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RAGGIOLO, LO SCRIGNO DEI RICORDI

Post n°1817 pubblicato il 02 Giugno 2017 da kayfakayfa
 

Erano circa due anni che mancavo da Raggiolo. La scorsa estate, contrariamente alle nostre abitudini, fummo costretti a disertarvi, causa un’infezione post operatoria al ginocchio del nostro secondogenito che ci fece tribolare non poco. Fortunatamente, alla fine tutto si è risolto per il meglio: di quell’incubo resta solo il brutto ricordo.

A scoprirne l’esistenza fu casualmente mio  suocero più di venticinque anni fa. Non appena il suo animo d’artista si trovò al cospetto di quello che oggi è ritenuto tra i borghi più belli d’Italia - immerso nel verde del casentino toscano in provincia d’Arezzo, a circa 800 metri ai piedi del Pratomagno; prospiciente il panorama mistico de La Verna  dove San Francesco ricevette le stigmate -  si radicò in lui la decisione che qui avrebbe trascorso il resto dei suoi giorni. Fu così che prese corpo il progetto della casa d’arte museum petricciuoliana, oggi realtà consolidata, seppure misconosciuta, nel panorama museale del casentino toscano, in cui sono raccolte molte delle opere dell’artista Osvaldo Petricciuolo.

Al di là del valore artistico in esso racchiuso, per me Raggiolo rappresenta prima di tutto un luogo dell’anima: uno di quei posti in cui percepisci che il tuo io si coniuga integralmente con il paesaggio circostante; che si crea una tale simbiosi, ma forse dovrei dire sinergia, tra l’Io  e la natura che a un certo punto fatichi a scindere tra spirito e materia, sogno e realtà.

 Probabilmente se fossi credente non esiterei ad affermare che nell’atmosfera di Raggiolo si coglie la presenza di Dio.  Non essendolo, non lo dico. Ma la sensazione che in questo scenario naturale, il cui silenzio è rotto dall’eterno mormorio dei fiumi Teggina e Barbozzaia che dalla montagna precipitano a valle da opposti versanti, tra allegre rapide e lievi cascate, cingendo il paese a mo’ di monile, per poi fondersi ai piedi dell'abitato in un unico serpente d’acqua che fluisce verso Bibbiena ad alimentere l’Arno, si celi qualcosa di surreale, di mistico, è davvero forte.

Tuttavia a suscitarmi emozioni non è solo la magica atmosfera del luogo, tanto che anni fa scrissi addirittura un racconto, NOTTE MAGICA, che poi pubblicai nella mia seconda raccolta di racconti La Scelta. Come già ebbi modo di scrivere in altra occasione, a Raggiolo mi legano ricordi per lo più connessi all’infanzia dei miei figli. E questa mattina, mentre con mia moglie passeggiavamo sulla strada che si inerpica verso il punto più alto del paese, giunti all’incrocio con il sentiero che partendo dalla piazza, sale agli oltre 2 mila metri del Pratomagno, non ho potuto fare a meno di riandare con la mente a quando, circa 14/15 anni fa, con il mio secondogenito che all’epoca aveva 7/8 anni, insieme ad altri amici partimmo alle sette del mattino verso il Pratomagno. Una passeggiata tra i boschi di circa tre ore che non dimenticherò mai: vedere quella pulce al mio fianco zampettare allegramente con lo zainetto in spalla sul sentiero che portava in cima senza mai lamentarsi per la fatica; arrivare in vetta e ammirare il maestoso panorama che si perdeva nel mare all’orizzonte; sederci ai piedi dell’imponente croce in ferro che domina il Pratomagno per riposarci mentre un gruppo di vacche pascolava stancamente; accogliere presso il “rifugio” il gruppo festante delle mogli e dei figli che ci raggiunse in auto per mangiare tutti assieme al bivacco, lassù; ridiscendere nuovamente a piedi al paese fu un’emozione indescrivibile che per un attimo s’è riaccesa in me mentre mi inoltravo per qualche metro sul sentiero che scala il monte. Ma soprattutto rimarrà in me indelebile il ricordo di quella pulce che, per niente intimorita dal dover nuovamente camminare per almeno un altro paio di ore, preferì stare con me e con gli altri anziché accompagnarsi in auto alla mamma e al fratello.

Ricordo nitidamente quanto fossi orgoglioso di quel bambino, oggi uomo, che per nulla intimorito dalla fatica, volle completare a piedi tutto il percorso di andata e ritorno. Ma soprattutto ricordo la tenerezza che mi fece quando, giunti in paese, timidamente  mi chiese, “papà, posso avere un gelato?”.

Di quel bambino, oggi uomo, che era salito e sceso a piedi al Pratomagno parlò a lungo tutto il paese. Chiunque lo incrociava si fermava a salutarlo come un eroe. E quando succedeva, rientrando a casa non faceva che chiedere “perché la gente mi guarda come chissà cosa abbia fatto?”.

Difficile spiegargli che non tutti i bambini della sua età avrebbero sopportato in quel modo la fatica!

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È a causa del ginocchio di quel bambino, oggi uomo, infettato da un artrite settica, contratta presumibilmente in sala operatoria, che la scorsa estate non siamo potuti salire a Raggiolo.

Pensando a quel bambino -  che attualmente insieme al fratello sta cercando di costruirsi un futuro dignitoso, mostrando di non temere la fatica così come non la temette quel giorno quando scalammo la montagna - ho faticato non poco a contenere l’emozione.

Raggiolo per me è uno scrigno di ricordi e emozioni piacevoli. Le pietre più preziose, i momenti legati all’infanzia dei miei figli.

 
 
 
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