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A l'ombria d'un costrao...

A l'ombria d'un costrao de la mia barca

A l'ombria d'un costrao de la mia barca 2)
stando apuzao tutto pien de pensieri,
me indormendì criando con Cupido,
onde i spiriti corse al terzo cielo,
carghi de doia, spenti dal martelo,
domandando soccorso a Marte e a Giove.

Subito me respose missier Giove:
- Torna presto, fio mio, in la to barca,
che si dovesse minar el cielo,
e te voio cavar de sti pensieri,
e comandar a Venere e Cupido
che pesta in altri corpi col martelo! -

In quel zonse Vulcan, col so martelo,
e sì disse: - Ve priego, caro Giove,
che castighe' sto puto de Cupido,
noi laga star nigun, in casa o in barca,
le brigae no n'ha sempre quei pensieri
d'andarghe drio a lu, in terra o in cielo.

Vedeu questui, che xe vegnuo qua in cielo,
mastruzzao tutto quanto dal martelo,
ne tende in altro, si no in sti pensieri,
fagando poco conto del so Giove,
talmente chel se invecchirà la barca,
e sarà stao cazon mistro Cupido! -

Ecco vegnir corando el bon Cupido,
con i altri pianeti ehe sta in cielo
comenzando a ruzar tutti con Giove
digando chel se tiol i gran pensieri,
e sì me disse: - Torna a la to barca,
e no te dubitar più de martelo. -

Onde lagando a lori i mi pensieri
e me arecomandì a missier Cupido,
riolando zo per le nìole del cielo,
toiando prima licenzia de Giove,
tornandone lezier senza martelo,
col remo in man, al trasto de la barca.

Canzon, torniti in barca, e chi ha martelo;
vaga da Giove, che è padron del Cielo,
no stimando Cupido e altri pensieri.

Andrea Calmo
Veneziano sec. XVI.
Canzone

2) pag. 2. A l'ombria dhin costrao de la mia barca.
Nel "Quadriregio " di Federico Frezzi, stampato per la prima volta a Perugia nel 1481, al cap. XIV, "dove si descrive la battaglia intra Vulcano et Cupido, et ad prieghi di Venere descende Giove et compone la pace tra loro " (v. 94 e segg.) si legge :

In men ch'alcun non apre gli occhi et serra
vidi Giove descender giù quel loco
ove Cupido ad Vulcan facea guerra.

Cessa, dixe, O fanciullo el sacro foco,
ancor se pensi quanto l' hai feruto,
tu dirai che glie troppo et non è poco.

Et s'egli havesse ad te ferir voluto
come potea nella tua persona,
nullo al suo colpo potei haver adiuto.

Ad quella voce del signor che tona
Cupido cessò el fuoco et riverente
dixe al patrigno: O padre hor mi perdona.

Nulla cosa a sdegnarsi è più fervente
chcl buono amore et nulla cosa anchora
si placa et torna più leggiadramente....

Costrao = assicella, apuzao = appoggiato, indormendì = addormentai, laga star nigun = lascia star nessuno, drio = dietro, vedeu = vedete, mastruzzao = ammaccato, fatando = facendo, stao cazon = stato cagione, riolando zo per le niole = rivolando giù per le nuvole, toiando = togliendo.

Tratto da: Eugenia Levi, "Lirica italiana nel Cinquecento e nel Seicento fino all' Arcadia". Novissima scelta di Rime illustrate con più di cento riproduzioni di pitture, sculture, miniature incisioni e melodie del tempo e con note dichiarative di Eugenia Levi. In Firenze, Presso Leo Olschki, 1909. Pagina 2 (nota a pag. 399)

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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