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Laura Marling - A Creature I Don't Know

Post n°176 pubblicato il 17 Dicembre 2011 da syd_curtis
 

 

 

Nel libro delle mie intenzioni c'era un sestetto, un pantheon tutto femminile comprendente oltre a Laura Marling, St. Vincent, Feist, Joan as police woman, Meshell Ndegeocello e Eleanor Friedberger, sei musiciste che hanno reso più colorato e vivace questo 2011 che sgocciola. Riesco a parlare solo di Marling, le altre aspetteranno il 2015, in buona compagnia, del resto.

Ci sono casi in cui dire di influenze visibili non basta. Date una lettura a questo articolo di Rolling Stone in cui Laura Marling ammette, La mia passione per Joni Mitchell non è un mistero per nessuno. E poi il grammofono e i dischi in vinile, detesto gli oggetti nuovi. No, non rubrichiamo sotto la voce retromania, aspettate.

A creature I don't know è un album che ritaglia uno spazio attorno a sé, si fa largo e spegne il caos che frulla nelle orecchie, travolte dalla marea musicale che luccica a un solo colpo di mouse da noi. Prendetela come un'àncora, una cosa che resta salda, una palma kasiara, inflessibile, diritta, nel mezzo della tormenta. A Creature richiede attenzione. La stessa che capitava di riservare, eoni fa, ai Dischi. Il vecchio barbogio si accomodava in poltrona con le cuffie e ascoltava i Dischi, uno per volta e millemila volte, fino a che non gli venivano a noia e ne aveva assorbito ogni dettaglio. Ogni cosa perfettamente illuminata. Una certa idea di attenzione che poi viene difficile mettere giù.

Apriamo ufficialmente il fuoco delle iperboli. Laura Marling è una donna molto attraente, bellezza che le consente di uscire senza tema sul palco del Cambridge Folk Festival (Luglio di quest'anno) con la gonna nera appena sotto il ginocchio e la t-shirt degli Iron Maiden. Il video merita in ogni caso: una Devil's Spoke e Salinas che reclamano il vostro rispetto e la vostra attenzione. Marling ha una voce incantevole e un talento di cui si intravede già, a dispetto dei suoi ventun'anni, il profilo.

In che territori siamo? Sappiamo che Marling è stata inserita nel movimento nu-folk britannico, assieme a gruppi come Noah and the Whale, Mumford and Sons e altri. In realtà, A Creature è un album (il suo terzo) che predilige l'elemento acustico, mette in fila un discreto numero di strumenti, chitarra, pianoforte, mandolino, batteria, violino/violoncello, contrabbasso, fiati, si muove in un ambito che è proprio del country-folk, ma spesso si sbilancia vivace in altre direzioni; si ascoltino le derive pop-jazzy dei primi due brani, la cavalcata elettrico-rock di The Beast, forse la canzone più suggestiva assieme a Sophia, altro esempio notevole di progressione armonica, un pezzo che si apre con lei e la sei corde e cresce fino a farsi rock sicuro. Tutt'attorno resiste il coté cantautorale, l'incanto della voce e lo struggimento della chitarra, rivestiti di una luce tutta nuova.

L'apertura dell'album, quel paio di pezzi swinganti, mi ricorda la Michelle Shocked dei tempi di Anchorage; l'accostamento a Joni Mitchell calza per il cantato/parlato e l'impostazione del finger-picking. Tuttavia Marling sembra guardare più verso le esperienze di certo folk inglese d'annata, Pentangle, Fairport C. e John Martyn per intenderci. Ascoltatela parlare di Bert Jansch, John Renbourn e Martyn stesso in questa video intervista (e di Neil Young e della stessa Mitchell, per altro).

Rispetto ai due album che lo hanno preceduto, A Creature suona molto più come opera di una band che non di un'autrice sola. E' curioso leggere l'opinione di Marling al riguardo. A lei pare esattamente il contrario, che questo sia più un suo lavoro che l'album di un gruppo di musicisti. Lo ha composto tenacemente da sola, immaginando come dovessero suonare le parti di batteria e come si incastrassero gli altri microingranaggi, quasi a volersi sottrarre alle influenze esterne.

"It was quite an interesting way of doing it, because it allowed me to put my stamp on it before anybody else put their stamp on it. With the first two albums – Charlie (Fink, lead singer of Noah and the Whale) produced Alas I Cannot Swim, and it's as much his album as it is mine, and with I Speak Because I Can, the style of the drumming and the bass playing is very much a representation of the characters who were playing on that album, and Ethan (Johns) stepping in as well. This time I thought: 'Well, I've got the confidence now, and I know what I want it to sound like, so before anybody else gets their grubby mitts on it, why don't I put my stamp on it?'" (fonte Wiki).

Si percepisce una cura maggiore negli arrangiamenti e il repertorio si allontana dal cliché voce-chitarrina acustica, che in precedenza sfibrava un po' l'ascoltatore, in particolare nell'album di esordio. I brani sono cesellati, stratificati con perizia, un suono pieno e corposo in cui ciascun elemento non invade lo spazio dell'altro. Lo strattagemma è spesso il cantato alternato al parlato, che regala profondità, drammaticità. Lo stop and go, i toni improvvisamente scuri, i chiaroscuri della voce.

Perché non dire della chitarra spanish di Night After Night, che segue la concitazione dei pezzi più elettrici? E del finale di puro country, All my rage? E di un altro brano che mi fa sbavare: Don't ask me why, con quel violoncello così ben azzeccato e l'elettrica a dipingere un contrappunto quasi svagato ma pure strappacoratelle, un ricamo esile sul tessuto della canzone, come una nuvola sfilacciata in un cielo autunnale.

On the new album Ms. Marling sings about love, rage, desire, family, devils, angels, devotion, betrayal and the roles women play. In “Rest in the Bed” a woman speaks to an unborn child cradled in “the bed of my bones.” In “Salinas,” inspired by reading about John Steinbeck, Ms. Marling invents a mother who’s “the savior/Of six feet of bad behavior.”

Resterebbe da dire qualcosa sui contenuti delle canzoni, ma il post s'allungherebbe oltre misura. Lascio un riferimento a due tre interessanti interviste, se volete approfondire.

Un'ultima cosa riguarda Salinas. Ma questa ve la racconto domani.

 

 
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