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LEGGILI ONLINE: La fossa comune, di Alessandro Bastasi

Post n°130 pubblicato il 17 Ottobre 2008 da easyreader
 

"La fossa comune"
di Alessandro Bastasi
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Titolo: LA FOSSA COMUNE
Autore:
Alessandro Bastasi
Genere: Narrativa
Editore: Zerounoundici Edizioni
Collana: Selezione
Pagine: 196
Prezzo: 13,60 euro

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Questo libro è stato regolarmente pubblicato ed è disponibile in libreria e nelle maggiori librerie online


DESCRIZIONE

In bilico tra la spy-story e il romanzo storico, La fossa comune racconta le vicissitudini di Vittorio Ronca, un uomo che, dopo devastanti esperienze professionali e affettive, approda nella Russia post-sovietica dei primi anni '90, dove viene coinvolto in un attentato al presidente Boris Eltzin. Pagina dopo pagina, però, quello che emerge dal romanzo è soprattutto il ritratto di una generazione, quella che aveva 20 anni nel 1968, destinata fin dall'inizio a scontrarsi con una realtà spesso irriducibile ai suoi schematismi. E sogni e ideali, stritolati in tale scontro, non possono che finire in una fossa comune.

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Commenti al Post:
easyreader
easyreader il 19/11/08 alle 09:07 via WEB
RECENSIONE DI ELISA BOLCHI: La fossa comune, purtroppo, è un titolo che spaventa, poco invitante. Dico purtroppo perché è il titolo giusto per questo romanzo. È proprio l’indifferenza della Fossa comune che sta alla base di tutto, dei personaggi, delle volontà, delle lotte sempre più vane che si susseguono e che non portano a nulla, come le corse che facciamo nei sogni, che ci affaticano senza mai farci avanzare. Non è però un romanzo tetro o angosciante come il titolo potrebbe farci credere, anzi la prima parte è scorrevole e piacevole, si sorride spesso, prima di rimanere con una sensazione sempre più persistente di amaro in bocca, che ci fa corrugare la fronte e ci fa terminare la lettura fissando un punto vuoto e pensando all’inutilità. Non del libro, che anzi è una buona lettura. L’inutilità dell’esistenza, invece, o di alcune esistenze, come quella di Vittorio Ronca, il protagonista del romanzo di Bastasi, che vuole di più, a cui non basta mai, che è sempre in cerca, che non è mai arrivato né è mai soddisfatto. Tutti pregi, tutti elementi necessari a vivere la vita pienamente, ma non quando questa ricerca è vana, quando il tutto si basa su fragili illusioni che non vogliamo accettare come tali. Vittorio è un sognatore, è un utopista, e forse il momento più bello e più vero della sua vita è quello in cui accetta la propria dimensione e vive da sognatore in una casa di ringhiera, accontentandosi delle proprie passioni e dividendo qualche spaghettata con i suoi amici “extracomunitari”. In quei momenti Vittorio vive intensamente e ha diritto di essere sognatore, ma chi sogna troppo tende a volere di più, e così ogni volta Vittorio si ritrova insudiciato da una realtà che egli stesso ripudia, si ritrova a sognare la sua utopia ma con le mani sporche, e quindi si ritrova a desiderare altro, a desiderare di essere altrove, a non essere mai soddisfatto, insomma, a non averne mai abbastanza. La vita è semplice ai semplici, verrebbe da dire, parafrasando Manzoni. Non è però il messaggio in cui crede Bastasi. Perché Vittorio, nei suoi ideali, crede: crede fino in fondo, fino alla fine. E i suoi ideali sono giusti, sono quelli di una persona “informata sui fatti”, colta, istruita. È lo spirito del personaggio che rende vano lo sforzo. Uno dei personaggi che ho più amato (e credo uno di quelli che lo stesso Bastasi ami di più) è Andrej, un ragazzo russo che Vittorio incontra in un suo viaggio-fuga a New York e che rimarrà elemento cruciale nella sua vita. L’ho amato perché Andrej sembra possedere una cosa rara: la conoscenza. In primo luogo la conoscenza della propria sessualità, anche in una Russia ideologicamente strangolata dal socialismo reale. Ma anche la conoscenza del proprio spirito, di ciò che si desidera, e quindi la conoscenza di quali si crede possano essere i propri traguardi. Lo sguardo di Andrej è dolce e comprensivo, come quello di Vittorio non riesce mai a essere. Mi capita spesso di commentare il saggio A room of one’s own ai miei studenti, e in particolare il passaggio nel quale la Woolf cita Coleridge dicendo che “a great mind should be androgynous”. Ebbene, Andrej riesce a racchiudere in sé un’androginia che gli permette di essere superiore alle instancabili lotte interiori che consumano Vittorio, il quale, invece, è sempre troppo concentrato su di sé, su quell’io che gli uomini usano tanto spesso (e la scena in cui lui fugge all’aggressione lasciando la propria donna in fin di vita lo dimostra in modo drammatico). È lo stesso Andrej a rimproverare Vittorio di essere “stupido, insensibile ed egoista”, e in quest’ultima parola risiede il senso ultimo del romanzo, io credo. La differenza tra Vittorio e Andrej è che questi pensa in primo luogo agli altri e non a sé. “È sulle persone che occorre investire”, dice Andrej “sulle persone, sul loro essere, questo sì, reali, presenti, disponibili. È di lì che devi partire se proprio la vuoi cambiare, questa realtà”. Sono parole bellissime, che non poteva che pronunciare il personaggio più metafisico di tutto il romanzo, e che forse dichiarano la poetica stessa dell’autore. Se puntiamo alla rivoluzione per ottenere ciò che vogliamo noi, senza investire sulle persone, sugli esseri umani (e quindi sulla cultura, come ha fatto Andrej, costi quel che costi) non resterà nulla di noi, e i nostri grandi ideali scompariranno in una fossa comune, o in una manciata di polvere, altro titolo perfetto per questo romanzo, se non fosse già stato usato da Evelyn Waugh.
 
baronefragoletta
baronefragoletta il 23/03/09 alle 16:51 via WEB
Recensione di Alessio Pracanica “ esiste lo soa ja Ljublju SSSR “(A ja Ljublju SSSR – CCCP) “ È un grande artista è un commediante nato che prova il suo gesto nel segreto e si presenta da sé ogni sera nella parte difficile di una vita vera. L'uomo da solo nella stanza misura i passi di una certa danza e conta gli specchi intorno che all'attore l'andata in scena sembra senza ritorno.L'uomo da solo è ballerino e attore sa calcolare i sorrisi e i passi e sa dosare il pudore e la paura che è una tenaglia che ci chiude le gambe a tutti in un artiglio la paura che è una tenaglia.“(Non è facile danzare – I. Fossati) Sono in cucina, si sta mangiando. Piatti tipici siciliani: fiorentina alla brace e patate fritte. Per compensare stappo un Firriato di medio livello. Poi, riempito lo stomaco, prendo in mano questo libro, giro le pagine e comincio a leggere. So già che dovrò trovare un posto particolare, nella mia libreria. Di cosa vi potrei parlare? Facile …Vi parlerò di architettura. Fondamenta, travi portanti, proiezioni ortogonali, piani. Ecco sì, i piani. Quel che distingue un capolavoro da un mediocre romanzo. I piani. La fossa comune si può leggere come storia in sé. E’ gradevole, scorrevole, scritta con indubbia maestria. Davvero, potete leggerla così e poi magari scriverci sopra un bel riassunto. Oppure potete vederci la critica, schietta, leale e soprattutto “ di parte” , alla gangrena del neocapitalismo selvaggio, del profitto ad ogni costo, dei soldi facili, con cui comprare tutto e tutto corrompere, tutto sporcare. Dico “ di parte “, perché è un sollievo vedere che c’è ancora qualcuno capace di schierarsi, di dire da che parte sta, in quest’epoca di centrismo, di disimpegno, di ignavia spacciata per equilibrio e di equilibrismi spacciati per saggezza. Potremmo soffermarci a lungo su questo aspetto, perché è di grande rilevanza, soprattutto di questi tempi, ma vi dico di andare avanti, di non fermarci qui, che altre architetture ci aspettano. Il lettore attento, il lettore colto, potrebbe trovarci miriadi di riferimenti. Non le banali note a margine dei pedanti, né le incerte citazioni degli aspiranti letterati, ma la vasta eco di una cultura profonda, matura, che ha mangiato, digerito e può permettersi il lusso di render note le proprie origini, senza per questo peccare di cattivo gusto. “ In via Gorochovaja, in una di quelle grandi case la cui popolazione sarebbe stata sufficiente per tutta una città di provincia, se ne stava di mattina a letto nel suo appartamento Ilja Iljič Oblomov. “(Oblomov - Ivan Aleksandrovič Gončarov) “ Vittorio Ronca abitava a Mosca, in ulitza Kutuzova, casa numero 22, sesto piano, appartamento numero 38”(La fossa comune – Alessandro Bastasi) E questo è solo uno dei possibili esempi. Mi sono spiegato? Non è un caso, a mio avviso, che Bastasi inizi il suo romanzo in modo simile a quello di Gončarov, stabilendo un topos, prima che un epos.Questo, da un lato, potrebbe sembrare o essere un meccanismo inconscio. Chi ama la Russia, ne ama anche la letteratura. Rifugiarsi nel meccanismo di un incipit ben noto, come indispensabile viatico per le parole a venire? Tutto può essere, ma io non lo credo. Basta rifarsi alla citazione di Brook ad inizio libro ed alla definizione stessa di happening per capirlo : L’happening si focalizza, non sull’oggetto, ma sull’evento che si riesce ad organizzare. Lo stesso protagonista del romanzo, parlando di teatro dice : “ … il contenuto di un’opera lo si afferra attraverso la sua forma. “E forma, secondo me, è anche il topos, il dove … collocare gli eventi.Se l’Oblomov è un ottimo esempio di happening statico, in cui un turbinio di comparse irrompe dall’esterno, portando le voci e gli umori del pubblico nella placida quinta teatrale in cui sta sdraiato Ilja Iljič, nella “ Fossa comune “ il meccanismo è rovesciato. E’ Vittorio, il protagonista, a creare continui happening, irrompendo nella vita degli altri e sconvolgendone le esistenze. Anche negli episodi in cui sembra apparentemente subire, come nel furto da parte dei bambini, è sempre lui a dettare i tempi, le modalità, il luogo, il topos in funzione dell’epos. Trovo quel passo del romanzo e gli attimi seguenti, di una bellezza struggente e complicata. Vittorio s’indigna, piange di frustrazione, forse di vergogna. Per la sua immobilità, apparentemente così oblomoviana, per se stesso, per ciò cui si è ridotto quel paese, quella gente, ma anche per tutti noi, l’umanità, il pianeta intero. E di colpo l’happening si allarga, come per uno squarcio interiore, fino ad includere tutti gli eventi possibili, tutti i teatri esistenti e quelli ancora da costruire. L’happening personale, puntiforme, di cui Vittorio è sempre alla ricerca, si trasforma in una amara versione della struttura a network. Un Octopus umano in cui siamo tutti attori e spettatori, vittime e carnefici. Un teatro globale, sorta di collettivo, purtroppo non autonomo, la vera fossa comune in cui giacciono insieme i nostri più alti ideali, mischiati ai più bassi istinti. Last, but not least, c’è il rapporto con il potere. Nella percezione di Vittorio il potere ha ancora un volto umano, lo percepisce come qualcosa che si può ferire, uccidere. Spera e pensa che un attentato possa cambiare le cose, che basti ammazzare un burattino, per sbarazzarsi dei burattinai. Paradossalmente, una volta arrivato al centro degli eventi, percepisce il potere in tutte le sue trasversalità, in tutte le sue doppiezze. Dovrebbe essere la disillusione finale, il colpo di grazia a qualunque ideale, ma un attore resta sempre un attore, baby. Anche se il teatro sta crollando e la platea è deserta, bisognerà finire quel maledetto monologo.A questo punto, per la fossa mancano ormai pochi metri, che ci si arrivi a piedi o in carrozza non sarebbe importante, ma prima resta un ultimo importante dovere da compiere. Vittorio Ronca, l’Oblomov dinamico, si trasforma in Alonso Chisciano. Il viaggio per il viaggio … Il giusto per il giusto … L’amore con l’amore si paga … fino al necessario finale, sussurrato nell’orecchio ad Alessandro dal protagonista, per dettare il topos dell’happening finale. A leggerla con superficialità, sembrerebbe una conclusione che echeggia Mishima, l’estetica della bella morte, l’atto puro. Ma stiamo parlando di Vittorio, non di Andrea Sperelli. L’Oblomov rovesciato, l’Alonso rinnovato, non fa tanto per fare. Non muore gridando “ champagne!”, non cerca soluzioni estetiche, ma etiche. Si muore non perché è bello, al massimo perché è necessario. Ci si dispiace un po’, ma è così che va il mondo. Resta un dolore sordo, come un proiettile da qualche parte e la certezza che da oggi, senza Vittorio, il mondo è un po’ più povero. Ci sarebbero tante altre cose da dire ovviamente, tante altre architetture, ma forse è giusto che ognuno se le ricavi da sé.Io intanto ho trovato il posto adatto nella libreria per questo libro. Metterò Vittorio accanto ad un altro grande attore, l’Hans di “ Opinioni di un clown”, spero si trovino bene insieme. Ogni volta che passo carezzo sempre la copertina, da oggi in poi ci sarà una carezza anche per Vittorio, tanto la mano non si consuma mica. “ Bisogna vedere la tristezza di un brutto happening” dice Peter Brook ad inizio libro, ma bisogna anche godersi la bellezza di un happening immenso e triste come questo, aggiungo io.
 
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