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« La bellezza morale di BeatriceLa notte dell’Asscenzione »

Il Malmantile racquistato 06-2

Post n°1784 pubblicato il 26 Giugno 2015 da valerio.sampieri
 

SESTO CANTARE

37
Perocchè tutti quanti quei demòni,
Per vederla n'uscian di quelle grotte,
Ronzando com'un branco di moscioni,
Che s'aggirin d'attorno a una botte;
Saltellan per le strade e su' balconi,
Com'al piover d'agosto fan le botte:
E fan, vedendo sue sembianze belle,
«voci alte, e fioche, e suon di man con elle».

38
Così fra quel diabolico rombazzo
La strega se ne va collo stregone;
Sicch'alla fine arrivano al palazzo,
Là dove s'abboccaron con Plutone.
Ma perchè tra di loro entrò nel mazzo
Scioccamente il Mandragora buffone (653),
Che in quel colloquio fe sì gran frastuono,
Che finalmente ognuno uscì di tuono,

39
Perciò passano in casa, e colà drento
Tirato colla strega il re da banda,
Le dà la benvenuta, e poi, che vento
L'ha spinta in quelle parti le domanda.
Ella, per conseguir ogni suo intento,
Gli dice il tutto, e se gli raccomanda
Ch'ei voglia a Malmantil, ch'omai traballa,
Far grazia anch'ei di dare un po' di spalla.

40
Sta' pur, dic'ei, coll'animo posato,
Ch'a servirti mo mo vo' dar di piglio.
Io già, come tu sai, aveo imprunato (654);
Ma il tutto è andato poi in iscompiglio.
Orsù, fra poco adunerò il senato,
E sopra questo si farà consiglio;
Acciò batta Baldon la ritirata,
E tu resti contenta e consolata.

41
Io ti ringrazio sì, ma non mi placo,
Perciò, gli rispond'ella, di maniera,
Ch'io non voglia pigliar la spada (655) e 'l giaco,
Chè in bugnola (656) son più di quel ch'io m'era.
Così con quei due spirti avendo il baco (657),
Soggiunge, perch'a lor vuol far la pera (658),
Io l'ho con quei briccon, furfanti indegni,
C'hanno sturbato tutt'i miei disegni.

42
Dico di Gambastorta, il tuo vassallo,
E di quel pallerin di Baconero,
Che fa nel giuoco con due palle fallo,
Scambiando il color bianco per lo nero:
Error, che nol farebbe anch'un cavallo.
Ma e' vien ch'egli strapazzano il mestiero;
Che s'egli andasse un po' la frusta in volta,
Imparerebbon per un'altra volta.

43
Risponde il re: facciam quanto ti piace;
Ma ti verranno a chieder perdonanza,
Sicchè tu puoi con essi far la pace;
Però t'acquieta, e vanne alla tua stanza.
Non penso di restar già contumace (659),
S'io non ti servo, perch'io fo a fidanza.
Dunque ti lascio, e sono al tuo piacere,
Fatti servir da questo cavaliere.

44
Nepo la mena allora alle sue stanze,
Che i paramenti avean di cuoi umani
Ricamati di fignoli e di stianze,
E sapevan di via de' Pelacani (660):
Ove gli orsi, facendo alcune danze,
Dan la vivanda e da lavar le mani:
Volati al cibo alfin, come gli astori,
Sembrano a solo a sol due toccatori (661).

45
Fiorita è la tovaglia e le salviette
Di verdi pugnitopi (662) e di stoppioni,
Saldate (663) con la pece, e in piega strette
Infra le chiappe state de' demòni.
Nepo frattanto a macinar si mette,
E cheto cheto fa di gran bocconi,
Osservando (664) Caton, ch'intese il giuoco,
Quando disse: in convito parla poco.

46
Fa Martinazza un bel menar di mani;
Ma più che il ventre, gli occhi al fin si pasce;
E quel pro fàlle, che fa l'erba a' cani,
Chè il pan le buca e sloga le ganasce;
Perchè reste vi son come trapàni,
Nè manco se ne può levar(665) coll'asce;
Crudo è il carnaggio, e sì tirante e duro,
Che non viene a puntare i piedi al muro.

47
Talchè s'a casa altrui suol far lo spiano (666)
E caseo barca (667) e pan Bartolommeo,
Freme, chè lì non può staccarne brano;
Pur si rallegra al giunger d'un cibreo,
Fatto d'interïora di magnano,
E di ventrigli e strigoli (668) d'Ebreo;
E quivi s'empie infino al gorgozzule,
E poi si volta e dice: acqua alle mule (669).

48.
Prezïosi liquori ecco ne sono
Portati ciascheduno in sua guastada,
Essendovi acqua forte, e inchiostro buono,
Di quel proprio ch'adopera lo Spada (670).
Ella, che quivi star voleva in tuono,
E non cambiar, partendosi, la strada,
Perchè i gran vini al cerebro le danno,
Ben ben l'annacqua con agresto e ranno.

49.
E fatte due tirate da Tedesco,
La tazza butta via subito in terra,
Perocch'ell'è di morto un teschio fresco,
Che suona (671), e tre dì fa n'andò sotterra.
Nepo, che mai alzò viso da desco,
Che intorno ai buon boccon tirato ha a terra (672),
Anch'egli al fine, dato a tutto il guasto,
«La bocca sollevò dal fiero pasto.»

50
Lasciati i bicchier voti e i piatti scemi,
Vanno al giardino pieno di semente
Di berline, di mitere e di remi
E di strumenti da castrar la gente.
Risiede in mezzo il paretaio del Nemi (673)
D'un pergolato, il quale a ogni corrente (674)
Sostien, con quattro braccia di cavezza,
Penzoloni, che sono una bellezza.

51.
Spargon le rame in varia architettura
Scheretri bianchi, e rosse anatomie (675);
Gli aborti, i mostri e i gobbi in sulle mura
Forman spalliere in luogo di lumie (676);
D'ugna, di denti e simile ossatura
Inseliciate son tutte le vie;
'N un bel sepolcro a nicchia il fonte butta
Del continuo morchia e colla strutta.

52.
Le statue sono abbrustolite e scure
Mummie, dal mar venute della rena (677);
Che intorno intorno in varie positure
In quei tramezzi fan leggiadra scena.
Su' dadi (678) i torsi, nobili sculture,
(Perché in rovina il tutto il tempo mena)
Ristaurati sono, e risarciti
Da vere e fresche teste di banditi.

53.
In terra sono i quadri (679) di cipolle,
Ove spuntano i fior fra foglie e natiche;
Sonvi i ciccioni, i fignoli e le bolle
Le posteme, la tigna e le volatiche;
V'è il mal francese entrante alle midolle,
Ch'è seminato dalle male pratiche:
I cancheri, le rabbie e gli altri mali,
Che vi mandano (680) gli osti e i vetturali.

54.
Pesche in su gli occhi sonvi azzurre e gialle;
Gli sfregi (681), fior per chi gli porta pari;
I marchi, che fiorir debbon le spalle
Al tagliaborse e ladri ancor scolari;
Le piaghe a masse, i peterecci (682) a balle;
Spine ventose, e gonghe (683) in più filari;
V'è il fior di rosolía, e più rosoni
D'ortefica, vaiuolo e pedignoni.

55.
Si maraviglia, si stupisce e spanta (684)
Martinazza in veder sì vaghi fiori;
E rimirando or questa or quella pianta,
Non sol pasce la vista in quei colori,
Ma confortar si sente tutta quanta
Alla fragranza di sì grati odori.
E di non côrne non può far di meno
Un bel mazzetto, che le adorni il seno.

56.
Alla ragnaia (685) al fin si son condotti,
Di stili da toccar la margherita;
Ove de' tordi cala e de' merlotti
Alla ritrosa (686) quantità infinita,
Che son poi da Biagin(687) pelati e cotti,
Sgozzando de'più frolli una partita;
Altra ne squarta; e quella ch'è più fresca,
Nello stidione infilza (688) alla turchesca.

57.
Veduto il tutto, Nepo la conduce
Al bagno, ov'ogni schiavo e galeotto
Opra qualcosa: un fa le calze, un cuce;
Altri vende acquavite, altri il biscotto;
Chi per la pizzicata (689), che produce
Il luogo fa tragedie (690) in sul cappotto;
Un mangia, un soffia (691) nella vetriuola;
Un trema in sentir dir: fuor camiciuola (692).

58.
Vanno più innanzi a' gridi ed a' romori
Che fanno i rei legati alla catena,
Ove a ciascun, secondo i suoi errori
Dato è il gastigo e la dovuta pena.
A' primi, che son due proccuratori,
Cavar si vede il sangue d'ogni vena;
E questo lor avvien, perchè ambidui
Furon mignatte delle borse altrui.

59.
Si vede un nudo, che si vaglia (693) e duole,
Perocchè molta gente egli ha alle spalle,
Come sarebbe a dir tonchi e tignuole,
Punteruoli, moscion, tarli e farfalle;
Talchè pe' morsi egli è tutto cocciuole,
E addosso ha sbrani e buche come valle;
Ed è poi fiagellato per ristoro
Con un zimbello (694) pien di scudi d'oro.

60.
Quei, dice Nepo, è il re degli usurai,
Che pel guadagno scorticò il pidocchio (695)
Un servizio ad alcun non fece mai,
Se non col pegno, e dandoli lo scrocchio (696);
Il gran se gli marcì dentro a' granai,
Chè nol vendea, se non valea un occhio;
Così fece del vino, ed or per questo
Gl'intarla il dosso e da' suoi soldi (697) è pesto.

61.
Un altro ad un balcon balla e corvetta,
Chè un diavol colla sferza a cento corde,
Che un grand'occhio di bue ciascuna ha in vetta,
Prima gli dà cento picchiate sorde;
Con una spinta a basso poi lo getta
In cert'acque bituminose e lorde,
Che n'esce poi, ch'io ne disgrado gli orci (698)
O peggio d'un norcin, mula (699) de' porci.

62.
Dice la maga: questa è un po'ariosa,
Quand'ella vedde simìl precipizio;
Costui ha fatto qualche mala cosa;
Pur non so nulla, e non vo' far giudizio.
Domanda a Nepo, fattane curiosa,
Tal pena a chi si debba, ed a qual vizio.
Ed ei, che per servirla è quivi apposta,
Prontamente così le dà risposta:

63.
Quei fu zerbino, e d'amoroso dardo
Mostrando il cuor ferito e manomesso;
Credeva il mio fantoccío con un sguardo
Di sbriciolar tutto il femmineo sesso;
Ma dell'occhiate (700) sue ben più gagliardo
Or sentene il riverbero e il riflesso;
E com'e' già pensò far alle dame (701),
Dalla finestra è tratto in quel litame.

64.
Si vede un ch'è legato, e che gli è posto
In capo un berrettin basso a tagliere;
E il diavol, colpo colpo da discosto
Con la balestra gliene fa cadere.
Il misero sta quivi immoto e tosto,
Battendo gli occhi a' colpi dell'arciere;
Che s'e' si muove punto o china o rizza,
Per tutto v'è un cultello che l'infizza.

65.
Qui Nepo scopre la di lui magagna,
Mostrando ch'e' fu nobile e ben nato,
E sempre ebbe il pedante alle calcagna;
Contuttociò voll'esser mal creato,
Perchè, se e' fosse stato il re di Spagna,
Il cappello a nessun mai s'è cavato:
Però, s'e' fu villano, ora il maestro
Gl'insegna le creanze col balestro.

66.
In oggi questa par comune usanza,
Martinazza risponde al Galatrona;
Stanno i fanciulli un po' con osservanza,
Mentre il maestro o il padre gli bastona.
Se e' saltan la granata (702), addio creanza;
Par ch'e' sien nati (703) nella Falterona;
Ma per la loro asinità superba,
Son poi fuggiti più che la mal'erba.

67.
Ma chi è quel c'ha i denti di cignale,
E lingua cosi lunga e mostruosa?
Si vede che son fuor del naturale;
A me paion radici, o simil cosa.
Nepo rispose: quello è un sensale,
Che si chiamò il Parola; ma la glosa
Uom di fandonie dice e di bugie,
Perchè in esse fondò le senserie.

68.
Ora, per queste sue finzioni eterne
Ch'egli ebbe sempre nella mercatura,
Lucciole dando a creder per lanterne,
Sbarbata gli han la lingua e dentatura
Ma in bocca avendo poi di gran caverne,
Perchè non datur vacuum in natura,
Gli hanno a misterio (704) in quelle stanze vote
Composto denti e lingua di carote.

69.
Quell'altro ch'all'ingiù volta ha la faccia,
E un diavol legnaiuolo in sul groppone
Gli ascia il legname sega ed impiallaccia,
Facendolo servir per suo pancone;
Un di coloro fu, ch'alla pancaccia (705)
Taglian(706) le legne addosso alle persone:
Sicchè del non tener la lingua in briglia
Così si sente render la pariglia.

70.
Vedi colui ch'al collo ha un orinale,
Cieco, rattratto, lacero e piagato?
Ei fu governator d'uno spedale,
Ov'ei non volle mai pur un malato.
Ora, per pena, ogni dolore e male
Che gl'infermi v'avrebbono portato,
Mentr'alla barba lor pappò sì bene,
Sopr'al suo corpo tutto quanto viene

71.
Chi è costui ch'abbiamo a dirimpetto,
Dice la donna, a cui quegli animali
Sbarban colle tanaglie il cuor del petto?
Nepo risponde: questo è un di quei tali
Che non ne pagò mai un maladetto (707).
Tenne gran posto, fe spese bestiali;
Ma poi per soddisfare ei non avría
Voluto men trovargli per la via (708).

72.
Colui, c'ha il viso pesto e il capo rotto
Da quei due spirti in feminili spoglie,
Uom vile fu, ma biscaiuolo e ghiotto,
Che si volle cavar tutte le voglie;
Ogni sera tornava a casa cotto
E dava col baston cena alla moglie.
Or, finti quella stessa (709), quei demoni
Sopra di lui fan trionfar bastoni (710).

73.
Riserra il muro, che c'è qui davanti,
Donne, che feron già, per ambizione
D'apparir gioiellate e luccicanti,
Dar il cul al marito in sul lastrone (711);
Or le superbe pietre e i diamanti
Alla lor libertà fanno il mattone (712),
Perocchè tanto grandi e tanti furo,
C'han fatto per lor carcere quel muro.

Note:
(653) IL MANDRAGORA fu un buffone di corte.
(654) IMPRUNATO. Circondato di pruni per salvare il ricolto dai ladri. Qui, avevo messo in opera ogni cautela.
(655) TROVAR LA SPADA ecc. Armarmi a vendetta.
(656) IN BUGNOLA. In valigia, in collera.
(657) IL BACO. Ira.
(658) FAR LA PERA. Far la spia, arrecare altrui grave danno, maturare l'altrui rovina.
(659) RESTAR CONTUMACE. Qui, commetter mancamento.
(660) VIA DE' PELACANI si dice in Firenze quella dove son le conce delle pelli, nella quale è sempre un puzzo orrendo. (Minucci).
(661) DUE TOCCATORI. Vedi c. II, 60. Eran sempre due e sempre soli, perchè i cittadini non ne volevan la compagnia, e co' birri non s'accompagnavano essi, tenendosi da più di loro.
(662) PUGNITOPI ecc. Virgulti a foglie spinose.
(663) SALDATE. Data lor la salda.
(664) OSSERVANDO la regola di Catone, che la seppe lunga, quando ecc.
(665) LEVAR. Spiccarne un pezzo, tagliarlo.
(666) FAR LO SPIANO. Spianar la mensa dalle protuberanze delle vivande; divorar tutto.
(667) CASEO BARCA. Precetto de' ghiotti che si traduce: Midolla di caccio e corteccia di pane.
(668) STRIGOLI. Rete grassa che sta appiccata alle budella degli animali.
(669) ACQUA ALLE MULE. Da bere. Detto volgare.
(670) LO SPADA. Valerio Spada, eccellente calligrafo e disegnatore, coetano del poeta.
(671) SUONA. Si adopera il verbo sonare per dir copertamente Putire; ma è modo basso.
(672) TIRATO A TERRA. Atterrato, dato lo spiano, il guasto.
(673) In mezzo d'un pergolato risiede il cosi detto PARETAIO DEL NEMI; le forche, così dette, perchè situato in un campo che appartenne alla famiglia Nemi.
(674) CORRENTE. Travicello.
(675) Scheletri bianchi e corpi preparati per l'anatomia (anatomie) spargono i loro rami in diverse maniere.
(676) LUMIA è specie, ma qui è posto pel genere degli agrumi.
(677) MAR DELLA RENA. I sabbioni d' Egitto.
(678) DADI. Zoccoli delle colonne.
(679) I QUADRI. Le aiuole.
(680) MANDANO. Imprecano.
(681) GLI SFREGI Che son fiori, cioè, son segni che stanno bene, in sul viso di chi PORTA PARI i polli, di chi fa il ruffiano.
(682) PETERECCI. Paterecci, panerecci.
(683) GONGHE. Glandule.
(684) SI SPANTA. Si meraviglia estremamente.
(685) RAGNAIA. Macchia folta in cui si pone la ragna ai tordi, tendendola su due stili o pertiche. Qui intende la Corda; e Toccar la margherila vale subir la tortura della corda.
(686) RITROSA. Gabbia da uccellare; qui, carcere
(687) BIAGINO fu il predecessore di maestro Bastiano; Vedi c. V, 44.
(688) INFILZA ecc. Impala.
(689) PIZZICATA. Specie di confezione minutissima. Qui, pidocchi.
(690) FA TRAGEDIE. Fa strage.
(691) SOFFIA ecc. cioè beve; perchè bevendo si soffia col naso nel vetro che contiene il liquido. Vetriola, è un'erba contenente un sale a base di soda, di cui si servono per fare il vetro.
(692) FUOR CAMICIUOLA. Così diceva l'aguzzino al galeotto che doveva aver le bastonate.
(693) SI VAGLIA. Si dimena.
(694) ZIMBELLO. Sacchetto. Vedi c. I, 59.
(695) SCORTICÒ IL PIDOCCHIO, per venderne la pelle.
(696) SCROCCHIO. La merce che dà l'usuraio invece di danaro.
(697) I SUOI SOLDI. Quel sacchetto pien di scudi d'oro.
(698) Orci da olio, che son sempre sudici.
(699) MULA, perché porta sulle spalle quegli animali morti.
(700) MA DELLE OCCHIATE ecc. Vedi st 61 v. 3.
(701) PENSÒ che le dame si dovessero gettare dalla finestra per lui.
(702) SALTAR LA GRANATA. Uscir di tutela o di custodia. Dicevasi che questa cerimonia del saltar la granata praticavasi co' birri novizi dopo che erano stati bene istruiti.
(703) PAR CH'E' SIAN NATI ecc. Cioè inculti e rozzi, essendo la Falterona regione montuosa del Casentino, dove poche creanze possono impararsi.
(704) A MISTERIO qui pare che valga a segno di gastigo.
(705) ALLA PANCACCIA Vedi c. II, 73
(706) TAGLIAN ecc. Dicon male di ecc.
(707) UN MALEDETTO. Nemmeno un quattrino.
(708) NON AVRÍA voluto pagare, nemmen se avesse trovato i danari per la via.
(709) FINTI QUELLA STESSA. Aventi la figura della moglie.
(710) TRIONFAR BASTONI, si dice in un certo giuoco di minchiate, qui vale bastonare solennemente.
(711) SUL LASTRONE. Era una pietra in Mercato Nuovo, detta il Carroccio, su cui si faceva tre volte battere il sedere a' falliti.
(712) FANNO IL MATTONE. Fanno da mattoni nelle pareti del loro carcere.

"Il Malmantile racquistato" di Lorenzo Lippi (alias Perlone Zipoli), con gli argomenti di Antonio Malatesti; Firenze, G. Barbèra, editore, 1861)

(segue)

 
 
 
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Data di creazione: 26/04/2008
 

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