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Un reato inesistente

Post n°688 pubblicato il 30 Maggio 2008 da vocedimegaride
 

concorso esterno in associazione mafiosa

Al Sen. Avv. Filippo Berselli Presidente della Commissione Giustizia Senato della Repubblica
All’On.le Avv. Giulia Buongiorno Presidente della Commissione Giustizia Camera dei Deputati
Ai parlamentari componenti la Commissione Giustizia del Senato e della Camera dei Deputati

OGGETTO: considerazioni sulla necessità di rivedere il reato del concorso esterno in associazione mafiosa creato dalla giurisprudenza anziché  dal legislatore

 

Formuliamo la presente per chiedere alle SS.LL. di affrontare con ferma decisione il problema della configurabilità del concorso eventuale in associazione mafiosa o, in senso più lato, la problematica relativa all’applicazione dell’art. 110 c.p. ai reati associativi, che ha da sempre rappresentato terreno di ampi e complessi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali. La figura del concorso esterno è stata fino ad ora delineata esclusivamente in sede giurisprudenziale, stante la latitanza del Legislatore che non ha mai provveduto a tipizzare tale figura, lasciando così, forse volutamente, il giudice libero di ammetterlo o meno, in relazione al caso di cui si occupa, e di deciderne la misura. La figura del concorso esterno, per la giurisprudenza, è sembrata la più adatta a fronteggiare le esigenze politico-criminali sorte negli anni ottanta, quando i maxi-processi di mafia o di camorra fecero emergere in maniera preoccupante ed inquietante certi strani legami tra ambiente politico, economico ed istituzionale della nostra società e le organizzazioni mafiose. Tuttavia l’incertezza dei confini ha determinato un’incontrollata espansione dell’area del concorso esterno nell’associazione di tipo mafioso, come pure in altri reati associativi. A quest’ampliamento di confini ha contribuito indiscutibilmente l’indeterminatezza e l’eccessiva estensione della sfera del punibile che contraddistingue la clausola di cui all’art. 110 del codice penale. Si è detto che il concorso esterno in associazione mafiosa è stato creato ad arte dalla Giurisprudenza di merito, ed avallato da quella di legittimità, in un momento (metà anni ’80 inizi anni 90’) di grande sensibile e generalizzata preoccupazione (basti pensare quanto accaduto in Italia dall’omicidio del mitico Generale Carlo Alberto dalla Chiesa sino alla tremenda strage di via D’Amelio) .Or è comprensibile come in quegli anni, nell’animo dei Magistrati, albergasse un forte sentimento indirizzato al ripristino della Giustizia e dell’ordine civile; ciò però ha portato all’utilizzo improprio di norme giuridiche che, pur essendo risultate in qualche modo utili allo scopo, non erano state codificate per essere combinate fra loro. Quindi, se l’utilizzo della figura del concorso esterno ha reso possibile punire tutte quelle condotte dai contorni poco definiti e che servono a sostenere le attività delle associazioni criminose, desta forte perplessità e preoccupazione che sia la giurisprudenza a dover definire i confini di una figura che spetterebbe al Legislatore codificare. In quest’ottica sono state già introdotte alcune figure sufficientemente tipizzate, per cercare di completare il quadro dei possibili contributi che un soggetto può prestare ad un’associazione criminosa. A questo punto l’organico delle figure contigue alla criminalità organizzata sembrerebbe completo, potendo annoverare tra queste: il promotore, il costitutore, il partecipe, l’organizzatore, il finanziatore, colui che dà assistenza agli associati, il favoreggiatore e lo scambio elettorale politico-mafioso. O forse completo non è, in quanto rimangono ai margini tutta una serie di comportamenti di contiguità dai contorni difficilmente definibili che, inquadrate nell’ambito della combinazione tra l’art. 110 c.p. e la norma incriminatrice di parte speciale (art. 416 bis c.p.), porta ad un ampliamento indiscriminato, e perciò stesso pericoloso, dell’area del punibile. Appare inoltre preoccupante l’applicazione che del concorso esterno si potrebbe fare con riferimento a quei reati associativi politici che hanno come fine il sovvertimento dell’ordine costituito, dove, in virtù della natura “ideologica” di tali fattispecie, appare ancora più sottile e strumentalizzabile il limite alla punibilità. Pur considerando il  pensiero di molti magistrati, e fra questi quelli più impegnati nella lotta alla mafia e al terrorismo, i quali, in situazioni di emergenza sociale, ritengono rischioso affidarsi al primato del Legislatore invece che all’efficacia di uno strumento così duttile come quello del concorso esterno, si deve tuttavia ritenere necessaria l’introduzione di figure tipizzate che impediscano, ad un potere diverso da quello legislativo, di creare fattispecie giuridiche temporanee e troppo deboli per risultare alla fine convincenti. A riprova di quanto affermato è il fatto che a tutt’oggi non si è ancora giunti ad una definizione di concorso esterno che sia condivisibile da tutti gli operatori del Diritto, poiché né il Legislatore, né la Giurisprudenza hanno aiutato in questo senso. Nel perdurare della mancanza di determinatezza e tassatività della norma incriminatrice, inoltre, si giunge all’assurdo di non poter fare appello, in situazioni che lo richiederebbero necessario, né alla Corte Costituzionale, né al Parlamento, in quanto la prima non potrebbe dichiarare incostituzionale una norma che non esiste e, per lo stesso motivo, il secondo non potrebbe abrogarla.

Riassumiamo il pensiero:

Il concorso esterno in associazione mafiosa viene creato dalla giurisprudenza di merito (ed incautamente avallato da quella di legittimità) in un momento di grande tensione emotiva: erano appena morti, trucidati da mani assassine e vili, due valorosi magistrati, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ed insieme a loro tanti innocenti poliziotti che li scortavano; comprensibile che in quegli anni vi fosse una rabbia enorme e che purtroppo annebbiava le menti. Ma il concorso esterno in associazione mafiosa rimane un parto della fantasia: è bastato unificare disarmonicamente due norme del codice penale, artt. 110 e 416 bis c.p., per far sì che nascesse una mostruosità giuridica; ma l’interprete delle leggi, il Giudice per antonomasia,  può solo applicarle, Egli  non può crearle,  perché con lo stesso ragionamento qualcuno potrebbe contestare il delitto di tentato omicidio colposo combinando semplicemente l’art. 56 all’art. 589 del codice penale e ciò sarebbe un assurdo.  Le norme, e le disposizioni che da esse si rilevano, possono e devono sì essere combinate tra esse, ma devono sempre rispondere alla logica e al raziocinio;  in fondo quel che regola il diritto applicato al caso concreto è l’armonia, come nelle note musicali: la melodia si crea combinando le note, ma l’accordo non può avvenire senza regole, perché se no si rischia non di creare melodie ma stonature, non suoni ma rumori.

Si rifletta: col concorso esterno al cittadino alla fine gli si contesta che cosa? Di essere stato colluso (genericamente) con dei mafiosi (e ciò spesso avviene sol perché lo hanno dichiarato dei c.d. “pentiti”, ex mafiosi o camorristi, ovvero criminali reo confessi). Ipotesi evidentemente in cui gli addebiti sono talmente labili, che non consentono alla Pubblica Accusa di avanzare una reale contestazione per un reato specifico (usura, estorsione, corruzione, favoreggiamento, ecc.). Se io fossi accusato di omicidio da Tizio potrei chiedere l’accertamento del mio alibi oppure portare la prova che Caio non è  morto (chi non ricorda il caso Gallo?), ma se sono destinatario di accuse fumogene ed evanescenti, erroneamente valorizzate da alcuni giudici e non da altri, con l’ausilio di teorie fantasmagoriche (leggasi convergenza del molteplice) come faccio a dimostrare la mia innocenza? Quindi verità innanzi tutto è che non esiste il reato, anzi diciamolo ancora più chiaramente: la legge non prevede il concorso esterno in associazione mafiosa come reato.

Cosa c’è di scandaloso in tutto questo?

Ma la ricordate la storia di un tale chiamato Aldo Braibanti che fu accusato e condannato per il reato di plagio e come finì questa storia? Finì semplicemente col fatto che la Corte Costituzionale (C. Cost. 8/6/1981 n. 96 che enunciò l’illegittimità costituzionale dell’art. 603 c.p.) ebbe a dichiarare l’illegittimità costituzionale di quel reato e solo così si poté salvare Aldo Braibanti. Il poveretto accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, più sfortunato certamente di Braibanti, non può invocare neppure l’intervento della Corte Costituzionale, per il semplice fatto che questo reato non si trova nel nostro ordinamento, quindi non si può dichiarare incostituzionale una norma che non c’è. Neppure il Parlamento può intervenire perché non si può fare una legge per abrogare una norma che non esiste. Solo chi lo ha creato lo può distruggere: i giudici lo hanno creato e i giudici dovrebbero distruggerlo! Guardate cosa scriveva la Corte Costituzionale a proposito dell’art. 603 del C.P. (il plagio) e dite se non è riferibile pari pari al concorso esterno in associazione mafiosa: “L’esame dettagliato delle varie e contrastanti interpretazioni date al …  nella dottrina e nella giurisprudenza mostra chiaramente l’imprecisione e l’indeterminatezza della norma, l’impossibilità di attribuire ad essa un contenuto oggettivo, coerente e razionale e pertanto l’assoluta arbitrarietà della sua concreta applicazione. Giustamente essa è stata paragonata ad una mina vagante nel nostro ordinamento, potendo essere applicata a qualsiasi fatto che implichi  mancando qualsiasi sicuro parametro per accertarne l’intensità. Non è finita: (la norma) … in quanto contrasta con il principio di tassatività della fattispecie contenuto nella riserva assoluta di legge in materia penale, consacrato nell’art. 25 Cost., deve pertanto ritenersi costituzionalmente illegittimo. Ragionamento che calza a pennello col reato di concorso esterno in associazione mafiosa. In conclusione, nel riconoscere l’importanza e l’utilità che la disciplina del concorso esterno ha rivestito, sollevando il problema della mancanza di una norma specifica con riferimento a tutti quei comportamenti di contiguità alle associazioni criminali, soprattutto nella lotta alla malavita organizzata e al terrorismo, si ritengono ormai maturi i tempi perché questi comportamenti vengano tipizzati dal Legislatore, l’unico organo investito dalla Costituzione del compito di formulare le norme giuridiche, riconducendo così le fattispecie associative ad una maggiore aderenza con i principi di un diritto penale del fatto. Io credo che il cittadino, se ne parla tanto in questo periodo, è assillato sì dalla domanda di certezza della pena, ma altrettanto importante è definire con certezza il comportamento illecito: il poliziotto, il medico, il prete, il commerciante, chiunque in definitiva rischia in Italia (in Sicilia, Calabria e Campania in particolare) innocente, dicasi innocente, una incriminazione e una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa. Ciò non è giusto!

(Roma 30 maggio 2008). Con ossequi .Avv. Giuseppe Lipera
***************
In rete al link
www.legnostorto.com/index.php?option=com_content&task=view&id=21955 segnaliamo un’intervista dell’Avvocato
Giuseppe LIPERA a “Giustizia Giusta”

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vocedimegaride
vocedimegaride il 31/05/08 alle 17:20 via WEB
Sent: Saturday, May 31, 2008 10:20 AM Subject: CONTRADA:EX UOMINI GIULIANO LO DIFENDONO,SENTENZA VERGOGNOSA CONTRADA:EX UOMINI GIULIANO LO DIFENDONO,SENTENZA VERGOGNOSA PALERMO (ANSA) - PALERMO, 31 MAG - Si sono ritrovati a Palermo per la presentazione del libro del giornalista Daniele Billitteri su Boris Giuliano, il vicequestore assassinato dalla mafia il 21 luglio del 1979, ma per i poliziotti che lavorarono col funzionario ucciso, da anni lontani dalla Sicilia, è stata anche l'occasione per ricordare un altro componente della squadra: Bruno Contrada, in carcere per scontare una condanna a 10 anni per concorso in associazione mafiosa. Chi lavorò con lui non ha dubbi sull' innocenza dell'ex numero due del Sisde e ieri lo ha ribadito davanti al pubblico radunato a Palazzo Steri. "Si uccide anche con la calunnia. E Bruno Contrada è stato ucciso", ha detto, come riporta l'edizione locale de La Repubblica, Tonino De Luca, ex uomo di Giuliano, in pensione da una settimana. "Ha vinto la cultura del sospetto generalizzato", gli ha fatto eco Enzo Speranza, anche lui investigatore a Palermo all'epoca di Giuliano, ora questore di Bari. Più dure le parole di Piero Moscarelli, oggi prefetto: "Quella di Contrada è una sentenza emessa in nome nostro. Mi vergogno un po' di questa barbarie giudiziaria". (ANSA). KTH/ S0B S41 QBKS
 
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Anonimo il 01/06/08 alle 11:01 via WEB
'Sentenze basate solo sulle calunnie' Gli ex della Mobile difendono Contrada Repubblica - 31 maggio 2008 pagina 10 sezione: PALERMO Si ricorda Giorgio Boris Giuliano nell' aula magna del rettorato, allo Steri. L' occasione è il libro del giornalista Daniele Billitteri ("Boris Giuliano, la squadra dei giusti" - Aliberti editore): è presente la famiglia del capo della squadra mobile assassinato nel 1979, c' è il questore di Palermo Giuseppe Caruso, ci sono soprattutto i poliziotti che componevano quella squadra mobile che segnò un metodo di lavoro nella lotta alla mafia. Il dibattito è un susseguirsi di emozioni e ricordi, del poliziotto e dell' uomo Giorgio Boris Giuliano. Ma è l' ultimo intervento che accende la polemica. «La squadra non è al completo - dice Francesco La Licata, inviato del quotidiano "la Stampa", cronista nella Palermo di Giuliano e degli altri martiri - Mancano delle persone che avrebbero tutto il diritto di stare qui adesso. Quella squadra mobile era fatta anche da Bruno Contrada e Ignazio D' Antone, che attualmente si trovano in carcere». Dice La Licata: «Le sentenze vanno rispettate, ma posso testimoniare che quella squadra fu davvero straordinaria e creò la lotta alla mafia». Il dibattito si anima immediatamente. Tonino De Luca, in pensione da una settimana, arringa: «In quegli anni eravamo soli. I grandi assenti erano piuttosto certi magistrati. Abbiamo dovuto attendere Falcone e Chinnici perché la situazione cambiasse». De Luca torna ad essere severo nei confronti dei magistrati quando accenna alle indagini sui colleghi: «Perché noi della squadra di Giuliano non siamo stati sentiti durante le indagini ma solo nel dibattimento? Avremmo scoperto qualcosa di più». Il tono di De Luca si fa severo: «Si uccide anche con la calunnia. E Bruno Contrada è stato ucciso». Interviene Enzo Speranza, questore di Bari, che ricorda il titolo di un libro: «Noi, costretti a difenderci». Rincara: «Ha vinto la cultura del sospetto generalizzato». Cita l' avvocato Piero Milio, presente fra il pubblico: «Se non fosse stata la verità, non avrebbe difeso Contrada». Un altro funzionario di allora, Piero Moscarelli, oggi prefetto, dice: «Quella di Contrada è una sentenza emessa non in nome nostro. Mi vergogno un po' di questa barbarie giuridica. Boris sarebbe contento che noi mostrassimo un po' di coraggio». Nel saluto finale, anche Billitteri «assolve» Contrada e D' Antone. Applausi. Non arriva alcuna voce di dissenso. s. p.
 
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