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Il Malmantile racquistato 10-1

Post n°1916 pubblicato il 12 Agosto 2015 da valerio.sampieri
 

DECIMO CANTARE

Argomento

Per far la maga col rival quistione
Va, ma in vederlo poi le spalle volta,
E con lui dietro fugge nel salone
Ove è la gente per ballare accolta.
Del lupo in traccia Paride si pone:
Il trova, e 'l prende con industria molta:
E ucciso quel, dà fine all'avventura,
Ed in tal guisa è liberato il Tura.

1.
Quanti ci son che vestono armatura,
Dottor di scherme e ingoiator di scuole (1043),
Fantonacci che fanno altrui paura,
Tremar la terra e spaventare il Sole;
E raccontando ognor qualche bravura
Ammazzan sempre ognun colle parole;
Se si dà il caso di venire all'ergo,
Zitti com'olio poi voltano il tergo!

2.
Ma e' son da compatir s'e'fanno errore,
Benchè non sembri mancamento questo;
Se chi a menar la man non gli dà il cuore,
In quel cambio a menare i piedi è lesto.
Oh, mi direte, vanne del tuo onore;
Sì; ma un po' di vergogna passa presto:
Meglio è dire: un poltron qui si fuggì,
Che: qui fermossi un bravo e si mori.

3.
Dunque appien mostra in zucca aver del sale:
Chè il savio sempre fugge la quistione (1044);
Anzi veder facendo quanto ei vale
Nel giocare (1045) al bisogno di spadone,
E che chi a nessun vorria far male
Sa ritirarsi dall'occasïone,
E senza pagar taste o chi lo medichi
Dà campo che di lui sempre si predichi.

4.
Ma voi che di question fate bottega,
Credendo immortalarvi; e che vi giova
Far la spada ogni dì com'una sega
E porvi a' rischi e fare ogni gran prova,
Se quando poi la morte vi ripiega,
«Il vostro nome appena si ritrova?»
Or imparate un po' da Martinazza,
Ch'ella v'insegnera corne s'ammazza.

5.
Colei c'ha fatto buio, e che fallita (1046)
Paga di sogni i debiti a ciascuno,
Quella che, dianzi tolse al dì la vita,
Cagion che tutto il mondo porta bruno;
Perch'ella teme d'esserne inquisita,
Benchè si chiugga gli occhi per ognuno (1047),
Per fuggir l'alba c'ha le calze gialle,
Comincia a ragionar di far le balle.

6.
E Martinazza, che di quei balletti
Sarebbe in corte tutto il condimento,
Perchè in un tempo solo, co' calcetti
Ballando, suona (1048) al par d'ogni strumento;
Dopo cena per degni suoi rispetti
Prese dagli altri un canto (1049) in pagamento,
E sopra un pagliericcio angusto e sodo
Fino ad ora s'è cotta nel suo brodo.

7.
Perocchè, nel pensar che la mattina
Entrare in campo dee alla tenzone,
Fa giusto come quella nocentina (1050),
Ch'a giorno andar dovendo a processione
Occhio non chiude, e tuttavia mulina
Tantochè'l capo ell'ha come un cestone;
Così la strega in cella solitaria
Attende a far mille castelli in aria.

8.
Infastidita poi da tanti e strani
Suoi mulinelli, sorge dalla paglia:
E data una scossetta come i cani,
La lancia chiede, brando, piastra e maglia,
Perchè il nimico all'alba de' tafani (1051)
Vuol trucidare in singolar battaglia;
Ed a fargli servizio e più che vezzi,
Vuol che gli orecchi sieno i maggior pezzi.

9.
Dimostra cuore intrepido e sicuro,
E spaccia (1052) il Baiardino e il Rodomonte;
Chi la stringesse poi fra l'uscio e il muro,
Pagherebbe qualcosa a farne monte (1053);
Ma tutto questo finge e in sè tien duro,
Fa faccia tosta e va con lieta fronte,
Sperando ognor che venga un accidente
Ch' e' non se n'abbia a far poi più niente.

10.
Spada e lancia frattanto un servo appresta;
Col petto a botta (1054) in man l'altro galoppa,
Un altro l'elmo da coprir la testa,
Da difender, un altro, e braccia e groppa:
Di che coperta in ricca sopravvesta,
Par un pulcin rinvolto nella stoppa;
Ed allestita in sul cantar del gallo,
Altro quivi non resta che il cavallo.

11.
Perciò fa comandare a' barbereschi
Che lo menin 'n un campo di gramigna,
Acciocch'ei pasca un poco e si rinfreschi,
Perchè per altro (1055) il poverin digrigna.
La marca (1056) ebbe del Regno, e i guidaleschi
Gli hanno rifatta quella di Sardigna:
Maglie e reti (1057) ha negli occhi, onde per cena
Vanne a pescar nel lago di Bolsena (1058).

12.
Or mentre pasce il misero animale
E ch'e' si fa la cerca (1059) della sella,
Giunge un diavol più nero del caviale
Con un martello in mano e una rotella
Ed un liquor bollente in un pitale,
Ed inchinato a lei così favella:
Il re dell'infernal diavolería
Con queste trescherelle (1060) a te m'invìa.

13.
E ti saluta e ti si raccomanda,
E perc'ha inteso che tu fai duello,
Un rotellon di sughero ti manda;
Spada non già, ma ben questo martello,
Con una potentissima bevanda
Ch'io ti presento entr'a quest'alberello
Bell'e calduccia, come la mattina
Allo spedal si dà la medicina.

14.
Or senti, chè qui batte il fondamento:
Quand'il nimico ti verrà a ferire,
Va' pure innanzi, e non aver spavento
Al ferro questa targa a offerire;
E tosto ch'ei la passa per di drento,
Sii presta col martello a ribadire;
Ma lasciagliene subito alla spada,
Perch'egli a sè tirando, tu non cada.

15.
Facc'egli poi con essa quanto vuole,
Chè più di punta non può farti offesa:
Di taglio manco; essendochè una mole
Sì fatta a maneggiar pur troppo pesa:
Portila dunque per ombrello al sole
Perch'alla testa non gli muova scesa (1061);
E digli, giacchè quella non è il caso,
Che s'egli ti vuot dar ti dia di naso.

16.
Ma se per non aver buon corridore,
Quivi a cansarti tu non fossi lesta,
O per altra disgrazia o per errore
E t'appoggiasse qualche colpo in testa,
Voglio che tu per sicurtà maggiore
Or per allora ti tracanni questa
Qual'è una bevanda sì squisita,
Che chi l'ha in corpo non può uscir di vita.

17.
Così le fa ingoiar tanto di micca (1062)
D'una colla tenace di tal sorte,
Che dove per fortuna ella si ficca
Al mondo non è presa (1063) la più forte:
Questa, dic'egli l'anima t'appicca
Ben ben col corpo, e s'altro non è morte
Ch'una separazion di questi duoi,
Oggi timor non hai de' fatti suoi.

18.
Quando la maga vede un tal presente
C'ha in sè tanta virtù, tanto valore,
Da morte a vita riaver si sente,
Si ringalluzza e fa tanto di cuore;
E dove sarebb'ita un po' a rilente
Nel far con Calagrillo il bell'umore,
Or c'ha la barca assicurata in porto,
Per sette volte almanco lo vuol morto.

19.
Le stelle omai si son ite a riporre,
Han prese l'ombre già tacita fuga,
E già dell'aria i campi azzurri scorre
Quel che i bucati in su i terrazzi asciuga;
Perciò fatta al ronzin la sella porre,
Vi monta sopra e poi lo zomba e fruga,
Perch'adesso ch'egli ha rotto il digiuno,
Camminerebbe pìú in tre dì che in uno.

20.
Perch'ei bada a studiar declinazioni (1064)
Più non sì può farlo levare a panca (1065);
Le polizze (1066) non può, porta i frasconi (1067),
E colle spalle s'è giocato un'anca (1068);
Pur, grazia del martello e degli sproni,
Tentenna tanto, zoppica ed arranca,
Ch'ei vien dove (1069) n'ha a ir, non dico a once
Ma a catinelle il sangue ed a bigonce.

21.
Quando il nimico ch'ivi sta a disagio
A tal pigrizia, grida ad alta voce:
Vieni asinaccia, moviti Sant'Agio (1070),
Ch'io son qui pronto a caricarti a noce (1071).
Ella risponde: a noce? adagio, Biagio!
Fate un po' pian, barbier, che 'l ranno cuoce;
S'altro viso non hai, vàllo a procura,
Perchè codesto non mi fa paura.

22.
Se tu sapessi, come tu non sai,
Ch'armi son queste, e poi del beveraggio,
Faresti forse il bravo manco assai
O parleresti almen d'altro linguaggio.
Ma giacchè tu venisti al tuo' ma' guai,
A' vermini a tua posta manda il saggio (1072);
Mentr'io che mai non volli portar basto (1073),
Coll'ammazzarti farotti lor pasto.

23.
Orsù, dic'egli all'armi t'apparecchia,
E vedrem se farai tante cotenne (1074).
A questo suono allor mona Pennecchia (1075)
Dice fra sè: no, no, non tanto ammenne (1076),
Sarà meglio qui far da lepre vecchia.
E senza star a dir pur al cui vienne (1077),
Fa prova, già discesa dal destriero,
Se le gambe le dicon meglio il vero.

24.
Le guarda dietro Calagrillo e grida:
M'avessi detto almen salamelecche!
Volta faccia, vigliacca, ch'io t'uccida
E ch'io t' insegni farmi le cilecche (1078);
Così tu, che intimasti la disfida,
Mi lasci a prima giunta in sulle secche?
Ma fa' pur quanto sai, ch' io ho teco il tarlo,
E ti vo', se tu fossi in grembo a Carlo (1079).

25.
Se al cimento, dic'ella, del duello
A furia corsi, or fuggolo qual peste;
Però va ben, che chi non ha cervello
Abbia gambe; e così mena le seste (1080)
E intana di ritorno nel castello,
Perocchè dopo il muro salvus este.
Gridi egli quanto vuol, la va in istampa (1081),
Chè per le grida (1082) il lupo se ne scampa.

26.
Poich'egli vede in somma che costei
Altrimenti non torna, fa i suoi conti
Che sarà ben ch'ei vada a trovar lei,
Come faceva Macometto a' monti (1083);
E perch'ell'ha due gambe ed egli sei,
Mentre però di sella ei non ismonti,
L'arriverà; nè prima il destrier punge
Ch'all'entrar di palazzo ei te la giunge.

27.
Martinazza che teme del suo male,
Vedendo che 'l nemico se le accosta,
Tre scaglion c'ha la porta a un tempo sale,
E gli dà nel mostaccio dell'imposta;
Dipoi dandola a gambe per le scale
Senza dar tempo al tempo o pigliar sosta,
Insacca nel salon là dove è, il ballo,
Ed ei la segue, sceso da cavallo.

28.
Appunto era seguíto in sul festino,
Come interviene in tresche di tal sorte,
Che due di quei che fanno da zerbino
S'eran per donne disfidati a morte;
L'un forestiero, e smenticò pel vino
L'armi la sera, anch'ei cenando in corte;
Ha spada accanto il cortigian, ch'è l'altro,
Ma più per ornamento che per altro.

Note:
(1043) SCUOLE. Par che dica scuole di scherma. Ma scuola è anche il nome di un certo pane condito con anaci, così detto perche ha la forma di una scuola o spuola da tessere.
(1044) FUGGE la questione, facendo piuttosto vedere quanto ecc., e che ecc. Qui si sottintende A due gambe.
(1045) GIOCAR ecc, Fuggire. Vedi c. VII, 76.
(1046) In questa ottava si descrive assai piacevolmente il cessar della notte. Sembra però che si parli di una donna fallita e omicida che fugga dalle spie e dai toccatori che portavan calze gialle. Vedi c. II, 60.
(1047) PER OGNUNO. Da ognuno.
(1048) SUONA. Pute. Vedi c. VI, 49.
(1049) UN CANTO. Fu giusto che del suo suono avesse un canto in pagamento. Pigliare un canto in pagamento significa Andarsene. Dare un canto in pagamento vale Scantonare, Fuggire il creditore.
(1050) NOCENTINA. Innocentina.
(1051) L'ALBA DE' TAFANI. Di là da mezzogiorno.
(1052) E SPACCIA ecc. E fa il bravo. Qui, piuttosto che al cavallo di Orlando, pare che alluda ad un Baiardo, valoroso militare, di cui parla anche il Varchi.
(1053) FARNE MONTE. Mandare a monte il duello con Calagrillo.
(1054) PETTO A BOTTA. Armatura del petto da parar le botte.
(1055) PER ALTRO. Con altro pasto che gramigna, la bestia non adoprerebbe mai i denti, e non potrebbe che digrignarli.
(1056) LA MARCA ecc. Aveva già una marca sulla pelle che indicava esser quello un cavallo del Regno di Napoli: ma i guidaleschi che ha, indicano che è solamente buono da esser mandato allo scorticatoio. Vedi c. I, 24.
(1057) MAGLIE E RETI. Malattie che vengono negli occhi ai cavalli.
(1058) BOLSENA. Bolso.
(1059) E' SI FA LA CERCA. Vanno cercando.
(1060) TRESCHERELLE. Bagattelle.
(1061) SCESA d'umori. Infreddatura.
(1062) MICCA. Minestra, broda.
(1063) PRESA è sostantivo.
(1064) DECLINAZIONI. Declinare, decadere, scadere, cadere.
(1065) LEVARE A PANCA. Farlo star ritto; dai bambini, che quando imparano a camminare, si vanno appoggiando alle panche.
(1066) LE POLIZZE ecc. Non ha tanta forza da portare una polizza.
(1067) PORTA I FRASCONI. Si dice così degli uccelli infermi, che abbassando le ali, somigliano giumenti carichi di fastelli di frasconi.
(1068) GIOCARSI UNA COSA, vale Perderla o renderla inservibile. Se dunque il povero cavallo s'era giocata un'anca e le due spalle, non gli era rimasto di buono altro che una gamba.
(1069) VIEN DOVE. Arriva al luogo dove tanto sangue si deve spargere.
(1070) SANT'AGIO. In altri paesi d'Italia si dice Padre Comodo.
(1071) A NOCE. Forse perchè i sacchi di noci, nel caricarli, fanno grande strepito.
(1072) MANDA IL SAGGIO, perchè fra poco manderai loro tutto il tuo corpo.
(1073) PORTAR BASTO. Essere altrui sottoposto e soffrire in pace ogni sorta d'ingiurie.
(1074) COTENNE. Bravure. (Minucci). Forse cose o covelle in lingua ionadattica. (Biscioni.)
(1075) MONA PENNECCHIA. Detto derisivo alle donne.
(1076) AMMENNE. Non tanta furia, fretta. Forse viene da quella tempesta di Amen che per lo più regalano ai devoti i cantanti nelle messe in musica.
(1077) VIENNE, chè io me ne vado. Senza metter tempo in mezzo.
(1078) LE CILECCHE. Vedi c. VII, 25.
(1079) CARLO Magno. In grembo a Giove.
(1080) LE SESTE. Le gambe.
(1081) LA VA IN ISTAMPA, Significa È un dettato divulgatissimo.
(1082) PER LE GRIDA. Finchè non trattasi d'altro che di grida.
(1083) A' MONTI, a' quali aveva Maometto ordinato che per miracolo venissero a lui.

"Il Malmantile racquistato" di Lorenzo Lippi (alias Perlone Zipoli), con gli argomenti di Antonio Malatesti; Firenze, G. Barbèra, editore, 1861)

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