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PENSIERI E PAROLE
 

W. Allen

NON E' CHE HO PAURA DI MORIRE.

E' CHE NON VORREI ESSERE LI'

QUANDO QUESTO SUCCEDE.

W. Allen

 

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CANZONE

Che giorno è

E' tutti i giorni

Amica mia

E' tutta la vita

Amore mio

Noi ci amiamo noi viviamo

noi viviamo noi ci amiamo

E non sappiamo cosa sia la vita

Cosa sia il giorno

E non sappiamo cosa sia l'amore

Jacques Prévert

 

I ragazzi che si amano si baciano

In piedi contro le porte della notte

I passanti che passano se li segnano a dito

Ma i ragazzi che si amano

Non ci sono per nessuno

E se qualcosa trema nella notte

Non sono loro ma la loro ombra

Per far rabbia ai passanti

Per far rabbia disprezzo invidia riso

I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno

Sono altrove lontano più lontano della notte

Più in alto del giorno

Nella luce accecante del loro primo amore.

Jacques Prèvert

 

DALLA - CANZONE

 

N. de Chamfort

CHE COSA DIVENTA UN PRESUNTUOSO

PRIVO DELLA SUA PRESUNZIONE?

PROVATE A LEVAR LE ALI AD UNA FARFALLA:

NON RESTA CHE UN VERME.

N. de Chamfort

 

GLI APOSTOLI DIVENTANO RARI,

TUTTI SONO PADRETERNI

A. Karr

 

 

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PENSIERI, PENSIERI, PENSIERI

Post n°323 pubblicato il 22 Gennaio 2011 da enca4

               Un anno fa, di questi tempi, piangevo per aver capito, finalmente (anche se avrei voluto con tutto me stesso essermi sbagliato), che l’amore, la dedizione, la  devozione di cui avevo riempito, o almeno tentato di fare, la vita di colei che ritenevo essere l’unica donna degna di tutto ciò, non erano per lei importanti. Non gli interessava che io l’avessi consacrata sull’altare dell’amore.

                Ero, allora, convinto che il mio tempo fosse passato, e la cosa non è che mi dispiacesse molto, a dir la verità.  Stavo cercando di riprendere in mano le redini della mia vita, tentavo di crearmi interessi diversi da quelli che avevo avuto fino ad allora anche perché mi ero accorto che tutto quello che facevo, in quel periodo, mi ricordava fatti, sensazioni, mi dava emozioni e turbamenti che volevo in tutti modi cercare di reprimere e dimenticare.

                Conoscevo perfettamente quale era la mia reale situazione fisiologica e psicologica. Sapevo che per me, oramai, certe cose potevano essere solo dei piacevoli ricordi, non certo delle sensazioni che avrei potuto riprovare nella vita.

                Ma non me ne preoccupavo, allora, come, d’altronde, non me ne preoccupo adesso. Non è certo colpa mia se Dio ha voluto che io mi trovassi ad affrontare un nemico implacabile e spietato che non ha avuto alcuna pietà di me, ne come semplice essere umano bisognoso ancora di certe sensazioni; ne come anima alla continua ricerca di quella tranquillità e serenità che non ha più avuto, anche se per su colpa.

                Poi, di colpo, quasi per gioco, sono tornato ad essere al centro delle attenzioni di qualcuno. Poi, incredulo, ho scoperto che, forse, il mio stato fisico non fosse talmente deficitario da escludermi da qualsiasi altra forma di rapporto affettivo. Mi sono sentito di nuovo importante. Ho avuto l’impressione di aver ricevuto una iniezione di fiducia, di stima, di speranza. Di essere ancora utile, oltre che a me stesso, anche agli altri.

                Ma avevo paura. Paura di essere preso in giro di nuovo. Paura di essere deriso del mio stato. Di essere di nuovo sopportato, tollerato. Avevo paura che chi si avvicinasse a me lo facesse solo per pietà              e compassione del mio stato.

                E’ difficile superare questi ostacoli. Non ci sono ancora riuscito, e me ne dispiace infinitamente. Non è colpa mia se ancora, a distanza di quattro anni, ormai, ancora non riesco ad accettarmi per quello che sono e per come sono. Per quello che sono, perché l’essere ammalato mi ha portato, inevitabilmente, a fare delle considerazioni su me stesso, e sul mio modo di essere stato nel passato, che, da “sano”, non avrei mai fatto. Per come sono, perché è per me un dramma ogni volta che guardo la mia figura allo specchio. In quei momenti mi tornano alla mente i ricordi di quando facevo sport, di quando il mio fisico era asciutto, quasi atletico. Adesso tutto questo non c’è più. Adesso devo imparare a convivere con una persona (che poi sono sempre io), diversa da quella che conoscevo e che amavo.

                “Cosa vuole lei da me? Cosa pensa che io possa darle?” Queste domande me le sarò poste decine di volte, allora, senza riuscire a darmi una risposta. Ed ancora me le pongo. Cosa posso dare io? Non ho più nulla da dare a nessuno. Non riesco a credere che possa bastare la mia presenza per far felice qualcuno. Non valgo molto. Se le persone si giudicassero, e si comperassero, in base al loro aspetto, io sarei venduto sottocosto. Se gli uomini fossero giudicati per quello che hanno fatto nella loro vita, come sarebbe giusto che fosse, io avrei poche cose di cui vantarmi. Se, invece, gli uomini potessero essere giudicati e scelti per le cose che ancora vorrebbero fare, io avrei una sola cosa da dire a mio favore: “Prima di tutto, voglio vivere.”

                Amo. So di amare chi mi ama. Ma non sono capace di esternarlo come sarebbe giusto e come lei si aspetta da me. Non ci riesco. Mi mette in imbarazzo sentirmi dire “Ti amo”. Mi è stato detto talmente poche volte, che non credo che ci sia qualcuno, adesso, che senta il piacere di dirmelo. “Ti amo” è una piccola frase, di solo due parole. Ma, forse, è la frase più importante, che mai un essere umano possa mai dire ad un altro essere.  Ma molte volte dalla mia bocca si rifiutano di uscire queste due paroline. Vorrei poterlo fare. Vorrei essere in grado di dire “Ti amo”, come si vede nei film. In modo semplice, naturale. Ma non mi riesce.

                Per me, che non mi riempio la bocca della parola “amore”, così, per il gusto di dirla, è estremamente complicato far capire quanto io, invece, ami. Cerco di dimostrare l’amore che provo, in tante altre maniere. Innanzi tutto essendo fedele a chi mi ama. E quando dico fedele, intendo qualsiasi forma di fedeltà, sia fisica, che mentale. Cerco di dimostrare l’amore che nutro, interessandomi veramente ai problemi della persona che sta con me. Non sono un ipocrita, non lo sono mai stato, e quando vedo che chi amo soffre, io soffro con lei, e vorrei fare tutto ciò che è nelle mie possibilità per non assistere al dolore, alla frustrazione, all’avvilimento che la persona prova in quel momento.

                Vorrei essere ricco, talmente ricco da poter pagare Dio affinché non faccia soffrire chi amo. Vorrei poter comperare per lei una vita nuova. Vorrei poter togliere dalla sua mente pensieri e ricordi tristi. Vorrei vedere occhi sempre felici.

                Ma prima di tutto, per poter avere tutto questo; per poter tornare a dire “Ti amo” senza paura di essere, poi, utilizzato, non creduto, prima di tutto, dicevo, devo imparare ad amare me stesso. E questo è il cammino più difficile e più lungo.

                Qualche anno fa una persona, di fede religiosa diversa dalla mia, mi disse: “Rispettati e sarai rispettato; amati e sarai amato.” Questo è quello che devo fare in futuro. Questo è il fine che devo raggiungere: rispettarmi ed amarmi. Ma da solo non ce la farò mai. Da solo riesco solo a pensare a cose che, invece, dovrei cercare di far sparire dalla mia mente. Da solo posso solamente passare delle giornate intere in completa solitudine mentale e fisica. Da solo non riuscirei a vivere.

                                                                                                              Enrico

 
 
 
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