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Bartolomeo Carlo Piccolomini 2

XVII

Di M. Bartolomeo Carlo Piccolomini

2

Voi, che in questi vicini ombrosi monti,
Ninfe, l’ameno e antico seggio avete
E con gli arbor di Giove alte crescete,
L’ombre tessendo all’onorate fronti,

Voi, rugiadose dee, ch’a i freschi fonti
Sotto il più ardente sol l’onde mescete,
Voi, che intorno a i bei colli dipingete
Co i fiori l’erbe e i crini aurati e conti,

Quella, che col bel volto a ogn’altra sopra
E co l’alto pensier trappassa, i vostri
Nomi ora chiama e ’l vostro aiuto attende.

Venite dunque, e dagli usati chiostri
Liete volgete ogni vostr’arte ed opra
Là dove il ciel co i lumi suoi più splende.


3

È dunque vero, ahimè, che l’empio affanno
Con aspri oltraggi di rio caldo e gielo
Le belle membra di madonna stempre
In guisa tal che, se dal largo cielo
Grazie piovendo in lei tosto non danno
Al grand’uopo conforme aita, sempre
Il mondo impresso di dogliose tempre
Avrà da lacrimare, il gran tesoro
Con lei perdendo ond’ei suol gir superbo ?
Iniquo fato acerbo,
Che di natura il più ricco lavoro
Osi turbar con cui l’arte sua vinse:
Qual nel dubbioso mio fosco pensiero
Post’hai doglia, qual tema e qual pietade ?
E qual desio d’empir queste contrade
Del suon d’aspri lamenti oscuro e fero,
Poi che i perigli a l’alta beltà cinse
D’orrida morte e del color suo tinse
Le chiare membra il tristo e duro caso
Che ’l sol minaccia di perpetuo occaso ?

Com’esser può che ’l volto almo e sereno,
Che pur dianzi splendea più ch’altro, e i lumi
Onde si volge a vera gloria il mondo
Di santo amor, d’angelici costumi,
Or sia di nebbia indegna e d’orror pieno,
Giacendo afflitto ? Ahi lasso, o mio giocondo,
O sacro raggio, che nel cor profondo
Con ardor sì possente e sì gentile
M’entrasti sì che da null’aura offesa
L’alma fia sempre accesa,
Chi mi ti invidia ? Questa vita a vile
Forse ha madonna ? E a morte è già vicina,
Ch’a morte involar noi suole e dar vita
Che fa beato altrui ? Chi fia che ’l creda ?
De l’immortali il fato anco far preda
Puote ? O miseria nuova, aspra infinita
Doglia, che la celeste mia divina
Donna turbando vieni, e pellegrina
Far l’alma agogni dal suo santo albergo,
Ond’io le guance ognor di pianto vergo.

Quel ch’al bel viso, a la stagion novella,
Che per lo nostro ciel lieta montava,
Similmente adivenne: i suoi colori
Com’egli d’or in or perdendo andava,
E i bei sembianti sotto iniqua stella;
Primavera così de i cari onori
Spogliar si vide, e da i nimici orrori
Ferir del vento che da l’alpe torna.
Caggion le sue ghirlande a terra sparse
Poi che l’aere apparse
Strania tempesta, e le inchinate corna
Il Tauro offeso adietro volse, e ’l Sole
Si turbò in vista, e l’amoroso lume
Che inalba il terzo ciel si ricoperse,
Tosto che i raggi suoi mesta coperse
Madonna oltre a l’usato suo costume
Coi qual la terra e ’l cielo allumar suole,
E la dolce armonia de le parole
Negar l’afflitte labbia, e le sue chiome
Auree non sparse, ond’ella prende il nome.

Amor, che in guardia qui lasciando il regno
A i suoi begli occhi ed a l’imperio saggio
Di quel divino e nobile intelletto,
Come securo al tuo materno raggio
L’ale spiegasti, e forse a questo segno
De gli dei volger l’amoroso affetto
Pensasti lieto, il nuovo e duro effetto
Mira dal cielo, alto e possente divo,
Mira colei che quasi adori meco,
Che il mondo lassar cieco
Par s’apparecchi, e già ’l bel corpo privo
De le virtù che gli comparte l’alma
Prende il camin verso il perpetuo sonno.
Pensa al futuro danno, al grave incarco
Che Fortuna spingendo al fosco varco
La donna nostra ti procaccia. Or ponno
Contro a te i fati sì che dura salma
A la tua maestate altera ed alma
Osin por di disnori e iniqui oltraggi,
Perch’al mondo mai più gloria non aggi ?

Apri i purpurei tuoi veloci vanni,
E dove ora vedrai che intorno imbruna
L’aria il suo tristo seno, e ov’io sospiro,
Vieni tosto, ti prego, e insieme aduna
Tutti i tuoi ingegni, e agli angosciosi affanni,
Al nequitoso, acerbo, agro martiro
Ch’a l’estremo di morte aspro sospiro
Omai la sprona, gli occhi drizza, e insieme
A te stesso ed a lei soccorri, Amore.
Vinci questo empio errore
Di Fortuna e di Morte ond’ella or geme,
Mostra la maggior tua possanza vera
Al gran periglio, ov’è sì chiaro il merto,
Contr’a quelle trae fuor la tua virtute
Con l’armi altere che la sua salute
Procurar ponno, e del suo stato incerto
Far securo lo spirto, e l’atra schiera
Scacciar di tante noie anzi che pera.
Dove se’ Amor ? Ché più dimori ? Affretta,
Signor, il volo a far di noi vendetta.

Co l’aura mossa da le sacre penne
Al tuo venir togli la nebbia oscura
De l’aere tristo che sospira e piagne;
Passa ov’ella languisce, e l’aspra arsura
Tempra al bel corpo che in onor tuo venne;
Le rose ch’a la neve eran compagne
Rendi al candido volto e s’accompagne
Con ogni parte il vigor primo e l’opra;
Rendi il lume al suo albergo antico e fido,
Torna, Amor, al tuo nido
De gli occhi vaghi, e qui gli strali adopra;
Rendi a lo spirto le celesti note
Ch’addolcivano i cori, e de la gioia
Usata seco e del suo dolce riso
Co le grazie primiere le orna il viso
Che ne temprava ogni amorosa noia.
Al mio cor, che v’adora insieme e puote
Viver solo per lei, quanto il percote
Ora acerbo dolor, tanta allegrezza
Tornerà co l’amata alta bellezza.

Sacro Apollo, deh mira il crudo scempio
Di sì leggiadra e bella donna, a cui
Volgendo gli occhi il mondo apprezza ed ama
Gli studi tuoi, che fan le tempie altrui
Cinger di lauro con sì chiaro esempio.
De le tue Muse sol per lei si brama
La selva, il monte e l’acque, e si disama
Ogni vil opra, e sol ella simiglia
Co le chiome i tuoi crin, co gli occhi i rai.
Ascolta i mesti lai
De le misere labbia, e in un ripiglia
L’arti tue antiche, e mischia insieme l’erbe
Che dan salute. Ecco, turbate il volto,
Le pie sorelle sue ti porgon voti;
Già fien per loro al nome tuo devoti
Più che mai i cori, ove il gran dubbio sciolto
Sarà de le lor menti, ove l’acerbe
Pene avrai tolte. Già vedrai superbe
Le piramidi, a i raggi tuoi sembianti,
Surgere a un nuovo e bel tempio davanti.

Tu, che a la Notte ed Erebo seconda
Nascesti, e de la vita il fil ne tessi,
Guarda lo stame che troncar vuol l’empia
Terza sorella, come il fuso avessi
De gli anni di costei pien tutto, e l’onda
Stigia passar devesse anzi ch’adempia
La sua fiorita etade e pria che l’empia
Del suo nome ogni clima. Ahi duro e ingrato
Dente, che incontro al natural suo corso
Cerchi al fil dar di morso,
Che fornito devria vincere il fato !
Tosto l’ingiusto e orribil colpo affrena
E l’opra più che mai segui felice,
Tu che l’ordisti come fusse eterna.
Difendi or la tua gloria e si discerna
Ch’a voi giusta pietà non si disdice.
Mirate ove madonna i giorni mena
In sì forte martir, sì ardente pena,
Ove par che con mesti ed umil segni
Ad essa crudeltà pietade insegni.

A te lo stil rivolgo, invida Morte,
Che cieca giri la terribil arme;
Tu sola, ahi lasso, a impoverirmi attendi,
Crudel, tu sola ad ogni ben privarme
Cerchi in un punto, e le speranze morte,
Ahimè, far tutte, e mentre l’ira accendi
Contra sol una, mille vite offendi.
Tu l’amata mia luce ingorda furi
Nel più bel lampeggiar de’ raggi suoi ?
Omai sareste voi
Commossi, o tronchi alpestri, o scogli duri.
Restar debbo io senza il mio bel pianeta ?
E senza vita in vita ? O rea nemica,
Sfoga l’ira tu in me più tosto, e il male
Volgi a me tutto ed al mio spirto frale,
Che sempre è in compagnia de l’alma amica:
Quel prendi e le tue voglie in parte acqueta.
Gradite anco il mio fin voi, donna, e lieta
L’anima in vece vostra a morte andranne,
O partendo pur voi, con voi verranne.

Taci, canzon, che già d’Amor la face
Veggio apparir, che la sua ardente chioma
Per l’aere vibra con allegri lampi;
Già par che il mesto albergo in cima avampi,
Già le noiose e oscure nubi doma
Aura felice, e ’l vento irato tace
Che tempesta adducea; coi dolor pace
Forse avrèn tosto, e tosto alta pietade
Al mondo renderà la sua beltade.

Bartolomeo Carlo Piccolomini
Da: Rime diverse di molti Eccellentissimi Autori (a cura di Lodovico Domenichi - Giolito 1545)

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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