espe dixit

26 giugno 1993

Lei era seduta da un po', vicino al telefono.
Guardava l'orologio e pensava: "Ma che sta facendo? Perché non chiama? Doveva chiamare appena prima di partire di casa. Lo sa, che non posso arrivare in chiesa prima di lui."

Fuori, gli invitati attaccavano il buffet dei salatini.
L'aria, frizzante da giorni, non trovava riposo. Persino i fiori erano euforici, lo si capiva dai colori che avevano. Fortuna che qualcuno li fotografò, altrimenti, più in là, sarebbe parsa una di quelle bislacche invenzioni che fanno a volte i ricordi.

Lui passeggiava sul posto da un po', vicino al telefono. Non riusciva a sedersi.
Guardava l'orologio e pensava: "Ma che sta facendo quell'incosciente? Sta al telefono proprio adesso che la devo chiamare? E' tardi, mannaggia. L'ho già chiamata un sacco di volte e dà sempre occupato."

Fuori, gli invitati attaccavano discorsi e una grossa moto fremeva d'impazienza, ma bastava guardare il cielo, per capire che tutto sarebbe andato bene. Comunque.

Lei cominciava a spazientirsi. Non era da lui comportarsi così.

Lui alzò nuovamente la cornetta, un po' seccato.
Battè sui tasti  nove volte. 
Alla decima si rese conto che il numero che stava facendo da un quarto d'ora era il suo.

La cerimonia cominciò lievemente in ritardo.

Nulla comincia da zero, nulla finisce in niente.
La vita non è altro che un continuo trasformarsi, e i fiori, talvolta, sorridono ancora. Lo si capisce dai colori che hanno.