Creato da nina.monamour il 11/06/2010
 

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Il comico con la valigia di cartone..

Post n°7047 pubblicato il 28 Aprile 2015 da nina.monamour

Per un calabrese la Calabria è come l’insulina per un diabetico. Ti dà la forza di andare avanti..(questo è stato già scritto in un mio precedente post..)

Anche se, ogni volta che ci torni, ti chiedi: Mizzica! ma è possibile che ancora non funziona questo, non funziona quello, non funziona quell’altro?”. E, da solo, fiducioso ti rispondi: “Vabbè, magari funzioneranno, prima o poi… chissà, forse, il prossimo anno!».
Così, Franco Neri, calabrese, classe 1963, il «comico con la valigia di cartone», ironizza sulla terra d’origine e sui suoi amici e parenti.

Dopo il successo ottenuto anni addietro con Zelig, Striscia la notizia, al cinema e in teatro (ricordate quel suo tormentone? «Franco… Oh Franco!»), ormai non può più fare a meno di esaltare la sua terra. «Io sono un comico e devo soltanto dire grazie alla Calabria», dice.

E non è un caso se, ogni tanto, torna per «ispirarsi» o concludere  qualche lavoro teatrale: «Non faccio altro che raccontare vizi e virtù dei calabresi, per questo devo ringraziare la mia terra… non vi libererete di me!», aggiunge sorridendo. Ma anche se lavora coi vizi e le virtù dei calabresi, non dimentica i problemi della sua regione: «Certamente che esistono!», spiega, «ma bisogna anche dire che qualsiasi cosa succeda in Calabria è sempre amplificata.

Basta pensare che a Milano abitano più persone in un palazzo che in un paese in Calabria!».
A questo punto, il comico, abbandona per un attimo l’accento calabrese e diventa serio. La Calabria raccontata da Franco Neri ha un potenziale enorme: «Io non scordo da dove arrivo. Le origini sono fondamentali per me, ma non bisogna dimenticare che ci sono tanti calabresi istruiti diventati famosi nel mondo.

Per cui la Calabria non è soltanto quello che si sente. Prima che la mia famiglia si trasferisse al Nord, ricordo che abitavo in un paesino, e quando dicevo a mia madre: “Mamma, vado a giocare”, non c’era la preoccupazione di dove andavo a giocare, perché il paesino era talmente piccolo che ero controllato da tutti i parenti! In un paese calabrese si è tutti parenti! C’era anche la persona, che non conoscevi, che ti fermava e ti diceva: “Dove stai andando? Vai a casa ch’è tardi!”.

A Milano o a Torino non conosci neanche il vicino di casa o il vicino di pianerottolo, perché si vive così freneticamente che non si ha il tempo di sapere nulla su chi abita a due metri da te».
E lui che lavora con le battute (nate dagli spunti che i calabresi gli offrono) ha una «soluzione», una «grande idea», per far conoscere meglio la Calabria. «Bisogna esportare di più», dice, «i prodotti tipici, soppressata, ‘nduja, capicollo, caciocavallo affumicato, provole e… peperoncino!

Se si parla di arte culinaria è una delle cucine più ricche, perché il calabrese quando prepara un piatto non ci mette soltanto gli ingredienti (pasta, pomodoro e basilico) ma ci mette anche il sugo fatto in casa, cotto per tre ore, l’olio meridionale, cucinando proprio per il piacere di mangiare! A volte mi viene in mente quand’ero bambino e il pane veniva fatto in casa.

Aveva un profumo che non si trovava e tutt’ora non si trova da nessuna parte. Ancora oggi, il pane che sforni lì dura 15 giorni. Al Nord invece lo compri la mattina e la sera lo devi grattugiare, perché è già secco. In Calabria, invece, lo compri e anche dopo due settimane lo puoi tagliare e metterci l’olio, il sale e il pomodoro fresco; cose che chi non è del Sud non può capire!»


Ma oltre ai prodotti tipici, nelle sue parole non possono mancare gli elogi verso lo splendido mare, la gente calorosa e i paesini storici. «Si deve esportare la propria cultura per raccogliere turismo e far sviluppare, di più, questa terra», dice ancora con l’immancabile sorriso sulle labbra. «Ci sono spiagge che sono bellissime: reclamizzano tanto l’Egitto, ma non sono al livello della Calabria.

Dei tanti "pezzi" da ammirare, Reggio Calabria ha uno dei lungomari più belli del mondo, e non lo dico soltanto io. Piano piano faremo tutto, questo dev’essere lo slogan!». E con il ponte sullo Stretto? «Certo, perché no?», risponde. «Il ponte, prima o poi, anche se non lo vogliono, verrà fatto! Io già me lo vedo… con i tonni che passano sotto e dicono: “Mizzica, finalmente non ci sono più le navi che ci rompono le pinne!”».

Altra risata assicurata. Poi, con tono apparentemente serioso (è il caso di dire così, perché con lui si ha quasi sempre l’impressione di trovarsi in bilico tra il serio e il faceto) ammette:  «Nei miei show si parla soprattutto di cibo, perché è una cosa che accomuna tutti. E poi, quando si è a tavola, si dicono le cose più assurde. Succede così con la mia famiglia.

Le frasi, le battute escono tutte da lì: familiari e parenti sono i miei veri autori… Io vengo da una famiglia di emigranti, diciamo pure che mi sono ritrovato al Nord dopo una lunga gavetta… ho avuto l’occasione di Zelig (in quel periodo mancava un personaggio del Sud) e io mi sono trovato al posto giusto nel momento giusto. Poi è arrivata Striscia.

E sempre dalla famiglia è arrivato un supporto importante: “Non ti preoccupare, vai avanti. Se ci credi, ci devi sempre provare…”. Soltanto mia madre non è mai stata favorevole a questo lavoro, e ancora adesso mi dice: “Non è un lavoro, è un gioco! Perché non ti sistemi e ti trovi un posto di lavoro tranquillo?”. No, finché mi diverto, continuerò a fare questo gioco.

Poi sarò pronto a lavorare: magari farò il panettiere o il pizzaiolo».
O che altro? «Be’, punterei tutto sulla moda, facendo il fotomodello slanciato, ma dal basso. O farei un banco al mercato, sempre a contatto con la gente». A questo punto, ironizzando anche io, mi vien fatto di chiedergli "è proprio questo, ciò che Franco Neri vorrà fare da grande? È questo il sogno nel cassetto?"  E lui: «Ma dai! È fin da bambino che sogno di lavorare in un film con Robert De Niro.

 

Immagino la scena, io passo in strada e Rob mi dice:

“Frank… Oh Frank!».


http://www.laltracalabria.it

 

 
 
 
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