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CONDANNA A VIVERE racconto edito

Post n°93 pubblicato il 11 Maggio 2006 da kayfakayfa

Mentre nella sala congressi del lussuoso albergo di Davos, in Svizzera, era in corso la conferenza sulla globalizzazione mondiale del lavoro e sul preoccupante aumento demografico nei paesi sottosviluppati, in un remoto casolare di montagna, al confine tra Svizzera e Italia, visi sconosciuti al pubblico discutevano, con apparente calma, intorno ad un tavolo rotondo. Il lampadario sospeso a mezz’aria proiettava sulle pareti, in maniera grottesca, le ombre dei presenti mentre il focolare riscaldava l’ambiente. La discussione durò tutta la notte. All’alba, quando i primi raggi di un tiepido sole scoprivano le cime innevate delle alpi, i partecipanti all’assise, soddisfatti, si alzarono dalle sedie stringendosi calorosamente le mani. Ognuno fissava compiaciuto il proprio segretario riporre nella ventiquattrore le copie del documento messo a punto. Il manifesto pubblicitario ritraeva l’uomo nel lettino d’ospedale, il volto pallido e scarno, lo sguardo anemico, la maschera dell’ossigeno sul viso, la flebo nel braccio. La scheletrica mano stringeva quella della donna ritta al fianco. Entrambi fissavano con dolore l’obiettivo fotografico. In basso, la didascalia recitava: CONDANNATO A VIVERE.  Di lato alla foto: Philip J… nato il 23.06.1980; affetto da tumore linfatico.  MALATO TERMINALE. Alcune centinaia di metri più avanti, un altro cartello pubblicitario ritraeva il bambino dall’aspetto cadaverico, gli occhi cerchiati e senza capelli, tra le braccia della mamma. Un velo di morte gli accarezzava il viso. Gli occhi, una lampadina fulminata, fissavano il fotografo. Le labbra secche e sbiadite accennavano un pallido sorriso. Sotto l’immagine, la solita scritta: CONDANNATO A VIVERE. Leonardo C…, nato il 12.04. 1994: affetto da leucemia MALATO TERMINALE.

Luca non si avvide subito dei manifesti pubblicitari, commissionati da una nota industria tessile all’irriverente fotografo che amava colpire il pubblico con immagini stressanti. Per puro caso posò lo sguardo sul viso mummificato della ragazza distesa nel letto d’ospedale, gli occhi deserti fissi al soffitto, raffigurata nel cartellone pubblicitario, attaccato proprio davanti alla fermata del bus. CONDANNATA A VIVERE! Margareth B…, nata il 10/02/1980: affetta da tumore osseo. MALATA TERMINALE. Leggendo la data di nascita, Luca restò di ghiaccio. Lui e Margareth avrebbero compiuto venti anni nello stesso giorno. Istintivamente si domandò quando fosse stata scattata la foto. Non era da escludere che lei fosse già morta…L’autobus giunse in orario. Luca vi salì, osservando dal finestrino la mesta immagine di Margareth. Nell’attimo in cui il mezzo pubblico partì sussultò: era pronto a giurare che la ragazza della foto implorasse il suo aiuto.
Giunto a casa, salutò i genitori. Si recò nella sua stanza, si spogliò ed entrò in bagno per fare la doccia. Il vetro della toilette, anziché riflettere il suo volto dai lineamenti decisi e le labbra carnose, rimandò quello esangue di Margareth.
“Luca aiutami!” supplicava la condannata a vivere.
“Che posso fare per te!” balbettò atterrito, indietreggiando alla parete.
“Aiutami!” “Ma come?” Qualcuno bussò alla porta. “Tutto bene, Luca?”
“Tutto bene mamma” rispose per rassicurarla.
“Con chi stai parlando?”
“Sto recitando il dialogo di un film”
“Benedetto figliolo” sussurrò la donna allontanandosi.
“Luca aiutami!” riprese Margareth.
“Se non so nemmeno dove ti trovi?”
“Rintraccia quel maledetto fotografo.Lui è la chiave del mio male!”

“Problemi figliolo?” domandò il padre, bevendo un bicchiere di vino. Svogliatamente Luca avvolse gli spaghetti fumanti intorno alla forchetta Il televisore sul ripiano della credenza trasmetteva le immagini colorate di un varietà.
“Papà, ti senti ancora con quel tuo amico ingegnere di Milano?” chiese lasciando cadere la posata nel piatto.
“Ogni tanto, perché?” fece l’uomo, aggrottando la fronte.
“Ho intenzione di incontrare delle persone per allacciare nuovi contatti di lavoro.”
“Vuoi cambiare attività?” si preoccupò la madre, afferrando la caraffa dell’acqua.
“Assolutamente no! Ho un’idea per lanciare sul mercato nazionale l’azienda dove lavoro. Se riuscissi a realizzarla non avrei problemi per il resto della vita!” mentì riprendendo a mangiare con appetito. Dopo cena, il padre telefonò a Milano al suo amico. Costui fissò l’appuntamento due giorni prima del compleanno di Luca.

Il taxi avanzava a rilento nel traffico milanese esasperatamente ordinato, fermandosi davanti all’ingresso del grattacielo. Luca pagò ed entrò nell’atrio. Il pavimento di marmo, appena lucidato, scintillava come un enorme lingotto di cristallo.
“Prego?” chiese il portiere in divisa, col berretto d’ordinanza sul capo. Sembrava un ufficiale in alta uniforme. La guardiola pareva la cabina di un’astronave.
“Il dottor M…” fece Luca timoroso.
“Ha appuntamento?” chiese l’uomo scrutandolo con attenzione. “Sì!” balbettò. Il custode citofonò per accertarsi che Luca dicesse il vero.
“Scala F, 18° piano” fece quindi, riponendo la cornetta con un’aria distratta.
“Caro Luca” lo abbracciò con entusiasmo Alfonso M… “Da quanto tempo…Madonna come sei cresciuto” aggiunse, conducendolo nel suo ufficio. “Cosa bevi?” domandò, premendo l’interfono, accomodandosi nella poltrona dietro la scrivania.
“Una coca” fece Luca, sedendo a sua volta.
“Giovanna, una coca e un doppio wisky” ordinò Alfonso all’apparecchio sul tavolo. Nell’attesa delle bevande, Alfonso tempestò di domande Luca. La porta dell’ufficio si aprì e la segretaria apparve nello studio recando il vassoio con le bibite poggiandolo sul ripiano.
“Cosa ti ha spinto qui?” chiese Alfonso versando da bere.
“Vorrei conoscere l’autore della campagna pubblicitaria della…..” “Perché?”
“Mi interessa il suo lavoro!”
“Hai visto gli orrori che ha ritratto sta volta?” domandò Alfonso, tormentandosi le labbra tra le dita. Luca accennò di sì col capo. Dopo un giro di telefonate, Alfonso fissò per l’indomani un appuntamento tra Luca e il fotografo.

L’aria truce dell’uomo grasso, stempiato, la barba incolta, aspirando un sigaro puzzolente, seduto dietro la scrivania in mogano, mise Luca in soggezione.
“Che vuoi?”
“Vorrei conoscere Margareth!” rispose Luca.
“E chi è?” trasalì l’incubo, tossendo una densa nuvola di fumo sul volto dell’ospite.
“Uno dei soggetti di cui si è servito nell’ultima campagna pubblicitaria della…”
“Non la conosco” ringhiò il demone, rigirandosi nervosamente nella poltrona di pelle nera.
“La ragazza affetta da tumore osseo, nata il 10 febbraio di vent’anni fa!” insistette Luca, sporgendosi sulla scrivania.
“Ah, quella! Perché vuoi incontrarla?” chiese l’orco, rilassando le membra flaccide nella poltrona.
“Domani compiamo entrambi venti anni …Vorrei augurarle buon compleanno!”
“E’ impossibile!” fece gelidamente il mostro, raddrizzandosi a sedere. “Perché?”
“Margareth è in coma!”. Luca, in crisi emetica, si recò nel bagno.

“Luca, non è vero che sono moribonda” Udendo la voce improvvisa, sobbalzò. Istintivamente levò lo guardò allo specchio sul lavabo. Il volto di Margareth, riflesso nella caminiera, insolitamente colorito, lo fissava con dolcezza.
“Grazie d’essere venuto…Sei ancora in tempo per salvarmi!”
“Ma come?” domandò, afferrandosi con entrambe le mani al lavandino.
“Chiedi l’indirizzo della clinica dove sono ricoverata e vienimi a trovare!” Luca si dette una rinfrescata e uscì dal bagno.

“Hai bisogno d’aiuto, ragazzo?” chiese il fotografo, fissandolo con gli occhi socchiusi, quando uscì dal bagno.
“Può dirmi dove è ricoverata Margareth?”  
"Che intenzioni hai?” chiese, aspirando l’ennesima boccata “Voglio andare a trovarla” rispose risoluto. “Se vuoi!” sospirò l’essere. Aprì un cassetto e trasse l’agenda dove annotava gli indirizzi delle sue vittime.

Il giorno dopo, in compagnia d’Alfonso, Luca si recò alla clinica.
All’infermiera della reception chiese “Vorrei notizie di Margareth B…”

La donna lo fissò con attenzione. Alzò il telefono e parlò a voce bassa.
“Lei chi è?” domandò poi, senza staccare la cornetta dall’orecchio. “Un amico!” rispose Luca, abbozzando un sorriso.  

“Chi di voi è l’amico di Margareth?” domandò la dottoressa avvicinandosi alle poltroncine dove i due erano ad aspettare. “Io” scattò Luca dalla sedia.
"Mi segua…Da solo!” aggiunse. 

Non appena entrarono nell’ascensore Luca chiese con apprensione alla dottoressa “Come sta Margareth?”. Il medico levò gli occhi al soffitto in maniera eloquente, senza fiatare.
Le porte dell’ascensore s’aprirono. Luca e la donna s’incamminarono lungo il tetro corridoio rischiarato da fievoli lampade al neon. “S’accomodi” fece la dottoressa, aprendo la porta dell’ultima stanza. Margareth giaceva nel lettino, circondata da un nugolo di persone. “Lei chi è?” domandò un uomo dall’aria stanca, somigliante in maniera impressionante alla ragazza.
“Un amico!” mentì Luca.
“Vi lasciamo soli!” fece il padre di Margareth, Affranto uscì dalla camera, seguito dai presenti. Le membra della giovane, divorate dal male, parevano di cartapesta. Il respiro pneumatico del polmone artificiale, che ostinatamente la teneva in vita, riempiva la stanzetta. La ragazza per un istante aprì gli occhi. Sembrava sorridere. Luca si avvicinò al letto. Prese l’ossuta mano di lei nella sua. Percependo amore, lentamente Margareth volse il capo verso l’apparecchio che l’alimentava. Tremando, Luca s’appressò alla macchina. Lanciò un ultimo sguardo alla sciagurata che volgeva gli occhi al cielo come nella foto pubblicitaria. Esitante, Luca pigiò il bottone rosso sul pannello dei comandi. La macchina si arrestò in un sordo ronzio, soffiando nell’aria come un pallone che si sgonfia! “Buon compleanno!” sussurrò, fissando Margareth esalare l’ultimo respiro. Franco da rimorsi, con un sospiro di sollievo abbandonò la stanza.

La porta del bagno nella cameretta s’aprì.
Il demone grasso, con l’eterno sigaro puzzolente tra le labbra, entrò nella stanza, seguito da una schiera di persone, tra cui la dottoressa che aveva condotto Luca da Margareth.
“Smontate tutto!",
 ordinò. “Fate attenzione al robot, costa l’ira di dio!” avvertì i due operai, travestiti da infermieri, che si apprestavano a sollevare Margareth dal letto dopo avere staccato i contatti elettronici che la facevano apparire viva.
“Devo ammettere, dottoressa, che l’idea di indicare la data di nascita dei malati, sui manifesti, è davvero geniale!” “La data è un input per l’inconscio” cominciò lei.
“Chiunque sia nato nello stesso giorno, leggendo la pubblicità, au-tomaticamente s’identificherà nell’ammalato e, fin quando non si sarà accertato che le sofferenze del disgraziato siano terminate, soffre a sua volta, come se affetto dal male. In tal modo la morte, oltre a cancellare le pene del paziente e di chi gli sta accanto, determina la fine dei patemi del il suggestionato per il tempo che leggerà la data!” Il fotografo aspirò con soddisfazione una profonda boccata dal sigaro. Il fumo velò la felicità disegnarsi sul suo volto sardonico. “Quei misteriosi signori che mi hanno commissionato questa campagna” fece “saranno molto soddisfatti!” Quindi, con fervore, si rivolse nuovamente alla dottoressa.
“Dottore, quanto ci vorrà all’opinione pubblica per abboccare al messaggio subliminale, tanto da scendere in piazza invocando l’eutanasia come un diritto umano?”
“Tre anni…Forse anche meno!”
“Meraviglioso” sussurrò, soffiando nell’aria una densa nuvola di fumo acre.

                                                   FINE  

Commenti al Post:
perlanaturale
perlanaturale il 11/05/06 alle 14:14 via WEB
Un racconto che lascia sapore di fiele in bocca..... La mia paura è che troppo spesso, ciò che i mass media ci fanno vedere in televisione, negli spot, nei giornali, nei resoconti da paesi soggiogati dalla miseria umana e dalla fame...insomma la paura è che.... le notizie che giungono fino a noi, siano manipolate in questo modo atroce. La sorpresa del finale, mi ha quasi fatto venire le lacrime agli occhi, pensando soprattutto, che spesso siamo legati a circostanze e coincidenze che hanno il sapore di qualcosa al di là del reale... Anche se frutto di invenzione, prendo atto che sotto le parole si cela qualcosa di dolorosamente vero ed è come uno schiaffo alla buonafede di tante persone. Preferisco di gran lunga il racconto del tuo vicino di casa.... Un caro saluto perla
 
kayfakayfa
kayfakayfa il 12/05/06 alle 06:02 via WEB
Ciao, Perla
 
odio_via_col_vento
odio_via_col_vento il 13/05/06 alle 23:00 via WEB
agghiacciante. mi ricorda Buzzati.
 
 
kayfakayfa
kayfakayfa il 14/05/06 alle 09:45 via WEB
grazie del commento!
 
stella_alpina72
stella_alpina72 il 14/05/06 alle 10:40 via WEB
Preferisco riportarti un articolo che ho studiato qualche tempo fa...lo condivido in pieno ed in più secondo un'etica cristiana(non cattolica) sarebbe bene prendere in considerazione un testamento biologico...ciao a presto scusami so che l'articolo è molto lungo ma so anche che è molto interessante spero che vorraileggerlo tutto... "La vita non è sacra, né dipende solo dalla qualità. L’etica evangelica indica un’altra via. In etica, molte scelte dipendono dal valore che viene attribuito alla vita. Nel dibattito attuale, vi sono due modelli di riferimento che si confrontano continuamente, ma che sono entrambi insoddisfacenti per affrontare le sfide etiche del nostro tempo. Da un lato, c’è la concezione cattolica della sacralità (o santità) della vita; dall’altro, quella laica della qualità della vita. Secondo la prima concezione, la vita biologica, dal concepimento alla morte, possiede una sacralità intrinseca che la rende indisponibile all’intervento umano. Questa tesi è fortemente richiamata dal magistero cattolico, ma non è l’unico modo in cui si presenta. Negli ultimi decenni, infatti, sulla scia della larga diffusione della filosofia personalista, il cattolicesimo si richiama con forza anche alla dignità della persona. La cultura cattolica più aperta non fa riferimento esplicito alla sacralità della vita, ma preferisce argomentare la dignità della persona. Secondo quest’ottica, l’uomo è dotato di una dignità originaria ed inalienabile che conferisce alla persona un valore intrinseco di fine in sé. Al di là della differenza di termini, vi è una stretta continuità tra sacralità della vita e dignità della persona: lo stesso approccio deontologico (il dovere di rispettare la vita e la persona), un simile un impianto metafisico (la vita e la persona sono sacre/degne per natura), la medesima astrazione concettuale (la vita in generale e la persona in quanto essere razionale), la stessa concezione della pratica medica (la tradizione neo-ippocratica). Secondo la cultura cattolica, quindi, la vita biologica è qualcosa da salvaguardare con grande attenzione in quanto è portatrice di un segno di sacralità e/o di dignità che non vengono mai meno. Dalla sacralità della vita discendono, ad esempio, il divieto della sperimentazione sugli embrioni e dell’eutanasia. L’etica laica, invece, sostiene un altro modello di riferimento: la qualità della vita. Secondo questa corrente di pensiero, la vita non è un dato metafisico, quindi indisponibile alla manipolazione umana, ma un’esperienza variabile la cui qualità cambia a seconda di molti fattori. Il suo valore non è intrinseco, ma dipende dai modi in cui è vissuta, per cui è la qualità a determinarne il valore. In presenza di gravi malattie o di sofferenze prolungate, ad esempio, una qualità accettabile di vita viene meno e, con essa, viene meno il dovere etico di continuarla a vivere. Sull’argomento della qualità della vita, si innesta quello dell’autonomia dell’individuo. Il singolo uomo è ritenuto il decisore insindacabile rispetto alla valutazione della qualità della sua vita, fino al punto di avere il diritto di pretenderne l’interruzione. In presenza di una sua deliberazione cosciente, informata ed autonoma, è giusto rispettare la decisione dell’individuo di mettere fine alla sua vita la cui qualità è percepita come irrecuperabile. In forza dell’argomento della qualità della vita, l’etica laica non ha criteri stabili di decisione, ma molto dipende dalle circostanze e, soprattutto, dai soggetti coinvolti. Che dire di questi argomenti? È necessario scegliere tra la sacralità della vita e la qualità della vita? Da un punto di vista etico, entrambe le impostazioni sono insoddisfacenti in quanto elevano uno o più elementi della questione a criterio discriminante e appiattiscono così il ragionamento etico ad un solo lato della questione. L’etica cattolica eleva a norma assoluta un principio che tende a sacralizzare il dato biologico della vita, senza tenere in adeguato conto le altre e ugualmente importanti dimensioni della vita umana: il progetto, le relazioni, la responsabilità. Anche il più recente richiamo alla dignità della persona, per quanto importante, rimane nell’ambito di un valore che assolutizza una proprietà sostanziale, ma non tiene conto della libertà della persona e della diversità di ogni esperienza. In più, la cornice della tradizione medica ippocratica, per quanto rivista e precisata, mantiene il primato del medico nella relazione clinica e non responsabilizza a dovere il malato che è il soggetto principalmente coinvolto nella malattia. D’altro canto, l’etica della qualità della vita non è soddisfacente perché fa dipendere la scelta morale da criteri del tutto soggettivi e fa leva su una concezione anch’essa astratta della persona. Il malato, per quanto soggetto responsabile della sua esistenza, non è mai isolato rispetto ad un contesto di relazioni che è necessario valorizzare insieme alla sua responsabilità. Per questo, la sua libertà non può essere scambiata per un’autonomia assoluta, ma deve essere esercitata nell’ambito di legami intersoggettivi. In più, la qualità della vita, per quanto da considerare molto attentamente, può diventare una variabile bizzarra se sganciata da valori di riferimento che accompagnano comunque l’esistenza, anche quella travagliata di una malattia grave e sofferta. Se l’etica cattolica della sacralità della vita è ingessata su norme assolute, ma non rende adeguatamente conto delle situazioni diverse e dei soggetti coinvolti, quella laica della qualità della vita è alla mercé di soggetti dotati di autonomia assoluta, ma non rende conto del contesto in cui si vive e delle norme cui la vita è soggetta. La prima è una forma di biolatria (culto della vita), la seconda una forma di egolatria (culto del sé). Per affrontare il tema del valore della vita, è opportuno valorizzare e tenere uniti il massimo di elementi possibili. La riflessione deve infatti considerare l’elemento normativo (i valori di riferimento), quello situazionale (le circostanze concrete) e quello esistenziale (i soggetti coinvolti). Anziché enfatizzarne uno a scapito dell’altro, è necessario tenere presenti tutti gli aspetti facendo in modo che si informino a vicenda. L’interazione tra norma di riferimento, situazione concreta e persone coinvolte è determinante per non prestare il fianco a sterili riduzionismi. I casi etici specifici vanno dunque collocati all’interno di una griglia sufficientemente chiara ed elastica nel medesimo tempo. È necessario essere consapevoli che, contrariamente a quanto asserisce un linguaggio diffuso anche in ambienti religiosi, la vita non è sacra, ma è un dono prezioso. L’attribuzione di sacralità alla vita appartiene ad un universo magico e pagano, mentre è del tutto estranea al messaggio biblico che smitizza la realtà dai rivestimenti idolatrici e la riconsegna nella sua dignità di creazione finita. La vita bisogna rispettarla e coltivarla, non idolatrarla. È bene curarla, non perpetrarla a tutti i costi. È da valorizzare, non da deificare. In più, la vita biologica, da sola, non è vita umana, ma solo una parte, tra le altre, che contribuisce a determinare la vita umana. Le funzioni biologiche non sono coincidenti con la vita umana in quanto quest’ultima è espressione di un progetto vitale più ampio che include la facoltà di stabilire delle relazioni significative e di perseguire un progetto di vita. La vita non costituisce qualcosa di sacro in sé e per sé, ma è qualcosa di degno per la relazione che ha con Dio e che fonda la possibilità di vivere relazioni significative e responsabili. Alla luce della fede cristiana, la vita biologica è un dono di Dio, ma allo stesso modo lo sono anche la vita spirituale ed eterna, per cui la prospettiva sulla vita è molto più ricca rispetto al dato biologico. Anche il discorso della qualità della vita è deficitario, in quanto la vita può essere portatrice di un valore che va al di là di parametri funzionali arbitrari. Occorre coltivare un senso della vita che rifletta la pienezza delle sue componenti e che sappia anche fare i conti con la sua finitudine, quindi anche con la morte. In questo senso, vita e morte non sono da considerare valori assoluti e nemmeno esclusivamente legati ai parametri biologici. La sacralità e la qualità non aiutano a fare i conti sino in fondo con le sfide dell’etica e occorre tracciare un’altra via per riconoscere alla vita un valore che dipende sì da norme di riferimento, ma che sappia anche valorizzare le diverse esperienze di vita e le persone concrete che la vivono." Leonardo De Chirico CSEB(Centro studi di Etica e Bioetica) C.P. 756 35100 Padova IFED
 
kayfakayfa
kayfakayfa il 14/05/06 alle 17:09 via WEB
ti ringrazio molto per l'articolo che hai posto come commento al mio racconto. Premesso che conto di riileggerlo con più attenzione, se non ho compreso male, cercando di sintetizzarne il senso, esso riflette l'eterno dilemma tra scienza e fede. in questo caso la fede sarebbe rappresentata dalla sacraltà della vita difesa a spada tratta dalla chiesa, mentre la scienza sarebbe rappresentata dalla difesa della qualità della vita. Personalmente ritengo che come in tutte la cose, anche qui la via giusta starebe in un giusto equilibrio tra le due vie. Ma affermare ciò lo trovo altresì tropo semplicistico e riduttivo per un argomento così importante. Grazie ancora per il tuo commento!
 
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