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Vittorio Alfieri

Vittorio Alfieri
(1749-1803)

Malinconia, perché un tuo solo seggio

Malinconia, perché un tuo solo seggio
questo mio core misero ti fai?
Supplichevol, tremante ancor ti chieggio:
deh! quando tregua al mio pianger darai?

L'atra pompa del tuo feral corteggio
ben tutta in me dispiegasti ormai:
infra larve di morte, or dí, mi deggio
viver morendo ognor, né morir mai?

Malinconia, che vuoi? ch'io ponga fine
a questa lunga insopportabil noia,
pria che il dolor giunga a imbiancarmi il crine?

Dunque ogni speme di futura gioia,
che Amor mi mostra in due luci divine,
taccia; e fà ch'una intera volta io muoia.

Vittorio Alfieri


 
In che ti offesi, o placido

In che ti offesi, o placido
Sonno, fratel di morte?
Tu le palpebre a premere
non riedi al buon Consorte?

Quegli occhi antichi, e tremuli
eran già tuo soggiorno;
e appena or veggioti
volare a lor dintorno?

Solo il figlio di Venere
muti suo seggio ognora,
che ratto ha il volo, e fervido,
e molto fa in brev'ora:

a te che hai gravi, ed umide
di vapor Stigio l'ali
stanza perenne siano
antiche membra frali.

Nume sei tu de' languidi
vecchi cadenti Sposi
tu puoi, sol tu deludere
i lor dubbj gelosi.

Qual'hai piú augusto tempio
che i lor gelati petti?
Deh torna, posa, ed occupa
tutti i senili affetti.

Felice me! propizio
par che m'ascolti il Nume;
vacilla il capo debile,
reggersi invan presume.

Sul petto il mento labile
già cade, già ricade.
In braccio a sonno ferreo
stà la canuta etade.

Amor vincemmo. I! o cupido
volgo a mia Donna il guardo;
aggiunger esca impavido
già poss1o al foco ond'ardo.

Già da begli occhi fulgidi
negri, amorosi, ardenti
bere il velen piacevole
io posso a sorsi lenti.

Già mel sent'io che tacito
serpeggia entro ogni vena;
né lingua oso disciogliere
cotanto l'alma ho piena.

Ma ohime! che veggio? ei svegliasi?
Appena era assopito.
E a terra io deggio affiggere
l'occhio che sol fú ardito?

Sonno, cosí deridere
ti giova i preghi miei?
O Nume inesorabile,
ultimo fra gli Dei.

A te maligno, ed invido
nimico degli amanti
d'Amor le gioje incognite
non men sono che i pianti.

Qual Ninfa mai, qual Driade
di te pigro s'accese?
De'tuoi verd'anni narraci,
narraci l'alte imprese.

Or que' che tu conoscere
furti d'amor non puoi,
che? speri tu contendere
oggi a tua posta a noi?

Ben io saprò piú facile
Nume invocar piú degno,
cui Cielo, e Terra, e Pelago
teme, e di Pluto il Regno.

Amor, che d'Argo chiudere
i cento occhi potresti,
duo soli, e assai men vigili,
chiudi, e non fian mai desti.

Vittorio Alfieri

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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