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Annibale Pocaterra

Post n°1816 pubblicato il 07 Luglio 2015 da valerio.sampieri
 

Erudito Filosofo, ed elegante Scrittore tanto in prosa, come in verso fu Annibale Pocaterra, nato in Ferrara di onorata famiglia nelli 17. Febbrajo 1559.
Il Padre ebbe nome Alessandro, famigliare della Casa Estense, favorito singolarmente dal Cardinale Ippolito II., e dal Duca Alfonso II., ed uno de’ più stretti amici di Torquato Tasso. Questo sublime Poeta tra i molti componimenti, che in età avanzata andava scrivendo, molti Sonetti indirizzò ad Alessandro, che leggonsi stampati nelle sue prose e rime; ed in alcuno di tali componimenti parve vaticinasse la felice riuscita, che il figlio di lui Annibale avrebbe fatta negli ottimi studi.
La madre di Annibale fu Eleonora Morandi, congiunta di parentela con le nobili famiglie Bevilacqua, e Strozzi. Alessandro poco fidandosi dell’ aura instabile della Corte, e pochissimo parendogli di poter ripromettersi dal lungo ed incerto cammino delle scienze, avrebbe desiderato, che il figlio si indirizzasse piuttosto per la via del traffico, già battuta con prospera fortuna da suoi Antenati; però fece ammaestrare il giovinetto Annibale nel Calcolo ed Aritmetica, nel che sebben faticasse suo malgrado per ubbidire al padre, pur fece in breve tempo maravigliosi progressi. Se non che portato dal genio a studj più liberali gustava più presto della lettura de’ Poeti, e singolarmente del Furioso di Lodovico Ariosto, che lesse e rilesse più volte, e solea poi dire, che quel Poema più d’ogni altro avea in lui destato l’estro poetico. Accadde nel 1570. il memorabile tremuoto, che desolò in gran parte la Città di Ferrara.
Per sottrarre il figlio dall’ orrore e dal pericolo di quell’ infortunio, deliberò Alessandro di mandarlo (fors’anche col resto della famiglia) a Modena, affidandolo alla cura di certo Matteo Cavallini Modenese, il quale fattosegli Maestro il dirozzò ne’ primi rudimenti di lettere greche e latine per tutto il tempo che in Modena il tenne albergato in propria casa, e fu poc’ oltre ad un anno .
Ritornato Annibale in Patria continuò gl’intrapresi studj di belle lettere sotto la disciplina di Flavio Antonio Giraldi fratello del celebre Gio. Batista Cintio, e Professore nell’Università; quindi proseguendo l’incominciata carriera innoltrò allo studio della Filosofia, nella quale ebbe per Maestri i due pubblici Professori Girolamo Benintendi Ferrarese, e Francesco Patrizio, ed alcuni anche aggiungono il Filosofo Montecatino. L’ardore con cui si applicò allo studio fu tale, che non mai sazio di acquistare cognizioni si invogliò di passare all’Università di Padova, che in quel tempo fioriva più che quella di Ferrara, d’onde molti Professori, e gran numero di Scolari erano già partiti a motivo dell’ accennato terremoto. Ma il padre suo nol consentì, e più di tutti il ritenne il divieto del Duca Alfonso, per cui era proibito l’ andare a studio fuori di Patria . Rimasto pertanto Annibale in Ferrara prese quivi la laurea in Filosofia, e Medicina . Non era certamente di quel tempo tanto comune e frequente l’uso di applaudire con manipoli e fasci di rime alle funzioni di addottoramenti; pure Annibale ebbe il vanto d’essere in tale occasione encomiato da Torquato Tasso con un Sonetto, che leggesi nella Parte IV. delle sue rime, e crescendo Annibale ogni di più nella stima de’ suoi concittadini, i quali con maraviglia l’ udivano nelle letterarie adunanze sostenere improvvisamente sottilissime dispute, e pronunciare dottissimi ragionamenti e componimenti poetici, l’amico Tasso tanto se ne compiacque, che non dubitò poi di produrlo come Interlocutore in quello de’ suoi Dialoghi, che è intitolato del Giuoco. Terminato quindi il corso degli studj, per insaziabile avidità di nuove dottrine tornò a destarsi in lui il desiderio d’andare a Padova, dove recossi in fatti, ed ebbe il contento di farsi Uditore di que’clriarissimi Professori,e tra gli altri di Arcangelo Mercenario da Montesanto .
Restituitosi a Ferrara, quasi arricchito di nuove spoglie, tirò a se gli sguardi e l’ amore di tutti i Ferraresi, nè andò molto che venne eletto alla carica di pubblico Professore in Filosofia nell’UniVersità, il che accadde circa l’anno 1585, ventesimo sesto della sua età . Dopo quattro anni di Lettura sostenuta con credito universale, o negata gli fosse altra Cattedra vacante di maggiore emolumento, o fosse escluso da altra straordinaria in combenza in confronto d’ alcun competitore, fatto sta, ch’egli disgustato rinunciò senz’altro alla carica; e trovandosi poi anche in maggior libertà dopo la morte de’ Genitori, abbandonata affatto la Medicina, che qualche poco avea praticata, tutte si rivolse ai geniali suoi Studj di amena Letteratura. In questa egli avea già dati luminosi saggi d’ingegno e di sapere essendo uno de’ Socj, ed anzi uno de’primi sostenitori delle due rinomatissime Accademie in Ferrara instituite, una in Casa di Luigi Patti detta la Ferrarese, e l’ altra presso Alfonsino Trotti nominata degli Umili. Tanto però nell’una, che nell’ altra avendo per compagni Torquato Tasso, Batista Guarino, Orazio Ariosto, ed altri nobilissimi ingegni, giunse a distinguersi a segno, che in tempo di Carnevale arringando talvolta a sceltissimo Uditorio, veniva comunemente, e per sin dalle Dame anteposto il piacere delle danze e de’ pubblici spettacoli, a quello di ascoltare i filosofici ragionamenti, e le prose accademiche del Pocaterra.
Quanto alla Poesia egli pose molto studio nel compor Madrigali, genere di componimento, che a quel tempo era in voga, e diversi sono riportati nella raccolta intitolata Gareggiamento Poetica del Confuso Accademico Ardito stampata in Venezia 1611: altri leggonsi sparsi in altre Collezioni. Il buon gusto cominciava a quel tempo a declinare, ed il costume portava di trattare d’ordinario materie amorose; per il che Annibale non lasciò esso pure di esaltare co’ suoi leggiadri Madrigali la bellezza, o vera o immaginata della sua donna nomata Laura. Nel che certamente non fu inferiore ad altri suoi contemporanei, quali furono, oltre il Tasso, il Guarini, e l’Ariosto già nominati, Ercole Castello suo discepolo, il Cremonino, il Bonarelli, il Rangoni, e le due celebri Poetesse Tarquinia Molza Modenese, e la Ferrarese Orsolina Cavaletta.
Se non che l’indole, ed il carattere del buongusto di Annibale sì nella filosofia naturale e morale, che in ogni altro genere di letteratura non può meglio rilevarsi che dall’ Opera di lui rimastaci, che porta il titolo Dialoghi della Vergogna, stampati in Ferrara nel 1592, e poi ristampati in Reggio _nel 1607.
Sono amendue questi Dialoghi intitolati l’Ariosto, perciocchè il principale Interlocutore si è Orazio Ariosto suo intrinseco, introdotto a ragionare con Alessandro Guarini ed Ercole Castello. Il rossore, ossia vergogna, dalla quale quest’ultimo era predominato, porge materia graziosissima ai Dialoghi, e l’ argomento è trattato in ottimo stile secondo i lumi ed i principj della filosofia Platonica. Dal secondo Dialogo singolarmente si conosce, che il Pocaterra avea fatto moltissimo studio sopra Dante e Petrarca, de’ quali riporta ed illustra diversi passi difficili, servendosi di essi per testimonianze del proprio assunto. Ottavio Magnanini buon giudice di tali materie nel suo Convito chiama questi Dialoghi graziosissimi; e M. Antonio Guarini nel Compendio istorico delle Chiese appella Annibale giovine d’ alta filosofia, e leggiadrissimo Poeta . Atteso per tanto il credito, che meritamente erasi acquistato d’ Uomo fornito di squisita letteratura, fu dal Duca eletto a Precettore di Alessandro Estense allora giovinetto, che poi riuscì Cardinale; quindi vivendo in Corte ebbe anche frequenti occasioni di esercitarsi in diversi Cortigianeschi trattenimenti di danza e musica, ne’ quali similmente dimostrò singolare destrezza e maestria. E quantunque fosse di temperamento collerico anzi che no, ed oltremodo inclinato alla malinconia, non ostante per il vantaggioso aspetto della persona, e per il tratto gentile era amato da tutti.
Oltre i due Dialoghi accennati molti altri ne scrisse con animo di pubblicarli, se da immatura morte non fosse stato prevenuto. Ma per formare il concetto d’un Uomo non richiedesi, che sia autore di molti volumi di grossa mole. Il Duca Alfonso però volle, che tutti gli scritti di lui fossero conservati, tra i quali erano le sue Lezioni de Anima; anzi con espresso comandamento fatto agli Eredi li volle tutti per sé. La gracile complessione indebolita dagli studi non lo lasciò sopravvivere, che poco oltre all’anno 33. di età, essendo mancato l’ anno 1593. Il suo cadavere accompagnato con pompa solennissima di funerali fu riposto nella Cattedrale presso del padre mancato pochi anni innanzi. Giovine veramente degno di più lunga vita per onore ed esempio degli amati suoi concittadini, dai quali fu amaramente compianto, e più di tutti dal suo amicissimo Orazio Ariosto, il quale da lì a pochi mesi a lui si unì nel numero de’ trapassati. Fanno menzione di esso tra gli altri Scrittori il Crescimbeni, ed il Cisano; ma più diffuse e minute notizie leggonsi nella Vita, che ne scrisse un anonimo Autore contemporaneo (comunemente creduto Bonaventura Angeli), la qual Vita sta annessa alla ristampa dei due Dialoghi fatta in Reggio. Di là sono tratte in gran parte le memorie qui registrate .
Fu anche della famiglia Pocaterra un Giovanni Antonio, il quale scrisse una lettera Consolatoria unita ad alcune rime in morte della Serenissima Barbara d’ Austria Duchessa di Ferrara, quivi stampate da Vittorio Baldini 1575. in quarto.

Tratto da: Continuazione delle Memorie Istoriche dei Letterati Ferraresi preceduta da un Ragionamento intorno allindole e carattere degl'ingegni Ferraresi per servire di illustrazione al quadro istorico, statistico e morale dell' Alta Italia. Ferrara MDCCCXI. Presso i Socj Bianchi e Negri Al Seminario (Leopoldo Cicognara, Girolamo Baruffaldi, 1811, di pagine 243), pagina 216 e seguenti.

 
 
 
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