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ORFANI DI GUERRA

Post n°1075 pubblicato il 05 Giugno 2013 da Convallaria_majalis
 
Foto di Convallaria_majalis

La madre terra? Guardate questa fotografia

 

Curiosando tra le “cianfrusaglie di Facebook”come in un mercatino dell’usato, ho scovato all’improvviso una foto incredibile.
Non conosco il nome dell’autore, ma l’immagine era presa dal sito “Informazione Libera” nella giornata mondiale degli orfani di guerra.

 

 

Ritrae una bambina che ha perso la mamma in uno dei tanti confronti bellici sparsi per il mondo.
Nel cortile dell’orfanotrofio la bambina ha disegnato al suolo una figura di madre, la propria, poi si è tolta le scarpe e ci si è accoccolata dentro, a riposare.

C’è qualcosa in questa foto che mi commuove profondamente, e più la guardo e più mi rendo conto che da sola, così senza nessuna scritta, è un trattato sull’accoglienza.
Sul tratto di terra in cui decide di approdare, ogni essere umano, che abbia o meno con sé i rispettivi documenti, disegna la figura del tipo di amore che conosce, di cura, di attenzione.
E noi siamo il pezzo di cortile, di asfalto, che ospita quel disegno. Nient’altro che uno spazio pronto ad essere disegnato.

Dentro di noi lo straniero se ne sta rannicchiato, come quella bambina orfana, a cercare riparo.

E noi, nell’accoglierlo, lo abbiamo lasciato entrare in quello spazio che l’altro aveva proiettato per sé sulla nostra terra, o meglio dentro un cortile, ossia una porzione di particella catastale che, solo casualmente, nella divisione dei terreni chiamata geopolitica è toccata a noi. Poi ci sarebbe ancora la Storia, e tutto il resto.

Quando su quella terra la bambina ci ha disegnato addosso sua madre, cioè la casa più assoluta che si porti nella valigia, si è tolta le scarpe per starci dentro, ossia ha cominciato ad amarla come se fosse la sua.

A rispettarla. È per questo che si parla di integrazione.
Ecco, di integrazione, uno starsi dentro vicendevole, e non di tolleranza, vecchio termine ipocrita ed egocentrico.
L’altro giorno ad una cena ho sentito due italiani discutere sull’opportunità o meno di considerare la tolleranza un valore assoluto.
Ho provato a spiegargli che la tolleranza non è per niente un valore, ma non capivano.
Tollerare presuppone un io che crede di concedere un favore enorme sopportando qualcosa di molto fastidioso.
L’integrazione invece non tollera, sorride.
Con quel sorriso che la bambina della fotografia ha disegnato per sua madre. Uno che tollera non sorriderebbe così. Avrebbe il semicerchio della bocca girato all’incontrario.

Quando si disegna una scena del genere sulla nostra zolla di terra, a noi, pezzo di cortile minimo nella particella catastale del mondo, non possono che derivarne vantaggi.
Nuove immagini inattese, la sorpresa, l’incessante meraviglia dello scambio. Per esempio in questo caso specifico il grigio dell’asfalto si è colorato del momento di poesia contenuto nella foto




(A proposito, se l’autore della fotografia leggerà mai questo testo, lo prego di scusarmi per l’uso improprio e gli faccio i complimenti per lo scatto, di cuore).

 

 

(Paola D'Agostino)

 

 
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