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De claris mulieribus 20

Post n°1934 pubblicato il 18 Agosto 2015 da valerio.sampieri
 

CAPITOLO XX.
Medusa, figliuola di Forco.

Medusa fu figliuola e erede di Forco, ricchissimo re, e fu lo suo ricchissimo regno nel mare Atlantico, lo quale alcuni hanno creduto che fossero l’isole Esperide. Se noi possiamo dar fè alla vecchiezza, fu di sì maravigliosa bellezza, che non solamente avanzava l’altre, ma, come una cosa maravigliosa fuori di natura, trasse a sè molti uomini per vederla. Ella avea capellatura d’oro, e avevane in grande quantità, aveva faccia di speziale bellezza, grande e diritta statura, ma soprattutto ella ebbe sì grande, e sì piacevole vigore d’occhi, che se ella guardava alcuni benignamente, poco meno stavano immobili e innamorati. Ancora alcuni hanno affermato, che ella fu sommamente ammaestrata d’agricoltura, e per quello poi acquistò per soprannome Gorgon: per lo cui esercizio ella conservò non solamente con meravigliosa sagacità le ricchezze di suo padre, ma accrebbele grandissimamente, intanto che quegli che la conobbero credettero che ella avanzasse tutti i re di Ponente di tesoro. E così per la gran bellezza, e per la sagacità ella pervenne in grandissima fama eziandio appresso remotissime nazioni. Con glorioso romore la fama di quella pervenne in Grecia, ove tra gli altri giovani d’Acaja, Perseo il più forte, udite sì fatte cose, entrò in desiderio di vedere quella bellissima donna, e di torle lo suo tesoro. E così entrato in nave, nella quale era per insegna un cavallo Pegaseo, con maravigliosa prestezza arrivò in Ponente: in quel luogo, usato lo suo sapere e le armi, rubò la Reina, e carico di ricca preda tornò a casa. E da queste cose pigliò materia la finzione dei poeti, nella quale noi leggiamo: Medusa Gorgone era usata convertire in sasso gli uomini che ella vedeva, e i suoi capelli essere stati convertiti in serpenti per ira di Minerva, perchè ella avea corrotto lo suo tempio, commettendo in quello adulterio con Nettuno; e che ella partorì lo cavallo Pegaseo; e Perseo sedendo su d’un cavallo alato volò nel regno di quella; e avendo usato lo scudo di Pallade, vinse. Possedere oro è una infelicità: se si tiene riposto non è d’alcuna utilità ovvero comodità al posseditore, che se cessino i rubatori, non cessano i faticosi pensieri dei posseditori; perchè, cacciato lo riposo de l’animo, perdesi lo sonno, e entra la paura, mutasi la fè, cresce lo sospetto, e brievemente è impacciato tutto l’uso di questa misera vita: e se per alcun caso si perde quello, fatto povero, l’avaro è tormentato dalla cupidità, lo cortese loda lo fatto, lo invidioso ride, lo povero lo consola, la turba mette in favola quello pieno di dolore.

Giovanni Boccaccio

De claris muljeribus
VOLGARIZZAMENTO
DI MAESTRO DONATO ALBANZANI DA CASENTINO
[ca. 1336 - fine secolo XIV]

 
 
 
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