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Yuck - Live al Rocket, Milano - 07/11/2011

Post n°169 pubblicato il 09 Novembre 2011 da d.u.n.s
 
Tag: 2011, Live, Yuck

 

 

the base
of a dream
is empty


Ogni volta che vengo a milano mi sento male. La circonvallazione esterna, viale umbria, piazza lodi, viale toscana mi fa tornar su la cena. Quel tratto buio attraverso il parco di non-so-cosa mi strizza i colleoni. Quando piove, poi. Sono un provinciale. La città mi deprime. Milano fuori dal reticolo di vie del centro storico è orrenda e disumana. Un posto orribile dove crescere dei figli. Il rocket è un buco, una topaia. Il rocket è un postaccio quasi senza insegna (si veda lo street view qui sotto, con tanto di auto scofanata che piscia olio sull'asfalto). Un baretto budello, due buttafuori slavi, un paio di porte tipo saloon, due scale e la buca dei concerti. Il cesso a destra. Questo sarebbe il posto giusto per del death metal o per un gig dei depravati gravedigger five, tipo tales from the grave o anche per quei debosciati dei church of misery. Via Pezzotti adatta al remake di the night of the living dead. Zombie tra i tombini e le rotaie del tram. Poi piove, lo sottolineo. Mi viene da chiedere, ma è normale che un concerto incominci a mezzanotte e dieci di un giorno infrasettimanale e duri cinquanta minuti? Non vi pare una cazzata farci aspettare più di un'ora nel sopracitato budello (fuori pioveva, già detto?) dove non ci si muove o quasi, in attesa che il gruppo di spalla (chaos surfari) termini il sound-check e si possa scendere nella buca. Occhei, la faccio finita.

Arrivo al rocket giusto giusto quel paio d'ore prima che inizi il concerto. Entro nel locale preceduto dagli yuck stessi (anche di spalle il profilo capellifero di rogoff è inconfondibile) e accompagnato da serena (ma di questo che vi può fregare). Il furgone della band è parcheggiato davanti all'entrata, per la cronaca. Compro il cd deluxe, consumo la consumazione, esco a fumare con sere, chiacchiero con sere, piscio (da solo) eccetera. Gli yuck sono la mia band per il 2011, il gruppo londinese che suona come venisse da un punto imprecisato tra aberdeen (washington) e ahmerst (massachusetts). La versione deluxe ha sei pezzi nuovi, tra i quali la mia favorita è la ballata stordita di milkshake. Nel cd deluxe c'è una foto di Rogoff con il cappello da laureato. Dire che l'artwork è spartano puzza di eufemismo. Niente testi, ovviamente. Il disco è stato registrato nella camera da letto di Max Bloom, se vi interessa saperlo. Ne avevamo scritto qui sopra tempo fa, sempre se interessa. Non della camera da letto, eh.

La (sola) cosa buona del rocket è che il palco non esiste, si è a livello gruppo, tanto che a un certo punto Daniel Blumberg scavalcherà i monitor spia e verrà a schitarrare tra di noi, come un profeta del feedback in gita tra i discepoli. La cosa buona è che, al di là dei rimbombi sulle pareti, i chaos surfari ci danno dentro con gusto. Sorprendono, i Surfari, con il loro frastuono che affonda le radici nello stesso humus in qui marciscono gli yuck, i novanta post grunge (dicono in un'intervista: siamo i nirvana più pop che suonano in un party estivo e fanno covers di Frank Black e bevono più dei Replacements), molto ben suonato, stampo classico, due chitarre, un basso, batteria (ottima) e cantante sciupato il giusto. Bei pezzi, bravi ragazzi.

Poi finalmente Blumberg, Bloom eccetera la smettono di ridacchiare e giocare al banco del mixer con le luci di scena e le strobo del soffitto, chiedono permesso, sistemano chitarre (fender jazzmaster per bloom, mi pare una sg gibson per blumberg, ma non vorrei dir cazzate) e batteria e issano il lenzuolino YUCK alle loro spalle. L'unico a non aver l'aspetto del bravo ragazzo è il tipaccio al mixer, capelluto asiatico, tatuato e muscolato come un wrestler, potrebbe suonare il basso alle spalle di Yoshiaki Negishi. Daniel Blumberg assomiglia a Dylan giovane, ha una voce timidissima e sgraziata. Max Bloom, faccia da studente del college che sta perdendo i capelli, con la sua giaccona a scacchi. Johnny napo-orso-capo Rogoff, felpona e converse rotte. La bassista giap imperturbabile con la frangia sugli occhi. Oh, hanno poco più di vent'anni.

A mezzanotte e zero sette (!) il live parte in sordina con una delle canzoni recenti deluxe, lo shoegaze di the base of a dream is empty, non ancora assimilato del tutto dalla platea, ma basta un accenno di holing out e poi the wall per vincermi/ci. Ritrovo in pieno quel muro di chitarre effettate e melodiche che faranno tanto teenage fanclub ma chi se ne fotte. Gli yuck si sono formati perché si sentiva la mancanza dei primi teenage e loro coprono quel buco: grazie. Grazie per i novanta che ritornano col distorsore a manetta, j mascis a braccetto coi built to spill.

Basta poco, due note, la sequenza shook down, georgia e la formidabile milkshake, canzoni da tappeto di foglie marce, pioggia, buio, luci che si riflettono nelle pozzanghere, young e reed che si vomitano sulle scarpe, e su get away non resisto più; mi butto nel pacchetto di mischia, scarno (ci saranno state non più di un centinaio scarso di persone), con Sere che s'è tolta la giacca e resta con la maglietta bianca e le zinne quasi fuori. Mi spinge ride e dice sei ubriaco: mente. Ecco l'essenza della musica degli yuck. Stordimento di chitarre, voce dolce e monocorde, fissità di sguardo (non so che cazzo voglia dire, ma sono giorni che mi ripeto che gli occhi fissi di blumberg sono la musica degli yuck). E poi, dopo la tenerezza indolente di suicide policeman e quell'operation cantata da bloom, resta solo il feedback poderoso di rubber, la psichedelia che entra a braccetto con lo shoegaze. Finalone a tono. Mi tolgo il berretto: chapeau. Orecchie nemmeno tanto in fiamme, nonostante i rimbombi. Ma la prossima volta, per piacere, basta rocket. E datecene un po' di più, cazzo. Siamo intossicati. Intossicati di yuck. Che poi nel prossimo disco deludano, mandino a culo tutto, chi se ne frega. Nel frattempo abbiamo questo live -per quel che mi riguarda- memorabile, la bocca di Sere (ma di questo che vi frega, oh) e la pioggia implacabile sul giubbetto.

Il rocket è un club merabilioso, Milano la capitale mondiale del roc. Ve l'avevo pur detto, oh.

 

 
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