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I MISERABILI, SAGGIO SULL'ANIMA UMANA

Post n°1638 pubblicato il 16 Agosto 2015 da kayfakayfa

Dopo aver letto Notre Dame di Paris, scrissi un post dal titolo VICTOR HUGO, SCRITTORE E INIZIATO in cui esponevo le mie convinzioni riguardo la supposta natura iniziatica dell'opera; riconoscendo esplicitamente al grande scrittore francese lo status di iniziato. Cosa che, successivamente ho scoperto leggendo alcuni scritti sulla sua figura, più di un biografo presuppone.

Tuttavia, essendo sterminata l'opera di Hugo, la cui pubblicazione di opere inedite s'è protratta per anni dopo la sua morte, mi sentii obbligato a approfondire il personaggio per valutarne meglio la personalità al fine di trovare ulteriori conferme alla mia deduzione. Di conseguenza decisi di leggere il suo capolavoro, I MISERABILI, certo che se davvero la mia supposizione era giusta, tra le righe di quello che è indiscutibilmente il suo romanzo più famoso avrei trovato ulteriori conferme. Armato di pazienza e, per quanto fosse possibile, con occhio vigile, mi apprestai alla lettura del racconto.

Fin dalle prime pagine la natura iniziatica dell'opera mi si palesò in tutta la sua sontuosa maestosità. I ripetuti riferimenti ai conflitti interiori che colgono l'uomo quando, dopo aver commesso un crimine, trovandosi al cospetto di chi, pur avendo ricevuto dal suo operato un danno, anziché punirlo, denunciandolo alle autorità competenti, lo assolve confidando in un suo rinsavimento esistenziale - come fa il vescovo di Dygne nei confronti di Jean Valjean protagonista indiscusso dell'opera, dando vita a un meccanismo di conversione spirituale, tema dominante dell'opera fino all'ultimo rigo - mi sembrò introducessero quello che s'è poi rivelato essere l'argomento cardine dell'opera, una profonda discussione sulla natura dell'anima umana.

Se in Delitto e Castigo di Dostoevskij il protagonista, dopo aver commesso il delitto, vive un eterno conflitto interiore che non gli darà tregua fino all'epilogo della storia, costringendolo a guardarsi sempre alle spalle e a nascondersi da tutto e da tutti temendo che gli altri sappiano ciò che ha fatto e lo tengano sotto osservazione per coglierlo in flagrante quanto meno se l'aspetta, mettendo così in risalto come il crimine contempli in sé il proprio castigo rappresentato dagli scrupoli e dalle paure che assalgono chi lo ha commesso inducendolo a vivere in un eterno stato di oppressione e di paura, la morale de I Miserabili è che essendo l'anima umana una goccia di quel grande oceano di bene che è Dio, dovendo per forza di cose la goccia contenere in sé le caratteristiche del mare da cui deriva, conterrà a sua volta in sé il bene ma offuscato dalla pesantezza materiale. Pertanto, se messa nella giusta condizione di sgravarsi dai legami materiali mediante la riflessione e la preghiera, l'anima umana non potrà a sua volta che tendere al bene.

Emblematica a riguardo è la frase che era solito proferire il vescovo di Dygne, tra i cui hobby spiccava il giardinaggio, “L'anima è un giardino”, indicando come l'anima non debba essere trascurata bensì coltivata con saggezza, al pari di un giardino, mediante le buone letture e la preghiera affinché dia buoni frutti.

Tuttavia vi è un altro strumento che permette la coltivazione dell'anima. Esso ci è presentato all'inizio del capitolo sesto intitolato Javert. Parlando alla disgraziata e moribonda Fantine, la madre di Cosette colei che diventerà sua figlia adottiva, il sindaco Madeleine, alias Jean Valjean, sussurra, “avete sofferto molto povera madre! Ma non ve ne lagnate, perché ora possedete la dote degli eletti. In questo modo gli uomini si trasformano in angeli: non è colpa loro se non possono fare diversamente. Questo inferno, dal quale uscite, è il primo aspetto del cielo. Di qui era necessario cominciare”.

Dunque è attraverso una vita di miseria e sofferenze che l'anima umana può ritrovare il proprio riscatto e elevarsi al cielo. Questo ragionamento, così esposto, tradirebbe la natura cattolico-dogmatica del romanzo il quale assumerebbe i connotati di surrogato evangelico.

E invece è proprio in questo contesto che si svelerebbe la natura iniziatica de I Miserabili.

Pur trattando un argomento, l'anima umana, di non facile approccio per via della sua natura evanescente, Hugo non cede mai ai bigottismi. Il suo discorso è sempre molto lucido, scevro da enfatizzanti riferimenti di natura ecclesiastica. La sua analisi resta salda nei confini del razionalismo senza mai sfociare in ambito fantasioso e surreale, prendendo come spunto per il proprio ragionamento l'operato umano in quanto riflesso incondizionato della natura umana di cui l'anima è indissolubile tassello.

Non a caso c'è stato chi ha individuato ne I MISERABILI un vero e proprio testo di psicologia, a conferma di quanto asserivamo prima. Ossia che l'opera, al di là delle apparenza, non è affatto un mattone di carta ridondante messaggi retorici, bensì si pone quale obiettivo di penetrare a fondo il mistero dell'uomo, dimostrando che in ognuno di noi esistono due nature conflittuali, una tendente al bene l'altra al male. E che compito dell'uomo è quello di confluire verso quella del bene anche a costo di arrecare danni a se stesso. A sostegno di ciò vi una frase pronunciata dall'io narrate che sintetizza tale concetto: “fare del bene è facile. Essere giusti è difficile.”

A riguardo, altra figura del romanzo che inquadra l'uomo in preda a un simile conflitto è il poliziotto Javert, uomo integerrimo che insegue Valjean in lungo e in largo per assicurarlo alla giustizia. Ma che alla fine, salvato da Valjean da morte certa durante i moti del 32, è costretto a cedere alla riconoscenza verso quell'uomo invocata dalla propria coscienza rendendolo libero; per poi sacrificare se stesso allorché i rimorsi interiori per non aver assicurato un criminale a quella giustizia di cui egli è servitore gli attanagliano l'anima.

Che Hugo credesse nell'esistenza dell'anima distinta dal corpo è dimostrato dal fatto che non disdegnava partecipare alle sedute spiritiche. Ciò non deve stupire visto che nell'epoca in cui lo scrittore visse sorsero in Francia e in tutta Europa circoli culturali e società segrete di matrice esoterica rifacentisi alla tradizione egiziana. Inoltre i moti rivoluzionari narrati dallo scrittore e quelli successivi cui egli stesso partecipò portavano il marchio della massoneria a cui egli stesso aderì 1869 partecipando all'adunanza napoletana dell'Assemblea dei Liberi Pensatori.

Ritenere che Victor Hugo fosse un iniziato non è affatto un'eresia ma la logica conclusione derivante da un procedimento analitico di quelle che sono le sue due opere più famose, Notre Dame de Paris e I Miserabili. Seppure molti ritengono che è ne L'Uomo che Ride, romanzo che confido di leggere quanto prima, che possiamo trovare diversi connotati iniziatici che, senza mezzi termini, rivelerebbero la natura iniziatica dello scrittore.

È ovvio che il presente giudizio su Hugo e le sue opere è strettamente personale. Ognuno in un'opera vi vede ciò che è in sintonia con il proprio io. Di conseguenza non escludo, anzi sarà certamente così, che altri leggendo i romanzi di Hugo non vi ritrovino aspetti totalmente dissonanti rispetto alla mia visione, sconfessandomi senza se e senza ma.

Per quanto mi riguarda, pur consapevole dei rischi cui vado incontro, rendo pubblica questa mia riflessione confidando che essa possa fungere da sprone per quanti la leggeranno, avvicinandoli a un autore che, da qualunque punto lo si analizzi – iniziatico, politico, letterario - non si può certo negare che con il proprio pensiero ha dato e ha ancora molto da dare allo sviluppo della società umana.

 
 
 
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