Creato da Convallaria_majalis il 01/01/2008
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SISMA IN EMILIA

Foto di Convallaria_majalis

Ma fino a quando durerà questo terremoto?


La placca africana avanza, terza ondata da record in due settimane. La Pianura padana schiacciata dagli Appennini.

1 Che cosa sta succedendo nel cuore della terra emiliana?

Dal 20 maggio questo è il terzo giorno da record. Dopo la prima scossa forte del 20 maggio (5,9 di magnitudo della scala Richter) si è passati al 29 maggio con una magnitudo di 5,8 e ora siamo più o meno allo stesso livello: 5,1, ma con molta preoccupazione in più perché questo sisma sembra non finire mai. Il luogo non è nuovo e interessa più o meno la stessa zona della seconda scossa.

2 Come mai la terra trema ancora così violentemente?

Anche se il nuovo terremoto è di notevole livello, secondo i geofisici rientra nella coda del primo consistente scossone. Insieme ci sono decine di altri sussulti di livello inferiore ma non si ama definirle repliche del primo e con le pinze si usa il termine di assestamento.

3 Ci si può aspettare altri fenomeni così forti?

Sin dal primo momento, cioè dal 20 maggio, i sismologi avevano affermato che altre scosse si sarebbero potute verificare anche di livello oltre il quinto grado della scala Richter. È impossibile dire scientificamente come e quando l'energia accumulata nel sottosuolo possa venire rilasciata. Ci sono tre ipotesi considerate: la prima è che dopo il primo colpo forte nel giro di qualche giorno ulteriori scosse di non trascurabile intensità esauriscano il fenomeno. Purtroppo non è quello che sta accadendo perché sono già trascorsi 14 giorni e tutto continua in modo significativo. La seconda ipotesi è che prosegua per settimane e mesi ma degradando progressivamente; la terza e continui addirittura per tempi ancora più lunghi ma rilasciando l'energia in modo lento e lieve.

4 Ma le cause sono sempre le stesse o ci può essere una ragione diversa?

No, si tratta sempre della conseguenza dello scontro tra la placca africana con quella euroasiatica. Noi siamo su un lembo superiore e quindi sempre molto a rischio. La Pianura padana viene progressivamente schiacciata dagli Appennini che la spingono sotto l'arco alpino. La zona centrale risente quindi del fenomeno.

5 Che cosa potrà succedere?

Nessuno lo può prevedere. Purtroppo la scienza è disarmata. Ci sono soltanto delle serie storiche degli eventi da considerare e da queste emerge come nel 1570 un terremoto di una potenza analoga a quelle delle scosse attuali, intorno a 6 gradi della scala Richter, distrusse per la metà la città di Ferrara governata dagli Estensi. E quel terremoto, pur degradando nelle scosse successive, si protrasse addirittura per quattro anni. Nessuno si augura una ripetizione di questo genere ma nessuno lo può escludere.

6 Non esiste qualche tipo di segnale che possa venire in soccorso?

Purtroppo no. Quelli finora considerati non hanno aiutato dimostrandosi inaffidabili. A parte i comportamenti di certi animali, si sono considerati gas emessi dal sottosuolo e anche segnali più sofisticati come l'emissione di elettroni. Alcuni satelliti avevano rilevato talvolta questo tipo di rilascio cercando di misurarlo; ma alla fine non si è ancora riusciti a decifrarlo con esattezza. A tale scopo si prevede il lancio di altri satelliti.

7 La ricerca ci può aiutare?

Prima di tutto continuare l'indagine dei movimenti delle grandi placche in cui è divisa la crosta terrestre. E questo si deve fare con strumenti terrestri e con satelliti. Il secondo è cercare di scavare dei pozzi profondi per cogliere nelle viscere della Terra qualche anomalia che possa essere interpretata con un messaggio di un terremoto incombente. A tal scopo si stanno scavando alcuni pozzi in vari continenti e il più profondo è in California vicino a San Francisco per monitorare la faglia di San Andreas.

8 Che cosa si può fare?


Con i terremoti c'è solo una via da seguire. Prima di tutto bisogna essere consapevoli che viviamo in un Paese tra i più sismici del mondo e che quindi un terremoto non è una remota eventualità ma una realtà del nostro territorio. La seconda è che bisogna essere rigorosi nel costruire rispettando le regole antisismiche. E per gli edifici storici più vulnerabili bisogna investire per metterli in sicurezza. Solo così non si piangono vittime e si protegge il territorio e noi stessi.

 

9 Aftershock

Così si chiamano le scosse di assestamento, in inglese. E forse non è casuale che la parola abbia anche un secondo significato, e indichi le conseguenze di un evento sconvolgente, le ricadute, lo shock postraumatico.
Basta fare un giro in auto per la provincia modenese, o nell’alto ferrarese, per accorgersi di quanto i due fenomeni – le scosse e lo stato perdurante di shock – siano interconnessi.

Gli sfollati si contano ormai a migliaia. La maggior parte ha trovato alloggio nei centri di accoglienza allestiti nei parchi, nelle palestre e nei palazzetti dello sport. Altri si sono arrangiati, chiedendo ospitalità a parenti o amici. Ma, per fortuna, non tutti hanno perso la casa. Molti ce l’hanno ancora. Sottosopra, magari. Messa a soqquadro dalle due scosse più violente, ma ancora agibile. Bottiglie andate in frantumi, quadri caduti, cocci per terra, librerie fuori posto: nulla cui non si possa rimediare con uno o due giorni di pulizie. Improvvisamente ci siamo ricordati che le cose sono solo cose. Se stiamo bene, possiamo anche farne a meno.

Il problema è rientrarci, in casa. È mettersi il pigiama, la sera, e tornare a letto. È affrontare la notte, al buio, tra quelle mura che fino a due settimane fa ci sembravano così sicure. Le soluzioni alternative sono tantissime: c’è chi dorme sul divano, vestito, con gli occhiali inforcati e le scarpe ai piedi, come in treno. C’è chi dorme in garage con il resto della famiglia, o nella tavernetta, con i materassi per terra. C’è chi dorme nella canadese, accanto al vialetto d’accesso, e chi addirittura prende e va in vacanza, al mare.

Sono processi di rimozione. Di dilazione. Sì, perché a un certo punto – una volta effettuati gli accertamenti – in casa bisognerà tornarci. Bisognerà tornare alla vita di prima. Anche se la sequenza sismica non sarà terminata del tutto. Il fatto è che siamo di fronte a un cambiamento di paradigma, le scosse di replica ce lo ricordano quotidianamente, quasi ogni ora. E il nuovo paradigma ci dice che non siamo più immuni al pericolo, che la pianura emiliana non sarà più colorata di grigio o di azzurro, nelle carte che fotografano il rischio sismico della penisola, e che, anzi, non lo è più già da un pezzo. Dal 2003, per la precisione.

Con le scosse di assestamento – e con il rischio sismico, e con la paura – dovremo imparare a convivere. Se guardiamo al Giappone, vediamo che non si tratta di mera accettazione, o di fatalismo. Tutt’altro. L’aggiornamento di queste carte, fino a oggi poco conosciute ai cittadini, si dovrà tradurre in una maggiore consapevolezza, a ogni livello. Dobbiamo tutti essere educati a questa nuova forma di convivenza, dobbiamo sapere come comportarci, quali misure preventive adottare. Dagli accorgimenti più banali – tenere una torcia elettrica a portata di mano, evitare di precipitarsi giù per le scale – agli interventi strutturali, come controlli, esercitazioni, piani di emergenza.

Il 1 settembre 1923, un terribile terremoto colpì il Giappone. Toccò i 7.9 gradi della scala Richter e durò circa cinque minuti. Rase al suolo la città portuale di Yokohama e devastò la capitale, Tokyo. Centoquarantamila persone persero la vita. Dal 1960, quella data fu dichiarata Giornata della prevenzione contro le calamità, per commemorare le vittime del sisma e sensibilizzare la popolazione. Ogni anno, nelle scuole, nelle imprese e negli enti pubblici si svolgono esercitazioni e simulazioni.

Nessuno ha il potere di fermare le scosse, certo, ma un modo per alleviare lo shock postraumatico esiste, eccome.




(Giovanni Caprara & Luca Mastrantonio)

 

 

 

nella foto: La torre di Novi prima del crollo definitivo

 

 
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