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Rime inedite del 500 (X)

Post n°835 pubblicato il 16 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
 

Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)

X

[1 Di Borso Arienti]

Sonetto del signor Borso Arienti

Mentre noioso fren mi tien lontano
Dall'alma luce, che il mio cor conforta
Non può legarsi il pensier che mi porta
Dinanzi a lei ch'ogni mia sorte ha in mano.
 
Onde vagheggio il bel sembiante umano
E con lei parlo, e ne la fronte smorta
Le mostro quanto duol l'alma sopporta
Lungi, e le bacio indi la bella mano.

Così diletto e gioia l'alma elice
Da sé medesma col pensier non lasso
Di sempre figurarla a parte, a parte.

E ben fora ella in ciò paga e felice,
Se non ch'a me tornando, veggio, ahi lasso!
Quant'aria dal bel viso mi diparte.

[2 Di Borso Arienti]

Di Borso Arienti

Amor che fa la donna nostra, quella
Ch'è mio sol, gloria tua, stupor del mondo,
Quella che coi begli occhi e 'l bel crin biondo
Ti somministra face, arco e quadrella;
 
Quella, ch'arde altrui 'l cor quando favella
Ch'inalza l'onestà già posta al fondo;
Quella a cui ogni stil fora secondo
E sopra ogni altra è saggia, e sola, e bella?
 
Ben vegg'io da lontan col mio pensiero
Che sproni e giri i begli occhi e le chiome
Ond'io n'ho preso, e tu se' adorno e altero.
 
Ma non ho poi spedite a volar come
Tu l'ali, e per me cosa altra or non chero
Pur che le piaccia ch'io l'adori e nome.
 
[3 Di Borso Arienti]

Di Borso Arienti
 
Per fuggir queste larve e questi mostri
Che mi stan sempre intorno e affliggon tanto
Che ormai si sface il cor per doglia in pianto
E non è chi pietà pur le dimostri.
 
Per ritrovar chi de' superni chiostri
Mi conduca al sentier riposto e santo
E mi consoli e doni aiuto intanto
Ch'il dorso io franga a questi draghi e mostri.
 
Hor peregrino, e sconsolato, e grave;
Né fatica m'affanna, o mi sgomenta
Per selve ombrose e solitari poggi.

All'ombra, al sole, in ogni parte là ve
O il raggio miri, o la sua fiamma senta
Cerco il mio sole, e spero vederlo oggi.

[4 Di Borso Arienti]
 
Di Borso Arienti
 
Già non potete voi, donna, sanarme
Perché mercede al cor finta si porga,
Che dalla mano ond'è che passi e sorga
Quanto in suo regno Amor di ben può darme.
 
Quella m'avventò al cor foco e per arme
Usola il crudo, indi il mio ben risorga,
O cada in tutto a pena, e duol mi scorga
Celata, o aperta pur cerchi quetarme.
 
Però ch'è ben ragion, né posso altro io,
Ch'indi s'aquieti il core, onde guerra ebbe
Ogn'altra medicina, e poca, e tarda.
 
Ardi' fu il colpo suo sì dolce e rio
Che ben che pera il cor, nulla gl'increbbe
E brama ond'ognor più s'impiaghi et arda.
 
[5 Di Borso Arienti]
 
Di Borso Arienti
 
Ti sei pur dunque tant'oltre avventata
Con le cerasti tue, furia d'Averno,
Che la mia primavera hai volta in verno
E m'hai la donna mia, lasso, rubata.
 
Sfinge crudel, idra a latrar dannata
Ch'hai gli altrui pianti a tuo diletto, a scherno;
Drago che fischi, e spiri, e vomi eterno
Nebbia e bile a turbar gli amanti nata.
 
Per te più che aspe è sorda, e fugge, e asconde
Quella i begli occhi a cui fui car' amante,
Or vile, ond'io non spero aita altronde.
 
Se non se', morte, altrui buia in sembiante,
A me non già mi rape e mi seconde
E del suo dolce oblìo m'asperga e ammante.
 
[6 Di Borso Arienti]
 
Di Borso Arienti
 
Luce degli occhi miei, pura e celeste,
Che quasi novo sol, novo anno apporti,
Ond'hanno e i giorni chiari, e i suoi conforti
Pur le mie notti tenebrose e meste.
 
Cessino hormai le nubi e le tempeste
Tante, e lo splendor torni e i color smorti
Qual di fior già dal verno secchi e morti
Or verde poggio si ricopre e veste.
 
Così il ciel serbi quel soave raggio
Del sole, ond'io son vivo, e tu sì bella
Et egli ha in noi sembianza eterno e aperto.
 
Ogni amante, ogni stil ti renda omaggio
T'adori, e quel che in altra orgoglio appella
Chiami poi ch'è divinitate e merto.
 
[7 Di Borso Arienti]
 
Di Borso Arienti
 
Già radunava l'ultime tremanti
Stelle l'aurora con le mani eburne
E lieve sonno alfin dopo gran pianti
Chiudeami gli occhi, e l'ore aspre e notturne.
 
Quando deposti i suoi crudi sembianti
Con le luci alle mie notti dïurne
M'apparve il mio bel sol: e perché tanti
Sospir, disse, Versar si dogliose urne?
 
Poscia coi bei rubin bacio gentile,
Di castitate e di pietate adorno
M'impresse, ond'anco refrigerio sento.
 
E col crespo oro fin nobil monile
Mi cinse al collo, ch'anco porto intorno
E partendosi lui rest'io contento.
 
[8 Di Borso Arienti]
 
Di Borso Arienti
 
Ragion è ben ch'io arda e che non trove
Refrigerio al dolor che mi disossa
Dall'alma luce mia lungi, che mossa
Dal vel rugiada nel mio foco piove.
 
Tu che non vuoi, signor, ch'io volga altrove
L'afflitto cor, né credo anco ch'io possa;
Dammi, ond'io possa quinci e rotta e scossa
La catena in ch'io son mirar' le nove
 
Sue forme e il vivo lume, e il dolce guardo
Ch'è scorta, e sole a le mie notti e al ghiaccio,
Onde senza di lei vo cieco e carco.
 
Fammi contro il rio fren lieve e gagliardo
Se per tuo onor, se per mio ben non taccio
E la strada mi sgombra e mostra il varco.
 
[9 Di Borso Arienti]
 
Di Borso Arienti
 
Tra questi ombrosi pini, ove riposta
Spelonca fanno con trecciati rami
Verdi ginepri, e par che l'aura chiami
Il pellegrino alla fresch'ombra ascosta.
 
Colei che fu dal ciel scelta e proposta
Perch'io l'adori sempre, e tema e brami,
Mi torna innanzi, e alla sinistra costa
M'impiaga e trammi il cor co' suoi dolci ami.
 
Ed io la prego, e s'io mi lagno e grido
Non val che ne la man tinte di sangue
Sen' porta il cor, che l'è sì pronto e fido.
 
E s'indi surgo e pur rinforzo il grido
L'alma in sé stessa torna e a doppio langue
Scorgendo tutto del suo core il nido.
 
[10 Di Borso Arienti]
 
Di Borso Arienti
 
Caro mio sguardo, or che volèi tu dirme
Mentre così pietoso e così mesto
Tra il nero manto e il puro avorio desto
Veniste il cor di nova piaga aprirme.
 
Sai pur che l'ardor mio per più ferirme
Non cresce oltre lo stral primo et infesto
Et or non sol non ho crudo e molesto;
Ma non può fuor che lui dolce venirme.
 
In tanto vostro duol dolermi anch'io
Qual' non vil servo e vero amante deve
Posto, e ben sallo Amor, donna, s'io ploro.
 
Ché s'io potessi il mio caldo desio
Giungere a riva, tornerebbe in breve
L'ostro a la guancia, e al crin l'ambra e il dolce oro.
 
[11 Di Borso Arienti]
 
Di Borso Arienti
 
All'apparir del volto, onde da pria
Taciti entraro al cor, che langue e geme,
Dolor, timor, pietà, sdegno, odio e speme
Da cui io creda mai sicur non fia.
 
L'alma in membrar di lui sé stessa oblia,
Spera, arde, osa, chier' pace, e gela, e teme,
E tante ella ha varietati insieme
Che non è vita più penosa e ria.
 
Ahi! crudo Amor, arse il cor dunque et arse
Dolce e lieto finor perch'abbia in pene
Tra gelo e foco a incenerir eterno?
 
Oh! brevi gioie, e fuggitive, e sparse,
Chi l'aggiunge, o l'aduna, o le ritiene?
Quanto instabile è, Amor, il tuo governo!
 
[12 Di Borso Arienti]
 
Di Borso Arienti
 
Lungi dal mio bel sol questa contrada,
Che m'era già lucente, atra mi sembra,
E notte, e morte, e inferno mi rimembra
Tutto che più m'affligge e meno aggrada.
 
Lasso! che far non so, né dove io vada,
Che intoppa sempre queste afflitte membra
E sento ove il pie' volgo un che mi smembra
Tal ch'alfin converrà ch'io pera e cada.
 
Torna dunque, o mio sol, torna, e m'adduci
Quel bel sembiante onde i miei spirti han vita
E fa ch'io veggia le sue chiare luci.
 
Al proprio albergo omai l'alma smarrita
Col vicin raggio tuo dolce riduci
Ch'altronde altra, e tu 'l sai, non haggio vita.
 
[13 Di Borso Arienti]
 
Di Borso Arienti
 
Da mille pianti e mille prieghi vinta,
Pur volle alfin l'innamorata Clori
In seno a un prato d'amorosi fiori
Darsi in poter del fortunato Aminta.
 
Poi d'un color di rose asperta e tinta,
Sdegnosetta e tremante apparve fuori
Allor che vide i suoi perfetti onori
Quasi novella vite ad olmo avvinta.
 
Risero l'erbe a quel felice incarco,
E parea che d'intorno invido il vento
Portasse irato quei focosi baci.
 
E quando Amor, già stanco, allentò l'arco
Un augellin a l'alte gioie intento
Disse al pastor cantando: or godi, e taci.
 
[14 Di Borso Arienti]
 
Di Borso Arienti
 
Basciami, ed ogni bacio duri quanto
Dura il desìo che di basciarti porto;
Così basciami ancor, basciami tanto
Che 'l desìo del basciar resti a mi morto.
 
E se questo basciar ti sembra corto
Fa ch'ogni bacio sia lungo altrettanto,
Indi il raddoppia, e come il vedi scorto
Presso il suo fin, destane un altro intanto.
 
Non abbia il basciar nostro ordine, o modo;
Non abbia fin; moriam, ben mio, basciando,
Che sol quand'io ti bascio ho pace e gioia.
 
Ché gioia ha Amor senza basciarti? E quando
Senza bacio è diletto? In altro modo
Non so come vivendo uom dolce moia.
 
[15 Di Borso Arienti]
 
Di Borso Arienti
 
Musa, che ascosa e solitaria vivi
Tra questi verdi piaggie e verdi boschi,
Onde i miei dì di morte pieni e foschi
Molti sovente ebbi sereni e vivi.
 
Musa, che meco un tempo i dì partivi
Gli aspri assenzi temprando e i crudi boschi,
Ch'Amor, fortuna e ingegni sordi e loschi
Poser tra quei piacer che tu nodrivi.
 
Deh! poiché già gran tempo iniquo fato
Ne tolse i nostri allor dolci diporti,
Musa, omai torna a questo sconsolato.
 
Homai col tuo son dolce anco i conforti
Mi riconduci, Musa, e 'l primo stato,
Musa, che pace sempre e gioia porti.
 
Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)

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