« farsi un nome nel mondopoco ma buono »

my name is Geronima Spizzichini

Post n°223 pubblicato il 25 Agosto 2010 da esperiMente

Anna era una bambina allegra e sempre sorridente.
La sua era una famiglia unita, aveva una bella cameretta, un grande giardino in cui passava la maggior parte del suo tempo, la tavola sempre imbandita agli orari giusti.
Nessuno la picchiava o abusava di lei.
A scuola era molto brava, raggiungeva senza sforzo risultati eccellenti. I suoi temi venivano letti in classe e poi, spesso,  a tavola dal Papà, cosa che la inorgogliva ma la metteva molto in imbarazzo nei confronti dei suoi fratelli.
I suoi genitori erano molto uniti, sempre alleati, forse anche troppo e Anna soffriva, sentendosi poi in colpa, per i gesti d'affetto che il Papà dedicava alla Mamma e non a lei, perché sì, ad Anna tutti volevano bene (non si poteva non voler bene a una bambina così) ma lei non lo sapeva, perché nessuno gliel'aveva mai detto, o dimostrato. A volte lo chiedeva e le veniva risposto che era un'ingrata a dubitarne, considerato tutto ciò che si faceva per lei.
Il massimo dell'affetto lo sentiva arrivare quando era malata, nelle fiabe lette ad alta voce e negli occhi preoccupati della Mamma, donna rigida e schiva, convinta, e in questo sostenuta dal severissimo Papà,  del fatto che i complimenti e le coccole indeboliscano i figli.
Il massimo vezzeggiativo ricevuto da Anna consisteva in un nome e cognome, inventati per lei e pronunciati con una parvenza di tenerezza.
A casa di Anna ogni conquista era un dovere; ogni minimo errore, per il quale si veniva aggrediti verbalmente e moralmente anche in pubblico,  fonte di chissà quali terribili disgrazie. Ma non si deve pensare che a casa di Anna si usassero insulti o parolacce, perché non è così, la forma veniva prima di tutto. Il Papà non ne disse mai, e tanto meno la Mamma, finchè l'unica, la più orribile, secondo il suo concetto di parolaccia, la rivolse anni dopo proprio a lei, e per una presunta colpa che non poteva esserle più lontana.
La responsabilità di tutto era sempre di Anna. Lei non si sarebbe mai sognata di dire alla Mamma "quel bambino mi ha picchiata" perché conosceva già la risposta "si vede che tu gli hai fatto qualcosa", come conosceva la risposta ad ogni richiesta fatta al Papà: era sempre un NO, secco, tonante, e non importava se poi, in realtà, spesso l'oggetto della richiesta arrivava, quello che restava nella memoria era sempre ed è ancora quel NO.
Intanto Anna cresceva, sempre allegra, sempre sorridente.
Aveva imparato che l'unica maniera di essere felice era rendere felici gli altri, per cui si dava un gran da fare per piacere, essere sempre simpatica, disponibile, nell'accontentare chiunque si aspettasse qualcosa da lei.
Aveva imparato che il sorriso degli altri significava: sei brava!
E allora impegnò tutta se stessa nella raccolta dei sorrisi.
Insomma, proprio una brava ragazza,  in costante lotta con un prepotente istinto di ribellione, trasformatosi con gli anni in ostinato anticonformismo, lievemente patetico e sempre dominato dal buon senso di cui era largamente dotata.
Imparò che il piacere era un frutto sporco che andava gustato di nascosto e che per potersi divertire bisognava mentire, ma siccome ne era incapace, iniziò pian piano a spostare sempre più in là il limite della sfida, ma fu un fallimento; era destinata a rimanere per sempre una brava ragazza!
Le insegnarono che era peccato essere femminili, che desiderare di mettersi in mostra era una vergogna, che i complimenti nascondono sempre un secondo fine, che gli amici ti abbandoneranno di sicuro nel momento del bisogno. Che solo la famiglia c'è sempre, anche se è una famiglia in cui nessuno ti ha mai detto che vali qualcosa, per colpa tua, ovviamente, perché dovresti capirlo da sola.
 E così questa fu la sua ribellione: circondarsi di amici e stare il più possibile fuori casa, lontana dalla famiglia, rendersi presto indipendente e fuggire, ma non troppo lontano...
Le ragazze diventano donne, e Anna è una donna ora, una donna sempre allegra, sempre sorridente, sempre disponibile, una mamma molto diversa dalla Mamma, una donna che succhia ancora di nascosto un illusione di amore dal sorriso degli altri.
Ha realizzato, con impegno e soddisfazione, tutto ciò che ci si aspettava da lei: una famiglia felice davvero, un buon lavoro, una bella casa, non sua però, perché non ce la fa a mettere radici.
Anna non crede più in Dio, e tanto meno nel peccato, ma crede ancora che tutto ciò che succede di sbagliato sia sempre colpa sua, e non può fare a meno di pensare che un giorno o l'altro dovrà pagare tutta la sua fortuna; non riesce ancora ad accettare di non essere perfetta ma sa che la perfezione non basterebbe comunque ad abbattere il muro dei grazie, dei prego, dei per favore, dei doppi baci finti sulle guance...
Ogni tanto, sempre meno però, le capita ancora di ricadere nell'errore di elemosinare carezze che non arriveranno e diventare aggressiva per fingere di non soffrirne.
Anna ora ha capito perché si affezionava sempre alle mamme degli altri.
Ha imparato che a volte è necessario inventarsi un nome nuovo, per ricevere attenzione. Probabilmente sbaglia ma le parole incise non si cancellano.
Forse, tanto tempo fa, avrebbe dovuto sentirsi chiamare Amore, e non Geronima Spizzichini.

 

 
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Sindaco di Pollica (SA)

ucciso il 5 settembre 2010


Uccidendo Vassallo, la mafia non ha voluto solo difendere le attività legate al narcotraffico e all'edilizia. Ha ucciso un profeta. Un eletto dal popolo che affrontava con intensità e coraggio le disfunzioni più evidenti ella società contemporanea.

Alain Faure - direttore di ricerca Istituto di studi politici di Grenoble - LE MONDE 

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