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Contrada "esoterico" spiegato ai miei simili

Post n°718 pubblicato il 25 Giugno 2008 da vocedimegaride
 

di Marina Salvadore

Ai puristi del burocratese risulterà ineccepibile, sotto ogni aspetto del Diritto, l’ennesimo provvedimento di rigetto dell’istanza umanitaria per i domiciliari al disabile Bruno Contrada, a firma del responsabile dell’ufficio di Sorveglianza di S.M. Capua Vetere, dottoressa Daniela Della Pietra (nomen omen); di conseguenza – come da alcuni giudizi affrettati raccolti tra i fondamentalisti della disciplina - si giudicherà errata, confusa o disordinata quando addirittura “originale” la linea seguita fino ad ora dall’avvocato Lipera nella difesa del suo celebre assistito. Allora, muniti di onestà intellettuale e di brandelli di materia grigia, iniziamo serenamente a stabilire la prima, evidente, macroscopica differenza che passa tra la Giustizia e la Legge, tra un Magistrato ed un Avvocato… tra un contabile ed un umanista. Siamo soliti assistere al pietoso spettacolo di una Giustizia arrogante e farraginosa che disattende, spesso, la Legge fatta di armonie matematiche (come la musica) di codici e codicilli inseriti come note sul pentagramma e, come note, intercambiabili all’inverosimile per nuove romanze, nuove sinfonie, nuove partiture di processi di vecchi reati sempre uguali… tenendo presente, però, che sono le pause di silenzio tra una nota e l’altra, a creare l’armonia ovvero uno spartito, una bella musica. Forse, i silenzi corrispondono alle debite riflessioni puramente umane, tra un codicillo e l’altro. La Giustizia, però, è la Chiave di Violino di ogni pentagramma, così come la Chiave di Volta di una cattedrale gotica, un monolito posto a suggello tra i due semiarchi laterali dell’arcata portante, tiene insieme tutta la struttura architettonica. La Giustizia, la Chiave di Violino e la Chiave di Volta, per quanto necessarie ad ogni opera umana, restano purtuttavia isolate, quali elementi fini a se stessi, nel senso che il loro compito preciso è quello di ignorare i “dintorni” e i “contorni” ovvero lo sviluppo architettonico dell’opera tutt’attorno, le variazioni sul tema, gli elementi decorativi e quanto altro appartiene alla sfera creativa umana, nonostante l’intera opera realizzata testimonierà, poi, nel lontano futuro la grandezza del Genio Umano, il trionfo dell’evoluzione e dello spirito di un Popolo e senza che alcuno mai s’interroghi sul peso, forma e qualità “della pietra” che è la chiave di volta senza la quale architettura alcuna si potrebbe trasmettere ai posteri. Daniela “Della Pietra” è la chiave di volta della cattedrale medievale che è tutta la vicenda Contrada. Assolve il suo ruolo disumano di monolito. Impeccabilmente, Architettonicamente: ineccepibile ed in perfetta corrispondenza di equilibri con la pietra cubica posta a fondazione dell’iter processuale lungo e dannato edificato sulle spalle kafkiane del contemporaneo “Giordano Bruno” Contrada, disumanizzato e incatenato nelle ime e oscure segrete della maestosa cattedrale dedicata al Potere e non ad un Santo del Cielo, alla stregua di un tempio massonico, irto di trionfali colonne, dove il Cristo è inquietantemente raffigurato sempre e solo cadavere, per lasciare spazio alla vitale “concretezza” del leggendario “architetto” Hiram. Altra particolarità esoterica nella disumana vicenda Contrada, giunta ormai al capolinea pur se tuttora componente attiva di un italico Mistero comprensibile solo ai Grandi Iniziati, è il destino scritto nei nomi. I nomi sono dei mantra, sprigionano energia, come formule magiche divinatorie ed evocative… il “richiamo” alla pietra, al macigno appeso al collo dell’agnello sacrificale Bruno Contrada, alla chiave di volta delle cattedrali ed alla pietra cubica del tempio di Salomone, è insito nei giudici “nomati” Daniela Della Pietra e Antonio Di Pietro, entrambi refrattari a spifferi di umanesimo poiché pietrificati nel giustizialismo cieco, proprio della consistenza fisica delle chiavi di volta e delle pietre cubiche, inconsapevoli dell’evoluzione umana dell’”opera” magistrale del Genio Popolare che innalza chiese alla Chiesa di Cristo e non a quella del profeta Pietro, per devozione alla Chiesa dell’Amore e non a quella delle LEGGI! Chiese dove la Vergine Maria, madre addolorata del Cristo Re degli Uomini, si fa per l’appunto “AVVOCATA NOSTRA”! I magistrati “di pietra”, ciononostante, come pesanti macine di un torchio (di pietra, anche queste) continuano a macinare uomini, identità, dignità… Nel cerchio araldico del pantheon della Repubblica, nell’arciconfraternita dell’empireo siedono, come i molossi… di pietra… dell’Isola di Pasqua, in un delirio di onnipotenza, suffragata dalla deificazione pagana e governano i patrii destini. Sono privi della FEDE (che è l’oppio divino destinato al volgo) ed anche della saggezza di Salomone che è considerata un optional iconografico non strumentale alla moderna casta di giustizialisti. Ebbene, questi moloc hanno globalizzato la Giustizia; quella che solitamente dipana la sua trama quotidiana tra ladri di galline e faccendieri, opinionisti censurati e menzogneri mafiosi, concussi e corrotti, servitori dello Stato e Politici, invidiati ed invidiosi… in un unicum di peccati veniali e peccati mortali, in virtù del sacro sigillo dell’irresponsabilità sguaiata del Potere. Potere che si fa ghigliottina, forca, sedia elettrica, sentenza di pena capitale laddove la pena di morte non è contemplata ma è comminata subdolamente in lenta, atroce agonia. Per non sconfinare dall’archeosofia e dall’esoterismo in cui anche la vicenda Contrada si caratterizza ormai come Mito moderno, offerto ai comuni mortali come una banale favola per ignoranti con la sua spiccia morale ma decodificabile dai soli Iniziati e Grandi Sacerdoti del Tempio, occorre far ricorso alle moderne teorie di Graham Hancock sui Templari e l’Arca dell’Alleanza. La leggenda vuole che l’Arca dell’Alleanza fosse ospitata nel Tempio di Salomone, occultata alla vista del volgo in un sancta santorum accessibile al solo Custode del tabernacolo. Menelik, figlio di Salomone e della regina di Saba la trasportò con se’ in Etiopia, per salvarla dalla distruzione del Tempio per opera dei babilonesi. La ricerca dell’Arca perduta continuò nei secoli e a tal scopo s’istituì l’ordine cavalleresco dei Templari il cui primo convento fu allocato esattamente sopra le rovine dell’antico Tempio di Salomone, per dar modo ai cavalieri crociati di poter occultamente scavare come un groviera le fondamenta del Tempio, alla ricerca del Sancta Santorum con la sua preziosa reliquia. Negli anni successivi ai lavori in corso d’opera dei Templari, in Europa affiorano le prime leggende sul mito e la saga del Graal, simbolicamente presentato come un Calice ma in realtà riferito all’oggetto dell’Arca che, a sua volta, venne anche rappresentata come una tavoletta di… PIETRA, probabilmente la tavola della Legge scritta dalla mano di Dio. Infatti, ad Axum ed in moltissimi altri centri dell’Etiopia, dal tempo dei tempi e fino ad Haylé Selassié (diretto discendente di Menelik) … ed ai giorni nostri, ogni tabernacolo di ogni chiesa ritiene di custodire l’Arca dell’Alleanza. Siti di particolare interesse archeologico e religioso, quali Lalibela – dal nome del re cristiano spodestato dall’ipocrita congiunto noto quale “Prete Gianni”, autoesiliatosi in Gerusalemme e ritornato vincitore in Etiopia dopo 25 anni – sarebbero stati fondati e costruiti sulla base della scienza occulta dell’edificazione dai Templari alleati del re Lalibela, una volta accertata la reale trasposizione della Reliquia delle reliquie da Gerusalemme in Etiopia. Comunque la s’intenda l’Arca: un'urna sovrastata da cherubini d’oro, un Calice o una Pietra, è comunque un oggetto temibile, capace di uccidere gli impuri, gli ipocriti e i menzogneri… e… chi è senza peccato scagli la prima pietra… L’Arca potremmo tranquillamente intenderla quale Verità ed in quanto tale strumento di Giustizia Giusta… se la Giustizia Giusta non fosse, come l’Arca, un tabù! Proviamo a riscrivere l’antico mito dell’Arca sul mito contemporaneo di Bruno Contrada, poiché la Storie di tutte le storie umane è immutabile, si replica costantemente e qualche volta si vendica di se stessa; cambiano solo il linguaggio e la simbologia nella riscrittura epocale e, naturalmente, la diversa tecnica di lettura. Proviamo a rinominare Contrada in Lalibela, detronizzato, spodestato, umiliato, per cinque lustri privato del Rango e della Dignità, cancellato dalla memoria del suo popolo… eppure detentore dell’occulto segreto dell’Arca… della VERITA’. Il Prete Gianni, il Caino usurpatore, in tanti – anche autorevoli personaggi – l’hanno spesso identificato in un illustre omonimo che va per la maggiore in questo Paese ma, a discrezione personale, gli si potrebbero affibbiare numerose ed altre identità e volti e ruoli, per l’opera di clonazione in progressione geometrica in cui ogni moderna “cupola” lievita, per autodifesa. L’Arca, il vero oggetto del contendere, lo strumento di Giustizia Giusta che fa paura a troppi, è la VERITA’ di Bruno Contrada. Come abbiamo visto, nel sito di Lalibela composto di ben 13 chiese monolitiche ed in tutte le chiese di Axum il tabernacolo contiene sacre copie dell’Arca, così come il carcere di S. Maria Capua Vetere nasconde nel suo ventre, invisibile agli occhi del volgo, il re Lalibela che, a sua volta, nel sancta santorum della sua memoria nasconde una copia dell’Arca. L’Arca, che sia un Calice amaro, una Pietra o un dossier… che si chiami VERITA’ o arma di distruzione o… qualsivoglia, secondo la coscienza dell’adepto o del fedele, riproposta in centinaia di esemplari, custoditi nella medesima sacra segretezza, è comunque un oggetto reale, esistente e l’unico modo per salvaguardarlo è quello di nasconderlo tra oggetti gemelli; cura che probabilmente anche il novello Lalibela del SISDE avrà riservato alla sua Reliquia delle reliquie… che sia una Pietra, un Calice amaro, un dossier contro di cui, ripetiamo, solo chi è senza peccato può scagliare la prima “pietra”, nel senso che non deve temerne il Potere, l’Energia… e non è difficile immaginare quanto L’Arca di Contrada e Contrada medesimo, siano, oggi più che mai, temuti più del reattore di Chernobyl! E’, però, rincuorante sapere che nuovi Crociati, nuovi Lancillotto, Galvano ed Artù, stanno riempiendo le fila dei cavalieri, nuovi eroi senza macchia, alleati del buon vecchio Lalibela e che, con i nuovi mezzi a disposizione degli umani, la ricerca epica del Graal è destinata a buon fine in quest’epoca! A buon intenditore, poche parole! 

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Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 25/06/08 alle 21:32 via WEB
Seppure possibile depositario di qualche segreto, nessuno tema: secondo me Contrada lo porterà con sè
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 25/06/08 alle 22:41 via WEB
a me, invece, pare d'aver capito che l'autrice indichi onorevolmente Contrada quale depositario di verità, non di segreti. Federico
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 26/06/08 alle 03:39 via WEB
Mitica Marina Salvadore..articolo splendido e davvero troppo "generoso". Molto più semplicemente esistono medici sadici così come giudici sadicamente ingiusti; una sorta di psicopatologia del potere. Sarebbe interessante indagare, oltre che su l'origine esoterica e la valenza cabalistica dei nomi, cosa si annida nel passato di tanti individui che non sono capaci di empatia, di pietà; né di considerazione dell'umana sofferenza, del tempo che passa, del vissuto degli animali. Probabilmente hanno accumulato rifiuti, mortificazioni, violenze, emarginazioni, frustrazioni, non amore. Non so. Ho pietà di loro perchè, come diceva Jean Arp: "anche le pietre sono piene di intestini". Un abbraccio Agnesina Pozzi
 
tommypa84
tommypa84 il 26/06/08 alle 14:07 via WEB
non credo contrada possa sbandierare al vento i segreti che indubbiamente conosce e concordo con chi ha scritto che li porterà con sé.
 
 
vocedimegaride
vocedimegaride il 26/06/08 alle 19:56 via WEB
...è vero che ho usato un linguaggio un po' ermetico...ma ho usato la lingua italiana: non ho mai detto che Contrada ha dei segreti... perchè se li avesse, potrebbe comodamente barattarli con la libertà... e da ben 15 anni. Ho scritto che Contrada E' UNA VERITA' che fa paura a tanti.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 26/06/08 alle 20:27 via WEB
Chissà se sopra a tutta la vicenda, al di là dei “prestanome” che fanno la parte del diavolo, con il cuore “di pietra”, c’è l’occhiuta piramide che, tramite i suoi “muratori” dirige indisturbata l’operazione fino al suo compimento? E se il vento fosse cambiato? E se l’imprevisto e l’imprevedibile non fossero stati messi nel conto? Tutto può essere. Patty Ghera
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 26/06/08 alle 20:35 via WEB
Marina quando scrivi in questo modo, sei godibilissima ! Non entro nel merito dell'argomento, certamente importante e doloroso, parlo semplicemente del tuo stile nello scrivere. Quando parli di sirene, munacielli, janare e fattarielli sei imbattibile E anche quando parli, come in questo caso, di Menelik, lalibela, e sopratutto di Prete Gianni (azz, erano almeno quindici anni che non leggevo di nuovo il nome di questo personaggio...) Ambro Marina, non c'e' che dire : sei grande ! Antonio
 
vocedimegaride
vocedimegaride il 27/06/08 alle 02:29 via WEB
Il sepolto vivo Giustizia - mar 24 giu di Angelo Crespi Tratto da cronache di Liberal del 21 giugno 2008 Lino Jannuzzi dice che presto potrebbero spostarlo al Celio a Roma. Visto da fuori il carcere militare di Santa Maria Capua Vetere è disumano nella sua scabra funzionalità. È comprensibile che Bruno Contrada ci stia morendo dentro. Ci languirebbe perfino uno “ziovinozz imbelle ed imbecille” di quelli strafottenti cantati da Ezra Pound. Figuriamoci un uomo di 77 anni avvilito, dopo 15 anni di processo. Uno spettro. Così figurava l’avvocato che anche in una recente intervista ha sentenziato «sta morendo». Bruno Contrada, lo «sbirro più famoso di Palermo» come lo definisce Jannuzzi nel suo recente libro (“Lo sbirro e lo Stato”, Koinè editore, pp. 192, 14, 00), una sorta di j’accuse contro la magistratura italiana. Bruno Contrada per 30 anni a combattere la mafia e da 15 costretto a difendersi dall’antimafia. Adesso semplicemente “sta morendo”. E non c’è grazia che possa salvarlo, né eutanasia come lui stesso aveva supplicato gli concedessero. Contrada deve restare lì dentro il carcere perché è un simbolo per quelli che dicono che in questo modo si sconfigge la mafia. Poi deve morirci dentro il carcere così sarà simbolo anche per quelli che non hanno mai creduto nella sua colpevolezza, nonostante le sentenze. Contrada lo sbirro che non fa più notizia e si merita al massimo sui quotidiani un taglio basso. Nessuno ha più il coraggio di battersi ancora contro il “teorema” per mezzo del quale i giudici ne hanno decretato la colpevolezza. Forse solo Jannuzzi che è ancora abbastanza giovane quando si tratta di smascherare le ingiustizie. Oppure Stefania Craxi che ha vissuto sulla pelle come una famiglia possa essere distrutta da troppa giustizia. Per gli altri Contrada è niente. Troppo difficile smontare il meccanismo che lo attanaglia: «concorso esterno in associazione mafiosa». Un accusa da cui non puoi difenderti. La Craxi nella prefazione del libro spiega: «è reato di dubbia fondatezza tanto fa non aver ancora trovato una formale collocazione e una formale disciplina all’interno del nostro codice penale. Avviene allora che al momento della condanna, non essendoci per il concorso esterno una specifica disciplina, si ricorre agli articoli 110 e 416bis del codice penale che riguardano però l’associazione mafiosa propriamente detta e il concorso interno (non esterno) nell’organizzazione criminale. Sono reati decisamente più gravi ed è dunque evidente la sproporzione della pena e la sostanziale ingiustizia che colpisce i condannati per concorso esterno. Non sono bastate due sentenze della Corte di Cassazione che sottolineano la necessità di configurare un reato più grave del concorso esterno per l’applicazione del 416 bis, per restituire logica alla cose. Peggio ancora, la legge sull’ordinamento penitenziario, escludendo dalla concessione dei benefici le persone condannate per gravissimi reati, tra cui l’associazione mafiosa, sottopone allo stesso rigoroso trattamento anche le persone condannate per concorso esterno, senza alcuna differenziazione. È palesemente assurdo che due incriminazioni che hanno elementi costitutivi diversi, oggettivi e soggettivi, non abbiano un differenziato sistema di esecuzione della pena». Così Contrada è uno spettro e deve morire. Arrestato alla vigilia di Natale del 1992, lo “sbirro” è stato per 949 giorni sepolto vivo in un carcere militare appositamente riaperto per lui, solo per lui. Poi l’interminabile processo. Condannato a dieci anni in primo grado. Assolto con formula piena in Appello. La Cassazione ha cassato l’assoluzione e lo ha rinviato a processo. Il secondo processo di appello lo ha ricondannato a dieci anni. La Cassazione infine ha approvato. Il tutto è durato 15 anni. A favore di Contrada nei vari processi hanno testimoniato cinque capi di polizia, due capi del controspionaggo, tre altri commissari per la lotta alla mafia, due generali della Guardia di Finanza, venti tra questori e funzionari di Ps, dieci ufficiali dei carabinieri, una cinquantina di agenti e due ministri. I giudici hanno creduto a mafiosi dichiaratisi pentiti, alcuni dei quali erano stati arrestati proprio da Contrada. «È inaccettabile - scrive Jannuzzi - che Contrada resti a marcire in galera, al posto dei criminali che sono stati liberati e stipendiati dallo Stato solo perché lo hanno accusato fino a morirne. Perché per quanto cerchino di nascondere la verità, questo è successo. E’ stato un criminale assassino, un mafioso che ha confessato di aver compiuto tanti assassinii da non poterli più contare, Gaspare Mutolo, che ha accusato Bruno Contrada e solo per sentito dire. Ma era stato proprio Contrada ad incriminare Mutolo per l’assassinio del poliziotto Cappiello e a portarlo davanti al giudice assieme al boss Riccobono, il capo della cosca mafiosa di cui Mutolo fa parte. Il giudice non ha creduto a Contrada e ha mandato assolti Mutolo e Riccobono. Quando, dopo molti anni, Mutolo ha accusato Contrada di complicità con Riccobono, che intanto era morto assassinato, è stato quello stesso giudice, proprio lui, a condannare Contrada per i suoi rapporti con lo stesso Riccobono. Il poliziotto indaga sull’assassinio di un suo collega e incrimina del crimine il mafioso, il giudice assolve il mafioso e manda in carcere il poliziotto al suo posto». Questo è quanto, in estrema sintesi. Sempre che si possa fare una sintesi di un caso di giustizia durato 15 anni. Un brocardo latino sentenzia: «res iudicata facit de albo nigrum, originem creat, aequat quadrata rotundis, naturalia sanguinis vincula et falsum in verum mutat». La cosa giudicata fa del bianco il nero... La verità processuale è dunque questa: Contrada mafioso. La verità umana: Contrada lo sbirro sta morendo in carcere e non c’è nulla da fare. Appena arrestato nel 1992 in una lettera alla moglie aveva scritto: «Adriana, non immaginavo che avessi la forza di sopportare la sofferenza che mi è stata inflitta: una sofferenza infinita, lancinante che mi pervade tutto l’essere. Soffro con il corpo, la mente, lo spirito. Continuo in modo assillante a ripetermi: come è possibile, perché? Non ho alcuna risposta perché mi rifiuto di accettare l’idea che l’ingiustizia possa giungere a tanto. Ma ciò che mi fa soffrire di più è il dolore tuo e quello dei nostri figli Guido e Antonio. Quel poco che mi resta di volontà di continuare a vivere è per non aggiungere a voi dolore ad altro dolore. Cercherò di fare appello a tutte le mie residue forze, a non perdere la lucidità mentale, a non farmi sopraffare dalla prostrazione fisica e morale e lo farò per te, per Guido, così sensibile, per Antonio così fragile, ambedue così buoni ed affettuosi. Nessuno più di te conosce come io abbia vissuto, cosa abbia fatto per lo Stato, i sacrifici, le rinunzie, le preoccupazioni, i pericoli corsi, la dedizione totale alle Istituzioni, la fedeltà ai miei ideali di Patria sin da quando a vent’anni indossavo la divisa da Ufficiale dei Bersaglieri (e ne ero così felice ed orgoglioso). Ora sono accusato di colpe infami, disonorevoli, le più gravi che possono essere addebitate ad un uomo, ad un servitore dello Stato: colpe che se avessi veramente commesso non chiederei per me la perdita della libertà in questo carcere ma la pena di morte! Ma io non ho fatto nulla di male, non ho mai trasgredito i miei doveri professionali: io sono innocente. Dillo a Guido ed Antonio, fà che non abbiano il minimo dubbio. Ti bacio Bruno». Dillo a Guido ed Antonio. http://www.mascellaro.it/web/index.php?page=articolo&CodAmb=-1&CodArt=24302
 
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