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Abbandonare Tara

abbandonare le sicurezze, i luoghi comuni, alla scoperta di cosa c'è fuori di qui

 

 

« Il lato oscuro della lunaa tavola non si invecchia »

della trasformazione della maternità

Post n°664 pubblicato il 02 Novembre 2013 da odio_via_col_vento
 

 

http://americajanespeaks.net/wp-content/uploads/2010/05/Young-Thomas-and-His-Mother-by-Mary-Cassatt.jpg

Mary Cassat, Mother and child

 

 

Finita.
Finita quella straordinaria fase della vita in cui la maternità è un bimbo piccolo, in cui la continua ricerca reciproca del contatto fisico prolunga l'esperienza del grembo.
Finita la beatitudine del comunicare amore, tutto l'amore che serve, con un abbraccio, con un bacio, dormendo vicini, stringendosi, toccandosi. 
Finito quel mondo perfetto in cui tu sei il suo centro e lui è il tuo, in cui la gioia è esserci l'uno per l'altro, darsi pace, mancarsi e trovarsi.

Poi è venuto quel periodo in cui l'amore è una cosa più complicata, fatta di fughe e di ritorni, di lunghi silenzi e strane offese.
La maternità che brucia, fa soffrire, si sente rifiutata e poi viene cercata ancora, talvolta con ripicche e recriminazioni, talaltra con famelico amore divorante, possessivo, geloso.
La maternità che deve farsi da parte, lasciar crescere, guardare da lontano. Che almeno deve imparare a farlo. 

 

John Devane, The Uncertain Time

 

 

E poi verrà anche un'altra stagione, una stagione che qualche volta già si anticipa, di paziente e quasi stupita uguaglianza.
Tu che mi cammini accanto, tu che passi di qua ogni tanto, tu che chiami e non chiami, aiuti, proteggi invece di cercare aiuto e protezione, tu che hai quella inflessione un po' paternalista nella voce.
Noi che non capiamo o forse non siamo all'altezza dei cambiamenti.
Il nido che è adesso una vaga idea di calore, di odori e cibo che piacciono sempre.
Noi che dispensiamo una consolazione passiva, esserci: ed è già tanto. Esserci indossando il sorriso usuale, anche quando non ci viene spontaneo: ma cosa potremmo fare d'altro?

E imparare di nuovo un'altra forma di contatto, che è fisico e non lo è, che non è più scontro ma che comunque cerca di raggiungere l'altro, abbattendo invisibili barricate generazionali.

Perché io sono sempre tua madre, la tua fisicità passa anche di qui, da quei nove mesi in cui sei stato parte di me; dagli anni radiosi e da quelli difficili; dai biscotti nel latte e dai cibi "sani" che cercavo di propinarti e che ti ostinavi a rifiutare.
Dalle lezioni di guida e dai pomeriggi di pioggia su e giù, in macchina, nelle code del traffico di città. 
Ore passate insieme, vetri appannati dallo stesso fiato, cibo condiviso, coperte rimboccate di notte e confidenze sottovoce.
Passa dall'abbraccio fugace, dal messaggio sul cellulare, dalla foto rubata il giorno che eri proprio bello e inconsapevole del tuo fiorire.

Imparare una nuova fisicità, non rinunciarci.
Imparare ad abbracciare un uomo adulto, a scompigliargli i capelli, a propinargli consigli non richiesti, a trovare un posto nel suo mondo.
Eppure continuare quel rapporto, fisico e non solo mentale, attraverso gesti nuovi, è uno dei grandi miracoli della maternità. Che può permettersi tutto questo ed ancora di più.
In virtù di un amore che passa dalla carne e dal sangue: un miracolo che non mi merito, ma di cui sono grata. Infinitamente più facile della paternità. 

 

 
 
 
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