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David Foster Wallace - La vista da casa Thompson

Post n°142 pubblicato il 11 Settembre 2011 da syd_curtis
 

 

Ieri sera mi sono scontrato per caso con un docu-drama sull'undici Settembre messo in onda da Rete 4 (chi altri?). Pareva di stare nella riedizione di uno dei tanti film catastrofici hollywoodiani, chessò, un inferno di cristallo due, con la differenza che qui le persone *morivano davvero*. Montaggio serrato, una ricostruzione in fiction di vicende probabilmente accadute all'interno delle due torri, con tanto (lo giuro, l'ho vista con questi occhi) di persona orribilmente sfigurata dalle fiamme, focus su pochi soggetti esemplari (perché la commozione via mass-media vale solo se coinvolge un numero limitato di individui, di cui si conosca qualche tratto, mentre la morte in cifre alte ha valenza statistica, ma rilevanza emozionale pari a zero), conto alla rovescia con richiamo continuo ai minuti che restavano al crollo della torre (siamo a 98, siamo a 94 eccetera) e interviste immancabili ai reduci. Non ho resistito oltre dieci minuti.

Un antidoto alla barbara spettacolarizzazione dell'Orrore può essere questo mini articolo di David Foster Wallace, antiretorico sin dal titolo, la vista da casa thompson, pubblicato in origine su Rolling Stone e poi nella raccolta di saggi "Considera l'aragosta" (libro che, se non l'avete già fatto, vi consiglio fortemente di leggere). Di seguito un piccolo assaggio. Il resto è recuperabile dal sito di Minimum Fax. La traduzione è di Martina Testa.


LUOGO: Bloomington, Illinois?
DATA: 11-13 settembre 2001?
OGGETTO: Ovvio
AVVERTENZA: Scritto molto in fretta e in uno stato che si può probabilmente definire "di shock"

Sineddoche


Da buoni nativi del Midwest, gli abitanti di Bloomington non sono scostanti ma tendono a essere tipi riservati. Gli estranei vi sorridono cordialmente, ma di regola non ci si scambia quelle quattro chiacchiere fra sconosciuti nelle sale d'attesa o nelle file alla cassa. Ma ora c'è un argomento di conversazione che scavalca ogni riserbo, come se per qualche motivo fossimo stati tutti proprio lì davanti e avessimo assistito allo stesso incidente stradale. Ad esempio, lo scambio che mi è capitato di sentire nella fila alla cassa di Burwell's (che sta alle tipiche stazioni-di-servizio-con-supermarket come un negozio di lingerie sta a una merceria: situato in posizione centrale fra le due vie principali entrambe a senso unico, e con le sigarette al miglior prezzo di tutta Bloomington, è praticamente un fiore all'occhiello della città) fra una signora con un grembiule di cassiera degli alimentari Osco e un uomo che indossava un giacchetto jeans con le maniche tagliate per ridurlo a una sorta di gilet fai-da-te: "I miei ragazzi hanno pensato che era tutto un film alla Independence Day finché dopo un po' si sono cominciati a rendere conto che c'era lo stesso film su tutti quanti i canali". (La signora non ha detto quanti anni avessero i suoi ragazzi).


Mercoledì


Tutti hanno esposto la bandiera. Case, negozi. È strano: non si vede mai nessuno che tira fuori la bandiera, ma mercoledì mattina eccole tutte lì. Bandierone, bandierine, bandiere delle normali dimensioni di una bandiera. Un sacco di case da queste parti hanno quelle speciali aste inclinate accanto alla porta d'ingresso, di quelle che per fissare il supporto servono quattro viti belle grosse. E migliaia di quelle bandierine-su-bastoncini che si vedono in mano alla gente durante le parate: in certi giardini se ne contano a decine, dappertutto, come se fossero spuntate in qualche modo durante la notte. Quelli che vivono sulle strade di campagna attaccano le bandiere alle cassette della posta sul bordo della carreggiata. Certe macchine le portano infilate nella griglia del radiatore o attaccate all'antenna con lo scotch. Certi raffinati hanno veri e propri pali per l'alzabandiera; le loro bandiere pendono a mezz'asta. Parecchie ville intorno a Franklin Park o alla periferia est hanno enormi bandiere multipiano che scendono a mo' di gonfalone per tutta la facciata. Dove la gente si sia procurata delle bandiere così grosse o come abbiano fatto a montarle lassù è un mistero assoluto.?Il mio vicino di casa, ragioniere in pensione e veterano di guerra che cura la propria abitazione e il giardino con una scrupolosità a dir poco fenomenale, ha un'asta di dimensioni regolamentari in metallo anodizzato fissata su cinquanta centimetri di cemento rinforzato, che nessuno degli altri vicini vede di buon occhio perché pensano che attiri i fulmini. Il signore dice che c'è un galateo tutto speciale per ammainare la bandiera a mezz'asta: bisogna prima tirarla su fino in cima e poi farla scendere fino a metà strada. Altrimenti è un insulto, o qualcosa del genere. La sua bandiera è perfettamente spiegata e garrisce con eleganza nel vento. È di gran lunga la bandiera più grossa della nostra strada. Si sente anche il rumore del vento nei campi di granturco subito a sud; è lo stesso rumore che fa la risacca leggera sul bagnasciuga se la ascoltate a due dune di distanza. La sagola della bandiera del signor N. ha degli elementi di metallo che sbatacchiano rumorosamente contro l'asta quando c'è vento, un'altra cosa che non va tanto a genio agli altri vicini. Il vialetto di casa sua e quello di casa mia camminano quasi fianco a fianco, e lui è qua fuori su una scala che lucida l'asta con qualche tipo di unguento e una pelle di daino - non vi prendo per il culo - e in tutta onestà è vero che l'asta della sua bandiera risplende come l'ira di Dio.?"Veramente una gran bella bandiera e una gran bella attrezzatura, signor N.".?"Ci può scommettere. Con quello che mi è costata". ?"Ha visto tutte le altre bandiere in giro, stamattina?"?A sentire questo abbassa gli occhi e sorride, anche se un po' mestamente. "È uno spettacolo, eh?" Il signor N. non è quello che uno chiamerebbe il vicino più cordiale del mondo. In realtà lo conosco soltanto perché la sua parrocchia e la mia sono nello stesso campionato di softball, nel quale lui presta servizio, con immensa precisione, come addetto alle statistiche della sua squadra. Non siamo molto in confidenza. Nonostante questo, è il primo a cui rivolgo la domanda:?"Senta, signor N., metta che viene da lei uno sconosciuto o un giornalista della tv e le chiede qual è esattamente lo scopo di tutte queste bandiere esposte ovunque dopo l'Orrore e tutto quello che è stato ieri, lei cosa pensa che risponderebbe?"?"Be'" (dopo una breve pausa in cui mi guarda con l'espressione con la quale in genere guarda il mio giardino) "per dimostrare il nostro sostegno e la nostra solidarietà rispetto a quello che sta succedendo, in quanto americani"[1]. Il punto è che mercoledì [12 settembre] da queste parti c'è una strana crescente pressione a esporre la bandiera. Se lo scopo della bandiera è dichiarare una presa di posizione, sembra che arrivati a una certa densità di bandiere rappresenti più una presa di posizione il fatto di non esporne una. Non è del tutto chiaro quale sarebbe questa presa di posizione. E se uno semplicemente la bandiera non ce l'ha? Dove se le sono procurate, tutti quanti, queste bandiere, specie quelle piccoline da attaccare alla cassetta delle lettere? Sono tutte avanzate dal 4 luglio e la gente se le conserva come le decorazioni natalizie? Come mai sono in grado di fare questa cosa? Anche una specie di casa mezza diroccata in fondo alla strada che tutti credevano disabitata ha una bandiera piantata in terra vicino al vialetto d'ingresso. ?Nelle Pagine Gialle non c'è niente alla voce bandiere. Nasce una vera e propria tensione interiore: nessuno ti passa davanti casa o ci si ferma di fronte con la macchina dicendo: "Ehi, a casa tua non c'è la bandiera", ma diventa sempre più facile immaginare che sia questo che pensino. Scopro che nessun supermercato in città ha bandiere in vendita. Il negozio di chincaglierie in centro ha soltanto roba di Halloween. Solo pochi negozi sono aperti, ma anche quelli chiusi espongono una qualche sorta di bandiera. È quasi surreale. La sede dell'Associazione Veterani potrebbe essere una buona idea, ma non può aprire fino a mezzogiorno, se pure aprirà (ha un bar). La signora di Burwell's nomina un certo orrendo minimarket un po' fuori città, verso la Statale 74, dove le pareva di ricordare di aver visto qualche bandierina di plastica su uno scaffale in mezzo alle bandane e ai berrettini del campionato di stock car, ma quando arrivo sul posto le bandierine sono scomparse, portate via da mani ignote. La realtà è che non c'è modo di procurarsi una bandiera in questa città. Rubarne una da un giardino è ovviamente fuori discussione. Sono fermo in mezzo a un minimarket, spaventato all'idea di tornare a casa. Tutti quei morti, e io che perdo la testa per una bandierina di plastica. Ma il peggio viene solo quando la gente comincia a chiedermi se mi sento bene e devo stendermi e dire che è una reazione all'antistaminico (il che in effetti ogni tanto capita)... Finché, in uno dei tanti assurdi scherzi del destino e delle circostanze durante l'Orrore, è il proprietario del minimarket in persona (un pachistano, fra parentesi) che mi offre un po' di conforto e una spalla e una strana sorta di comprensione silenziosa, e mi fa passare sul retro e mettere a sedere nel magazzino in mezzo a ogni concepibile stupido vizio e sfizio che l'America ha da offrire, perché mi riprenda, e che solo poco più tardi, mentre beviamo da bicchieroni di polistirolo una strana qualità di tè con tanto latte dentro, mi suggerisce, con delicatezza, cartoncino bristol e "penarelli", il che spiega la mia attuale adorata bandiera fatta in casa.

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