espe dixit

inutile

Ci siamo trovati con gli altri.
Indovina dove? Intorno al tavolo di un ristorante.
Come se ci fosse qualcosa da indovinare. Non avevi dubbi, vero?

E' sempre stato quello, il vero fulcro della nostra amicizia, il naturale punto d'incontro che ci raccoglieva allo stesso livello. Non il lavoro, che condividevamo ma che ci inanellava in rapporti gerarchici puramente formali.

Chiudere una porta, aprirne un'altra, sederci a tavola, distendere i lineamenti e dimenticare il tempo. Veniva spontaneo.

Finchè c'eri tu.

Sono cambiate molte cose, sai? Ci siamo sparpagliati, infine. Chi un lavoro diverso, chi la pensione, chi un figlio nuovo. 
Ma abbiamo voluto rifarlo. Perché il tempo non si è dimenticato di noi ed è venuto a bussare.
Ne parlavamo da un po' e rimandavamo sempre.

Poi abbiamo deciso, ci siamo trovati e non c'era alcun tacito accordo. Ha cominciato lui: dico questa cosa e poi cambiamo argomento. Come se fosse possibile.

Non è stato possibile.

Ogni portata accompagnava un episodio, ogni sorso un aneddoto. Ogni risata un retrogusto amaro.

E' finita che, nonostante gli sforzi, in modo più o meno palese, si è parlato sempre di te.
Come se senza di te le pietanze non avessero sapore, e il nostro essere lì un senso.

Dovevamo farlo, per fingere che l'ultima vera volta che ci siamo visti tutti insieme non fosse quella in cui siamo venuti a salutarti. Ma è stata una farsa. Nessuno aveva veramente voglia di essere lì, e quella sedia vuota a capotavola si è fatta beffe di noi tutto il tempo.

Maledizione.
Ne son passati, di giorni, ma non abbastanza. Perché la prima parola che mi viene in mente quando penso a te è ancora: maledizione.