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L'amore ha il potere di fissare il passato in eterno presente.... Questa frase, annotata su un quaderno all'inizio del romanzo, è il tema conduttore della storia d'amore tra il giovane Kayfa e Miryam, donna matura e d'esperienza, che lo inizierà alle gioie e alle sofferenze dell'amore. Immersi in uno scenario da favola, facendosi scudo di una barriera di bugie e verità che metterà a rischio i loro affetti più cari, i protagonisti vivranno la loro passione senza freni con la complicità del mare e dell'intimità della casa di lei. Fondamentale la figura di Omar, pescatore egiziano con un intenso vissuto alle spalle, che attraverso la propria esperienza aiuterà Kayfa a districarsi nei meandri della mente e del cuore per avviarsi sul proprio cammino esistenziale.
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Asciugandosi la fronte imperlata di sudore, la cartella di finta pelle stretta sotto braccio, l’uomo scorse attentamente, attraverso la griglia di metallo, i cognomi degli inquilini segnati sulle targhette del citofono. Stringendo tra le dita il kleenex stropicciato, bussò il pulsante.
“Chi è?” risuonò dall’altoparlante la voce di donna.
“Sono l’esattore comunale. Cerco il sig…?”
Il cancello si aprì automaticamente.
Mentre si accingeva ad entrare nell’atrio, l’ufficiale giudiziario tornò sui suoi passi e risuonò al citofono.
“Sì?” chiese la stessa voce di donna.
“Signora a che piano?”
“Terzo!”
L’ascensore guasta da una vita lo costrinse a salire a piedi. Affannando su per la rampa, fermandosi a ogni pianerottolo per riprendere fiato, l’uomo si domandava perché chi aveva progettato quei prefabbricati avesse ideato delle scale così erte. Giunse a pensare che ciò fosse stato premeditato per umiliare ancora di più chi già era stato gabbato dalla vita e dai politici che avevano ritenuto opportuno costruire un quartiere in cui accogliere gli sfollati del terremoto alle falde di un Vulcano che, quanto prima, come affermavano gli esperti, si sarebbe ridestato…
Giunto al terzo piano, cercò sulle due porte degli appartamenti che si aprivano ai lati dell’ammezzato il nome che gli interessava. Non ebbe nemmeno il tempo di suonare il campanello che la porta si aprì, dando ad intendere che stavano origliando il suo arrivo. Sotto l’uscio apparve un uomo basso che lo salutò cordialmente. Indossava pantaloncini e canottiera a righe gonfiata dalla leggera pancetta; il viso tondo e sorridente era sovrastato dalla rada capigliatura col riporto per celare l’incipiente calvizie.
“Buongiorno!”
“Buongiorno. Siete voi…,?” domandò l’esattore leggendo il nome su di un foglio poggiato sul dorso della cartella.
“Detto il Cavaliere!” annuì il padrone di casa. “ In cosa posso esservi utile?” fece spostandosi di lato per fare accomodare in casa l’ufficiale.
“Cavaliere” iniziò l’esattore fermo sulla porta, assumendo un’aria formale per dare peso alle parole, “dagli archivi dell’esattoria comunale risulta che lei deve al Comune oltre cinquecentomila lire di arretrati per la spazzatura. Ho qui con me un mandato di sequestro di beni, nel caso lei non pagasse!” Prese dalla cartelletta un foglio azzurrato e lo mostrò all’uomo che lo lesse con attenzione.
“Egregio signore” fece il Cavaliere, ripiegando in due il mandato tra le dita, restituendolo all’esattore, “lei è un uomo fortunato!”
“A sì? E perché?”
“Oggi mi sento buono e sono deciso a saldare il mio debito con la società”
“Meno male!” sospirò l’ufficiale sgravandosi di un peso, entrando in casa. Aveva sempre sognato un giorno come quello. Ovunque si recava per espletare le sue funzioni, era sempre accolto in malo modo, a volte addirittura malmenato.
“<Accomodiamoci nel soggiorno” suggerì il Cavaliere con un ampio sorriso, facendo strada. “Vi va un caffè?” domandò precedendolo nel disimpegno che fungeva da soggiorno dove, a ridosso della finestra che affacciava sul vulcano, c’erano un tavolo e quattro sedie.
“Un caffè o gradite qualche altra cosa?” domandò accomodandosi sulla sedia.
“Un caffè va benissimo!” rispose l’ufficiale, sedendosi al tavolo. Appoggiò la cartella sul ripiano, l’aprì e tirò fuori un consistente fascicolo.
“Amore due caffè come sai farli tu” fece il Cavaliere alla moglie che, da sotto l’arco della cucina, allibita osservava alla scena.
“Allora quanto avete detto che vi devo?” domandò poi con tono responsabile, tornando a rivolgere la propria attenzione all’esattore.
“Poco più di cinquecentomilalire”
“E no!” protestò il Cavaliere corrugando la fronte, “siate preciso perché con i soldi non si scherza. Allora, quanto vi devo?”
“Veramente i soldi li dovete al Comune, non a me…” specificò l’ufficiale aprendo una tasca della cartella per prendere la calcolatrice solare.
“Voi in questo momento per me rappresentate il Comune!” disse il Cavaliere fissando l’esattore che iniziava a fare i conti.
“Ecco il caffè!” fece il padrone di casa. Afferrò tra le mani il vassoio recato dalla moglie e lo appoggiò sul tavolo. “Quanto zucchero?”
“Lo prendo amaro, grazie!” rispose l’ufficiale mentre annotava delle cifre su un foglio. Si sorprese della velocità con cui il caffè era pronto. Era chiaro che si trattava di una montatura per addolcirlo, allestita all’atto in cui aveva annunciato il suo arrivo al citofono.
“A, capisco, soffrite di diabete!” affermò il cavaliere versando il caffè dalla moka nella tazzina.
L’esattore si rizzò sulla sedia osservando con una smorfia di disappunto il Cavaliere versarsi lo zucchero nella tazza.
“Allora, quanto vi devo?” chiese il Cavaliere portandosi la tazza fumante alle labbra.
L’ufficiale controllò un’ultima volta i conti.
“Sono esattamente cinquecentosettantaduemila e trecento lire, morosità comprese!” disse levando lo sguardo sul suo interlocutore che serenamente sorbiva il caffè.
“Bene” fece il Cavaliere, poggiando la tazza sul tavolo, alzandosi dalla sedia. “Un attimo solo che vado a prendere i soldi!” Sconcertata, la moglie lo fissò uscire dalla stanza per entrare in camera da letto. Preoccupata si domandava cosa stava architettando visto che, a stento, avevano pochi spiccioli per la spesa…
“Certo che vostro marito è un signore!” fece l’esattore bevendo il caffè “Fosse sempre così, questo sarebbe il lavoro più bello del mondo” sospirò.
“E sì!” mormorò la donna. Sbiancò in viso osservando il coniuge rientrare sorridente nel soggiorno. Tra le dita della mano agitava un foglio di carta oblungo a lei ben noto!
Il Cavaliere tornò a sedersi.
“Allora, egregio signore, quanto avete detto che vi devo?”
“Cinquecentosettantaduemila e trecento lire” rispose l’esattore poco convinto, fissando il foglio tra le dita del Cavaliere.
“Bene. Questa è una cambiale di settecentociquantamilalire” fece il Cavaliere mostrando all’uomo la tratta. “Se la matematica non è un’opinione, dovete voi a me centosettantasettemilatrecento lire di resto e siamo pace!”
Con mano tremante, l’esattore si impossessò della cambiale e iniziò a girarla e rigirarla tra le dita.
“Questa cambiale è pure scaduta!” disse masticando la rabbia tra i denti, cercando di frenarsi mentre il sangue gli montava alla testa.
“Scaduta? Uh, mannaggia ‘a morte, e mmò? Al momento non ho cantante in casa. Non potete ripassare tra qualche mese? “ fece desolato il Cavaliere.
“Basta!” urlò l’esattore scattando dalla sedia, levando per l’aria con una manata le carte dal tavolo. “Così non si può lavorare!”
“Calmatevi che ci avete il diabete!” fece il Cavaliere con aria preoccupata! “Potrebbe venirvi un colpo!”
Man mano che l’esattore scendeva le scale del prefabbricato, la rabbia che gli segnava il viso lasciò il posto all’allegria. Ripensando a quanto gli era capitato, ridendo con le lacrime agli occhi, uscì dal palazzo e raggiunse l’auto. Non appena fu al Comune si recò dal Sindaco per narrargli l’episodio. Udendo l’aneddoto il sindaco e i suoi collaboratori risero anche loro. Così come fece il dirigente amministrativo quando fu messo al corrente di quanto era accaduto. All’unanimità, si stabilì che la quota che il Cavaliere doveva al Comune fosse dilazionata in tante piccole rate per consentirgli di sdebitarsi senza difficoltà.
Fu quello un modo elegante per ripagare la simpatica inventiva dell’uomo!
FINE
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LEONARDO DA VINCI
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