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« De claris mulieribus 26Galileo Galilei, 2 sonetti »

Galileo Galilei

Galileo Galilei
Sommo in Lettere in Scienze
Italico Monumento perenne
di Sapienza, Gloria, Sventura.

V' hanno dei nomi nella storia d' Italia i quali non possono essere rammentati senza sentirsi compresi da un fremito di nobile orgoglio, senza provare un sentimento di angoscia profonda nell' evocarli dal sepolcro, ove riposano grandi quanto la eternità che li accolse. Nel novero di questi è un primo tra i primi quel Grande che vide
«Sotto l' etereo padiglion rotarsi
Più mondi, e il sole irradiarli immoto,
Onde all' Anglo, che tanta ala vi stese.
Sgombrò primo le vie del firmamento.»
E noi non possiamo scrivere il nome di Galileo senza lamentare che la mediocrità del nostro sapere sia indegna ministra a celebrare cotanto Italiano. Ma buon per noi che parlando de' più famosi, basta il memorare taluni fatti, perchè nella mente dell' universale si appresenti e si svolga intera la tela della splendida vita loro. E noi parliamo di tale che non appartiene alla gloria d' Italia, ma sì veramente alla storia della possanza dell' umano intelletto. Galileo Galilei nacque in Pisa il 15 febbraio del 1564 da Vincenzo nobile fiorentino e da Giulia Aramannato da Pescia. Si direbbe che Iddio veggendo spegnersi con Michelangelo una delle più nobili espressioni della propria immagine, la volesse ridonar rediviva alla terra concedendole Galileo Galilei. Destinato dapprima dal padre agli studli medici, li percorreva con onore nella Pisana Università, ma sentendosi tratto alle matematiche, ed alla filosofia, e datosi esclusivamente allo studio di queste, lasciò il giovane intravedere quello sguardo indagatore, il quale doveva schiudere al mondo nuova luce di verità, e penetrare oltre le sfere i segreti del cielo. Eletto professore nell' Università di Pisa correndo l' anno 1689 lesse principii di nuova filosofia in onta delle molte ingiurie che dai pedanti troppo seguaci di Aristotile e dai peripatetici gli venivano fatte. Ma quel gigante mal sofferendo l' assordante ronzio di que' scolastici, volenteroso accettò la cattedra che il Senato di Venezia con assidue istanze offerivagli nell' Università di Padova. Nell' estimazione universa, nelle onorificenze dei Veneti reggitori, e più ancora nella tranquillità della città d' Antenore, ben presto il magno Pisano filosofo spiegò ardito le vele nel vasto pelago della scienza. Il telescopio che valse ad aprirgli le vie del firmamento, il termometro, la bilancietta idrostatica furono le prime scoperte, perchè quantunque la fabbricazione di quegli strumenti fosse stata in parte tentata in Olanda, non avevano essi giammai toccato quella cima di perfezione a cui solamente sotto le mani del celeberrimo nostro Italiano pervennero.
Cedendo alle vive sollecitudini del granduca di Toscana Ferdinando II ritornò Galileo ricco di novella sapienza a risalire in Pisa l'anno 1610 l'antica sua cattedra. Ma le sue teorie del movimento della terra e dell' immobilità del sole suscitavano ben presto contro lui quella guerra fratesca che tanto turbar doveva la sua vita. Tale guerra dell'ignoranza contro il sapiente filosofo allora ostinatamente incompreso, nata e ristretta da prima in cento scritti distillati al filtro velenoso dei conventi e delle sale cardinalizie, si volgeva ben presto a più seria minaccia. - Chiamato Galileo a Roma affinchè abiurasse le eretiche dottrine intorno al sistema del Copernio (che così correva lo stile della Cancelleria Vaticana), vi si rendeva nel 1630, come in una sua lettera lamenta Fra Paolo Sarpi. Siedeva allora sulla cattedra dì San Pietro il pontefice Urbano VIII, il quale, sebbene fosse amico del Galileo, divenne facile strumento delle tenebrose persecuzioni dei Frati inquisitori di San Domenico. Il nuovo sistema dell' astronomo Pisano dallo insano sentenziar di que' Frati fu notato d' eresia, perchè contrario, dicevano, al dettato delle sacre scritture, e l' autore condannato a prigionia ove all' abiura delle sacrileghe dottrine non si arrendesse.
Non piegandosi la convinzione del filosofo, venivagli dato n reclusorio il giardino della Trinità de' Monti; poscia, per favore del papa, il palazzo del Piccolomini vescovo di Siena, e finalmente, per intercessione del Duca, la Villa di Arcetri. - Così il Santo Uffizio tentava render muta quella voce, rinserrandola nella cerchia tormentosa de' suoi indefiniti terrori. Come già tra il chiuso di cittadine mura, così tra le solitudini di que' ridenti colli, Egli continuava con medilati studii ad aprire alla Scienza pratica ed alla astratta Filosofia novelle strade. Dettando nuovi principii di Meccanica, di Fisica, di Astronomia, definì con giustezza il moto equabile, ardì affermare contro Aristotile l' eguale velocità della caduta de' corpi nel vuoto non regolata da peso, diede la famosa legge  dell'accelerazione de' gravi e della discesa di essi nei piani inclinati, osservò le oscillazioni sempre uguali del pendolo applicandole alla misura delle altezze, all'orologio ed alla medicina per giudicare del polso. La via lattea e la nebulosa insegnò altro non essere che gruppi ed ammassi di stelle sino allora non conosciute, conobbe i satelliti di Giove che chiamò stelle Medicee, e calcolò i periodi de' loro moti e ne distese le tavole. Né il Sole restò a' suoi sguardi immacolato, che prima ancora del Gesuita Scheiner notò le prominenze opache del nucleo infuocato. Ragionò delle meteore, dell'aurora boreale, immaginò le cause dei venti e del flusso e riflusso del mare: insomma volando percorse colla perspicacia dell' occhio scrutatore e dell' intelletto suo maraviglioso tutto il creato. Il perchè parve quasi che Natura ingelosita di quell' audacissimo sguardo lo circondasse con letale velo di cecità, la quale solamente gli fu stenebrata quando, l'ottavo dì del 1643, piacque a Dio di chiamarlo a sé per mostrargli aperto il lume di Eternità. Firenze, dove, morì, e l'Italia e l'Universo dove immensa era già sparsa la fama del Galileo, mandaron forti rammarichi e per gl'Inquisitoriali tormenti e per la morte di Galileo Galilei, tolto alla filosofia naturale e speculativa, e tolto alle lettere nelle quali die prova di quell'intelletto che cercava e rinveniva nell' Universo armonico.
Precipua fede fanno di codesta verità que' Sonetti, quel Capitolo in biasimo della toga, e quei versi suoi tutti, dove la lucentezza di stile e l' ordine dell' idee sì mirabilmente risplendono.
Poche sono le nazioni, che ponno menar vanto di pari nomi, che si fanno per altezza di glorie quasi Faro a tutte genti per tutti i secoli. E veramente a santo diritto può Italia levar altamente il capo superba, quando nel famoso Sacrario di Santa Croce in Firenze, mostra d' accanto alle tombe di Machiavelli e di Michelangelo, quel Sepolcro dove le ceneri riposano di questo Divino,
«che primo infranse
L' idolo antico, e con periglio trasse
Alla nativa libertà la mente.»


SONETTO I.

Paragona la crudeltà della donna a quella di Nerone.

Mentre spiegava al secolo vetusto
Segni del furor suo crudeli ed empj,
Tra gl' incendi, e le stragi, e i duri scempj,
Seco dicea l' Imperadore ingiusto:

Il Regno mio d' alte ruine onusto,
Le gran moli destrutte, e gli arsi Tempj
Portin la mia grandezza in fieri esempj
Dall' agghiacciato Polo al lido adusto.

Tal quest' altera, che sua mente cruda
Cinge d' impenetrabile diaspro,
E nel mio pianto accresce sua durezza,

Armata di furor, di pietà ignuda,
Spesso mi dice in suon crudele ed aspro :
Splenda nel fuoco tuo la mia bellezza.

SONETTO II.

Mentre ridea nel tremulo e vivace
Lume degli occhi leggiadretti Amore,
Picciola in noi movea dallo splendore
Fiamma, qual uscir suol di lenta face.

Or che il pianto l' ingombra, di verace
Foco sent' io venir l' incendio al core :
di strania virtude alto valore,
Dalle lagrime trar fiamma vorace!

Tal arde il Sol mentre i possenti rai
Frange per entro una fredda acqua pura.
Che tra l' esca risplenda, e il chiaro lume.

Oh cagion prima de' miei dolci guai,
Luci, cui rimirar fu mia ventura.
Questo è vostro, e del Sol proprio costume.

SONETTO III.

Scorgi i tormenti miei, se gli occhi volti,
Nella ruvida fronte a i sassi impressi,
Leggi il tuo nome, e miei martiri scolti
Nella scorza de' faggi e de' cipressi.

Mostran l' aure tremanti i sospir tolti
Dall' infiammato sen; gli augelli stessi
Narran pure il mio mal, se tu gli ascolti;
Eco il conferma, e tu noi credi, Alessi?

Gusta quell'acque già si dolci e chiare,
Se nuovo testimonio al mio mal chiedi,
Com' or son fatte dal mio pianto amare.

E se dubiti ancor, mira in lor fiso,
E quel che neghi al gusto, agli occhi credi,
Leggendo il mio dolor nel tuo bel viso.

Galileo Galilei
Tratto da:
I Poeti Italiani Selections from the Italian Poets forming an historical view of the development of Italian Poetry from the earliest times to the present. With Biographical notices by Charles Arrivabene Deputy Professor of the Italian Language and Literature in the London University College. London: P. Rolandi - Dulau & C, 1855, pag. 249 e seguenti

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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