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150° Italia: Anna Schiaffino Giustiniani

Post n°151 pubblicato il 17 Marzo 2011 da ilio_2009
 

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La Marchesa Anna Schiaffino Giustiniani (Parigi, 9 agosto 1807 – Genova, 30 aprile 1841), è stata una nobildonna e patriota italiana.

Anna Schiaffino, sposa del marchese Stefano Giustiniani Campi, muore suicida a trenta anni per amore del giovane Camillo Cavour di cui ne fu amante, il 24 aprile del '41 gettandosi dalla finestra della sua camera di Palazzo Lercari a Genova. La sua storia è conosciuta per il cospicuo e romantico carteggio con Cavour e per essere stata animatrice di uno dei “salotti” politici repubblicani del primo risorgimento Italiano. Le lettere che si scambiarono e che sono giunte sino a noi in parte furono ritrovate dal collezionista americano Henry Nelson Gay nello stipo segreto di uno scrittoio appartenuto all’avvocato di Stefano Giustiniani, in parte sono state recuperate fra le carte private di Cavour: strette da un nastro assieme a una ciocca dei biondi capelli di Nina.

Anna, ma da tutti chiamata semplicemente “Nina”, nasce a Parigi la mattina del 9 agosto 1807, da Maddalena Corvetto e dal barone Giuseppe Schiaffino.

La piccola si trova subito immersa nel clima d'una grande epopea. La sua formazione culturale, nel gran palazzo parigino di Rue des Moulins, è sicuramente più libera e liberale di quella delle sue coetanee nobili ed Italiane.
Quando, nel 1817, Giuseppe Schiaffino viene nominato console a Genova, Nina ha dieci anni ed è una bambina piena di curiosità. Si occupano di lei insigni precettori francesi e da una zia, Anna Littardi, nobildonna di singolare carattere e cultura, che le impartiscono un'educazione assai raffinata. Il vero educatore di Nina, come era chiamata da tutti, è il nonno Luigi che la conduce nei musei della città e le trasmette la passione delle musica e della lettura. E coperta di attenzioni come tutti i figli unici. La sua educazione è del tutto eccezionale. Accanto al francese, che è la sua lingua madre (le sue lettere scritte a Cavour sono quasi tutte scritte in francese), studia italiano, inglese, tedesco, lettere e scienze accanto all’arte del ricamo.

Appena diciannovenne Nina è presentata a uno dei più illustri rappresentanti della nobiltà genovese, il marchese Stefano Giustiniani un giovane di ventisei anni, compassato, di media statura e tarchiato. Uomo compassato fino alla noia, scettico sino al cinismo, pronto all’astuzia e all’intrigo, che propugna le idee più reazionarie del tempo, ancorchè al servizio della corte Sabauda, e Nina, abituata al clima della “nouvelle noblesse” napoleonica, sente assai lontano da sé quel giovane.  La sorte vuole però che Stefano la chiedesse in sposa e che i genitori di lei acconsentano, soprattutto la madre che vuole che la figlia abbia, almeno dal punto di vista economico, una vita tranquilla.
Il matrimonio viene celebrato, con grande fasto, nella Chiesa della Maddalena. Gli sposi vanno a vivere in piazza San Siro, nel Palazzo De Mari. È l’estate del 1825. Nel giro di due anni nasceranno altrettanti figli: Teresa e Giuseppe. Ma la nascita dei bambini non avvicina Nina al marito né riesce riempirle la vita. La loro vita scorre tranquilla, ma in realtà Nina è angosciata e depressa.

Nina,dal 1827 tiene salotto, un salotto politico, d’opposizione, lei stessa è una fervente mazziniana, molto schierata; del resto era così di carattere, senza mezze misure. Fra i frequentatori del salotto ci sono anche molti giovani ufficiali della guarnigione militare di Genova, tra questi spicca per cultura e capacità dialettica un giovane ventenne robusto e prestante dall'aria furba: Camillo Benso conte di Cavour (“Verrà il giorno- gli scrive nella prima lettera - nel quale il suo ingegno sarà messo in evidenza”..). Siamo nel 1830, Anna ha venti tre anni e già due figli. Cavour legge e studia molto. Si avvicina alle idee liberali e, per questo motivo, entra in attrito con la sua famiglia. Torino gli sta stretta ed il salotto di casa di Giustiniani, gli appaiono pieni di vita e di fermenti. Il suo spirito e la sua intelligenza iniziano ad attrarre Anna, ma non si può ancora parlare d'amore fra i due. Da quel momento la sua vita è segnata. I due si innamorano, e da allora Nina è assorbita totalmente da questa passione. Curioso che il marito ne sia a conoscenza ma non faccia nulla per impedirlo («Quella per il tenente Cavour? È solo una passione». «La verità è che Nina non è in possesso delle sue facoltà mentali») Cavour viene richiamato a Torino il 15 dicembre del 1830. Un mese prima Mazzini è stato arrestato come carbonaro e rinchiuso nella fortezza di Savona. Il clima insurrezionale a Genova inizia a farsi incandescente e le prese di posizioni liberati del “contino giacobino”, come lo definirà re Carlo Alberto, non piacciono a corte.

LA LETTERA DI CAVOUR
Questa è la lettera che Cavour scrive ad Anna per giustificare la sua improvvisa partenza da Torino:
”L' anno scorso, avendo io vivamente disapprovato in Genova i famosi decreti di Carlo X, la polizia mi segnalò come persona sospetta e pericolosa e non è da ascriversi a colpa del suo capo, il colonnello Cassio, se non fui allora mandato in un forte come carbonaro. Al mio ritorno a Torino, a forza di commentare i miei discorsi e di interpretare sfavorevolmente ogni mia azione, mi fecero credere un clubista ed un anarchico e non già quello che ero, cioè un giovane che prendeva viva parte agli avvenimenti presenti ed esprimeva le sue idee con franchezza sovente imprudente. Fui additato ai miei compagni e all'esercito come persona da evitarsi, capace del più nero e più turpe delitto il tradimento.” [5 marzo 1831]
IL DIARIO

È qui riportata una pagina del diario di Anna:
”La mia vita è così passata! E io, Nina, tanto giovane la trovo lunga, troppo lunga questa vita che non è che un sogno. Mio Dio, se sento l'amore che è in me! Sono le quattro del mattino. Io, io chi? Cosa? Perché? Lo saprò mai? Potrò mai rendermene perfettamente ragione? Io so che due occhi, una fronte cara mi hanno fatto augurare a me stessa l'anestetizzazione, mi hanno fatto completamente dimenticare la mia esistenza personale, avrei voluto che tutto quello che ho di vita fosse consumato in uno sguardo - che significa questo? Perché per me la mia felicità risiede in un altro? E perché quest'altro è Camillo? Camillo! Ah Camillo!”

Lo spirito ribelle ed indomito di Nina è ben rappresentato quando alla morte di Carlo Felice si presenta in teatro con Teresa Durazzo, Carolina Celesia, Fanny Balbi Piovera e Laura Dinegro per più sere con abiti sgargianti, invece che i vestiti neri a lutto. I loro abiti sui toni dell’azzurro, del rosso, del porpora e dell’ocra sono un urlo di ribellione, un inno alla perduta indi pendenza della repubblica di Genova asservita dal Congresso di Vienna a quella casa reale e a quel re che è appena morto. Ricordiamo che Anna Schiaffino è moglie del marchese Stefano Giustiniani che del re appena scomparso è stato gentiluomo da camera. Un uomo che a corte è di casa ed è noto per le sue idee conservatrici per non dire reazionarie.
Ma per Nina quella protesta non è solo per la perduta indipendenza di Genova, perchè per Lei Carlo Felice è soprattutto colui che, appena cinque mesi prima, ha richiamato a Torino il giovane Cavour.

Nella notte tra il 23 e il 24 aprile del 1841, Ninna tenta per una terza fatale volta il suicidio, si getta dalla finestra della sua camera di Palazzo Lercari, in via Garibaldi, in coincidenza dell'anniversario del primo incontro con Cavour. Il salto di undici metri non basta a stroncare all'istante la vita di Anna che deve aspettare alcuni giorni prima di spirare. “La donna che ti amava è morta - scrive Nina nella sua ultima lettera a Cavour - ella non era bella, aveva sofferto troppo. Quel che le mancava lo sapeva meglio di te. È morta, dico, e in questo dominio della morte ha incontrato antiche rivali. Se essa ha ceduto loro la palma delle bellezza nel mondo ove i sensi vogliono essere sedotti, qui ella le supera tutte: nessuna ti ha amato come lei. Nessuna!”.
Per i suoi resti non ci fu posto nella tomba del marito, che volle con sé la seconda moglie (Geronima Ferretti, sposata nel 1846 che fu il primo ardente amore di Goffredo Mameli che gli ispirò le sue più belle poesie amorose), né in quella paterna a Recco, né in quella del nonno tanto amato nella Chiesa Plebana di Nervi. Le sue spoglie sono state composte nella chiesa dei Cappuccini a Genova (sulla lapide: “ANNAE SCHIAFFINI CORVETTO, PRIDIE CALENDAS MAIAS SUIS PATRIAEQUE EREPTAE STEPHANUS EX GIUSTINIANEIS D. CHIENS PARVIQUE NATI UXORI MATRIQUE OPTATISSIMAE INSOLABILES PONEBANT. MDCCCXLI”)

Non si sa se il conte di Cavour abbia mai ricevuto l’ultima a lettera di Nina, suicida per amor suo:
Camillo caro,
Camillo bello te veuggio tanto ben, ma quando te ou pourrò dì. Son tanta fiacca a me exi- stensa a le così precaria che non ho coragio de pensà à l’avvegnì. Però, quello che posso assegurà, le che ou me coeu ou sarà sempre to, viva o morta son a to - e tanto che questa machinetta a m’apparten a sarà a to - vorreivo ese bella per piaxeite, vorreivo ese forte e ben stante e libera e avei molti dinai per seguite de lungo apreuvo. Questi son seunni: beseugna che m’adatte ae triste circostanze ne’ quali me treuvo, e che seggie ben contenta che ti te ricordi de mi. Te daggo tanti baxi.
Tutta to Nina.


«Io non so nulla tranne d’amarti tanto.
Tu sei tutto per me. Sei un essere soprannaturale. Tu assorbi tutti i miei pensieri, tu mi domini....
Voglio la tua felicità prima della mia...
Camillo, sono tua per sempre»

 

 http://www.giustiniani.info/ninagiustiniani.pdf

 
 
 
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