore e nella desolazione; fucilarono impunemente chiunque venne nelle loro mani, non risparmiando vecchi e fanciulli
Giacinto De Sivo (1868)

L’unità d’Italia è stata purtroppo la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico sano e profittevole. L’ unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse lo stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che in quelle meridionali
Giustino Fortunato (1899)

Sull’unità d´Italia il Mezzogiorno è stato rovinato, Napoli è stata addirittura assassinata, è caduta in una crisi che ha tolto il pane a migliaia e migliaia di persone
Gaetano Salvemini (1900)

Le monete degli stati pre-unitari al momento dell’annessione ammontavano a 668,4 milioni così ripartiti:
Regno delle DueSicilie 443,2, Lombardia 8,1, Ducato di Modena 0,4, Parma e Piacenza 1,2, Roma 35,3, Romagna,Marche e Umbria 55,3, Sardegna 27,0, Toscana 85,2, Venezia 12,7
FrancescoSaverio Nitti (1903)

Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l´Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti
Antonio Gramsci (1920)

Prima di occuparci della mafia  dobbiamo brevemente, ma necessariamente premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell’unificazione non era mai esistita, in Sicilia. La mafia nasce e si sviluppa subito dopo l’unificazione del Regno d’Italia
Rocco Chinnici (1983)

L’ufficio dello stato maggiore dell’esercito italiano è l’armadio nel quale l’unificazione tiene sotto chiave il proprio fetore storico: quello dei massacri, delle profanazioni e dei furti sacrileghi, degli incendi, delle torture, delle confische abusive, delle collusioni con la sua camorra, degli stupri, delle giustizie sommarie,
delle prebende e dei privilegi dispensati a traditori, assassini e prostitute
Angelo Manna (1991)

 
 

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