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Storia nostra 246-255

Post n°2882 pubblicato il 08 Giugno 2016 da valerio.sampieri
 

Storia nostra
di Cesare Pascarella

CCXLVI

Che forse, quanno allora Carl'Arberto
Che dopo tutto insomma sarà stato
Tutto quello che vôi, ma intanto è certo
Che lo Statuto ce l'aveva dato:

Si quello, dopo avé' tanto sofferto,
S'era deciso e aveva sfoderato
La spada, nun l'avessero lassato
Tutti a combatte' solo ner deserto:

Si tutti quanti, fin dar primo giorno,
Avessero capito l'interesse
Che aveva ognuno a mettejese intorno

E j'avessero tutti dato ajuto,
Forse chi sa si quello che successe
A Novara sarebbe succeduto?

CCXLVII

Ma purtroppo successe. E si a l'inizio
Che Carl'Alberto scense da Torino,
Verso Milano e trapassò er Ticino,
Tutto pareva che fosse propizio;

Invece venne poi quer precipizio
De disfatte per cui volle er destino
Che dopo Goito se scegnesse insino
Ar punto d'annà' a chiede' un armistizio.

S'ottenne. Ma passato appena un anno,
Povero Carl'Arberto, benché forse
Capiva ch'era inutile, speranno

De finilla 'na vorta, ridichiara
La guerra; ma pe' dì quello ch'occorse
Basta sortanto er nome de Novara.

CCXLVIII

E fu laggiú, che dopo avé' sperato,
E sempre inutirmente, pe' du' vorte
La vittoria, e d'avé' fino cercato
Ne la guerra la pace de la morte;

Che vedenno che ormai sarebbe stato
Inutile de ritentà' la sorte
D'un'antra guerra, e che si avesse dato
L'incarico a quarcuno de la Corte

De parlà' co' Radeschi, un patto degno
Quello nun je l'avrebbe mai concesso,
Scérse l'esilio e la rinunzia ar Regno;

E ridunato l'urtimo consijo,
Sur campo de battaja, er giorno stesso
Diede lo scetro e la corona ar fijo.

CCXLIX

E pensa tu Vittorio co' che core
La prese, e quer che deve avé' provato
In quer momento a védese creato
Re dar padre framezzo a quel'orrore

De disfatte, e si quale fu er dolore
Che provò quanno, appena incoronato,
Se vedde ar punto de firmà' un trattato
De resa cor nemico vincitore!

Eppure, immezzo a tutta la tempesta
De dolori, fra tutto er terribilio,
Pure Vittorio nun perse la testa.

E dar nemico (ner momento in cui
Er padre je partiva pe' l'esilio)
Sortì, montò a cavallo e ci annò lui.

CCL

E 'rivato a la fine in un casale
Che ancora adesso senti nominallo
Cor nome de la Casa de Vignale,
Appena fu smontato da cavallo,

Entrato ner quartiere generale
Dove l'antri già staveno a aspettallo,
Subito ch'ebbe chiesto a un ufficiale
Nemico de parlà' cor Maresciallo,

Se vedde fra la folla de Tedeschi
Un vecchio generale venì avanti
Con una carta in mano. Era Radeschi.

E sopra quella carta c'era stesa
La copia der trattato e tutti quanti
L'articoli e li patti de la resa.

CCLI

Lui lo prese; ma appena ch'ebbe letto
Er fojo, e ch'ebbe visto e conosciuto
Che si je lo firmava era costretto
A cambià' la bandiera e lo statuto,

Je fece: - Maresciallo, si ho perduto,
Un patto ragionevole l'accetto;
Ma io la firma qui nun ce la metto,
Perché 'ste condizione io le rifiuto.

Ho perduto, e sta bene; ma si vengo
A chiede' pace, quello che ha giurato
Mi' padre, io che so' er fijo lo mantengo.

E prima d'esse' re a la condizione
De mette' er nome mio su 'sto trattato,
So' pronto a rifiutà mille corone.

CCLII

Che poi si voi volete che si vada
Avanti, e che s'arrivi ar punto estremo
De la guerra, qualunque cosa accada,
Si è questo che volete, lo faremo.

Ma in ogni modo Lei si persuada
Che noi de casa nostra, noi sapremo
La strada de l'esilio, ma la strada
Der disonore nu' la conoscemo. -

E così, mentre insomma er Maresciallo
Aveva fatto scrive' tutto quanto
In regola, pe' véde' d'imbrojallo,

Vittorio invece lui, co' quel'orgojo
De chi sa quer che fa, j'agnede accanto,
Stese la mano e je ridiede er fojo.

CCLIII

E quer vecchio a vedé' quer giovenetto,
Benché ci avesse er core foderato
De bandone, a vedello preparato
A tutto, capirai, je fece effetto.

E insomma, pe' finilla, fu costretto
A cercà' de formà' 'n antro trattato,
Dove, s'intenne, ci aveva levato
Tutto quello che lui j'aveva detto.

E allora lo firmò. Certo era brutto
Pure quello; ma insomma s'era avuto
Qualche cosa e nun s'era perso tutto.

Lo so, nun c'era piú quello che c'era;
Ma intanto ce restava lo statuto,
Ma intanto ce restava la bandiera.

CCLIV

E allora capirai che le persone
Che aveveno provato già abbastanza
Tutti li danni de le divisione,
Davanti a la realtà de la sostanza

Se cominciorno a fa' d'una ragione;
E venne fora quella maggioranza
De gente che capì che senza unione
Era inutile e vana ogni speranza.

E visto, insomma, che nun era er caso
De seguità' cusì, quanno che ognuno
Fu per forza convinto e persuaso

Che bisognava ormai cambià' registro,
Se cominciorno a mette' intorno a uno
Che allora cominciava a fa' er ministro.

CCLV

Che sarebbe precisamente quello
Che adesso j'hanno dato er nome ar ponte
De Ripetta: che se chiamava er conte
De Cavurre; che tu si vôi vedello

Ricavato de bronzo, sur modello
De quann'era ministro ner Piemonte,
Arza la testa, che te viè' de fronte
Quann'entri ne li prati de Castello.

Dove che lassú in cima ar monumento
Davero se pô di' che c'è montato
Da sé co' le virtú der suo talento:

Talento de ministro e d'omo pratico
Nun solo ne l'interno de lo Stato,
Ma a l'estro come primo diplomatico.

Cesare Pascarella

 
 
 
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Data di creazione: 26/04/2008
 

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