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Francesco Maria Molza 3

XVI

Di M. Francesco Maria Molza

21

È pur caduta la tua gloria, ahi lasso,
Per quel ch’io odo, Amore, e ’l tuo bel regno
Freddo rimaso e del maggior suo pegno,
Quel che mai non credei, spogliato e casso.

Mentre ella qui fra noi con saldo passo
Il mondo, che d’averla non fu degno,
Rallegrò di sua vista, chiaro segno
Ebbe il mio stile, or sì dimesso e basso.

Però s’io parlo in rime fosche e scure
La colpa è pur di lei, poiché morendo
Portato s’ha di me la miglior parte.

Dura legge e crudel ch’altri ne fure
Sempre il migliore; io per me, Febo, appendo
A questo sasso con la cetra l’arte.


22

Torna, Amore, a l’aratro, e i sette colli,
Ov’era dianzi il seggio tuo maggiore,
Spogliato e nudo del sovran suo onore,
Fuggi con gli occhi di duol gravi e molli.

O speranze fallaci, o pensier folli !
Morta è colei sul bel giovenil fiore
Che ad alta speme apriva ogni umil core;
Taccio di me che sole altro non volli.

Dunque, miser, la stiva in vece d’arco
Usar potrai, e in panni vili avolto
Fender co’ bovi le campagne intorno;

Ch’ella giungendo a l’ultimo suo varco
Ogni atto vago estinse, e a te fu tolto
L’usato ardire: o benedetto giorno!


23

Qual vaghezza o furor ti prese, o Morte,
Quando la man stendesti nel bel crine,
Forse per por tante bellezze al fine
E far le glorie invidiando corte?

Prima averrà che ’l sole il giorno apporte
A noi dal fosco occidental confine,
E sfaccia il fango e ’nduri le pruine,
Ch’elle sian mai per nessun tempo morte.

Il suo sembiante non ch’a i giorni nostri
Ne i petti viva, in or sì bella e ’n marmi
Vedrà Faustina ancor più d’una etade,

E i miglior fabbri di lodati inchiostri
L’han fatto statua d’altre carte, e ’n marmi
È sacra al tempio dell’eternitade.


24

Qual si vede cader dal ciel repente
Lucida stella ne l’estivo ardore,
Tal cadendo ha ciascun colmo d’orrore
Quel sol ch’ogni fredd’alma fece ardente.

Oggi la beltà è morta, oggi son spente
Le faci ove le sue già accese Amore,
Oggi, reciso d’ogni grazia il fiore,
Pari il mondo al suo fin ruina sente.

Ne i diversi anni il duol non vario appare,
L’un sesso e l’altro un danno istesso preme,
E risuona MANCINA in ogni canto.

I giovan saggi e le donzelle rare,
Lei sospirando sol, le danno insieme
Queste d’onesta e quei di bella il vanto.


25

Alma, che già ne la tua verde etade
Meco di dolce e chiaro foco ardesti,
E me seguendo i spirti e i sensi desti
A chi n’afflige or sol in libertade,

Pon mente da le belle alme contrade
Come son volti in rei i modi onesti,
Fatti al ben pigri ed al contrario presti,
E vincati di me qua giù pietade.

Salutami ’l buon MARCO e ’l MOZZARELLO,
Il COTTA e tutto quel ben nato coro
Che teco alberga a l’amoroso giro;

Digli ch’al viver mio turbato e fello
Pace li cheggio, e costà su fra loro
Breve udienza a qualche mio sospiro.


26

Signor, se a gli onorati e bei desiri,
Cui dietro siete altieramente volto,
Fortuna mai non cangi o turbi il volto,
E ’l ciel cortese ogni suo lume giri,

E se chi tanto de gli altrui martiri
Si pasce, e de’ miei più, che brama or molto,
Al dir vostro d’amor leggiadro e colto
Grazia e dolcezza eternamente spiri,

De l’essilio infelice e de’ miei fieri
Sospir v’incresca, ond’ho quest’aer pieno,
Che lieto dianzi le mie rime udiva,

E fra suoi lauri vincitori altieri
Serpa di mirto un ramoscello almeno,
D’aver servato chi d’amor periva.


27

Se ’l sol tra quanto ’l suo bel carro gira
Non vide ancor in questo secol vile
Sembianza al suo Fattor tanto simile
Quanto la vostra, ond’a ben far s’aspira,

Frenate, io prego, omai gli sdegni e l’ira,
Di lui seguendo ’l ben lodato stile,
Che mai non sprezza chi si pente umile
E in brieve adietro ogni furor suo tira,

E sì come è di cuor tenero e piano
Per essempio di noi, ch’acciò n’invita,
Sempre ha la mente al perdonar rivolta:

Dunque porgete al gran disio la mano,
Che sol di voi ragiona, e date aita
A l’alma che peccò sol una volta.


28

Poi ch’al voler di chi nel sommo Regno
Siede Monarca e tempra gli elementi
Troncar le fila a me par che ritenti
L’invida Parca, e già di ciò fa segno,

Tu che vedi il mio male aspro ed indegno,
TRIFON mio caro, e grave duol ne senti,
Tosto che i giorni miei saranno spenti
E fuor di questo mar sorto ’l mio legno,

Di queste note per l’amore antico
Farai scrivendo a le fredd’ossa onore,
Col favor ch’a te sempre Apollo aspira:

Qui giace il MOLZA delle Muse amico;
Del mortal parlo, perch’il suo migliore
Col gran MEDICO suo or vive e spira.



29

Signor, se miri a le passate offese,
A dir il vero ogni martire è poco,
S’al merto di chi ognor piangendo invoco,
Troppo ardenti saette hai in me distese.

Ei pur per noi umana carne prese,
Con la qual poi morendo estinse il foco
De’ tuoi disdegni, e riaperse il loco
Che ’l nostro adorno mal già ne contese.

Con questa fida ed onorata scorta
Dinanzi al seggio tuo mi rappresento
Carco d’orrore e di me stesso in ira.

Tu pace al cor, ch’egli è ben tempo, apporta,
E le gravi mie colpe, ond’io pavento,
Nel sangue tinte del figliuol tuo mira.


30

DOLCE, quel benedetto foco ardente,
Di cui voi prima Amor arse molt’anni,
M’incende l’alma or sì che, de’ suoi inganni
Fatta sol vaga, in quel morir consente;

E benché ognor più calda e più cocente
Senta la fiamma sì che de’ suoi danni
Sazia divien, ne gli amorosi affanni
De l’arder suo doppia dolcezza sente:

Che dal splendor del bel viso sereno,
Che neve e rose avanza, e da le care
Dolci parole piovve il santo ardore;

Onde d’alto desir acceso e pieno
Pago rimane, e ben potria infiammare
Qual più freddo crudel barbaro core.

Francesco Maria Molza
Da: Rime diverse di molti Eccellentissimi Autori (a cura di Lodovico Domenichi - Giolito 1545)

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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