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Piccola biblioteca romanesca (I miei libri in dialetto romanesco)
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Centoventi sonetti in dialetto romanesco (di Luigi Ferretti)

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I trovatori (Dalla Prefazione di "Poesie italiane inedite di Dugento Autori" dall'origine della lingua infino al Secolo Decimosettimo raccolte e illustrate da Francesco Trucchi socio di varie Accademie, Volume 1, Prato, Per Ranieri Guasti, 1847)

Miòdine (di Carlo Alberto Zanazzo)

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Poesie varie (di Cesare Pascarella, Nino Ilari, Leonardo da Vinci, Raffaello Sanzio)

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I primi bolognesi che scrissero versi italiani: memorie storico-letterarie e saggi poetici (di Salvatore Muzzi)

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Osservazioni sulla tortura e singolarmente sugli effetti che produsse all'occasione delle unzioni malefiche alle quali si attribuì la pestilenza che devastò Milano l'anno 1630 - Prima edizione 1804 (di Pietro Verri)

Picchiabbò (di Trilussa)

Storia della Colonna Infame (di Alessandro Manzoni)

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Il Dittamondo, Libro Secondo
Il Dittamondo, Libro Terzo
Il Dittamondo, Libro Quarto
Il Dittamondo, Libro Quinto
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OPERE COMPLETE: POESIA

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Cinquanta madrigali inediti del Signor Torquato Tasso alla Granduchessa Bianca Cappello nei Medici (di Torquato Tasso)

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Rime inedite del Cinquecento (di vari autori)
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C’era una vorta... er brigantaggio (di Vincenzo Galli)

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La duttrinella. Cento sonetti in vernacolo romanesco. Roma, Tipografia Barbèra, 1877 (di Luigi Ferretti)

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Li promessi sposi. Sestine romanesche (di Ugo Còppari)

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Canzoniere inedito 1

Alla March. Vincenza Roberti.
Poesie di G. G. Belli da Genn. 1822.

I.
A Cintia.

Cintia, in giurarmi, che nel cuor severo
Giammai pietà dell'altrui duol ne senti;
E che ognor vano incontro a lui s'avventi
Lo stral tremendo del Fanciullo Arciero:

Ah! sempre, o Cintia, o dici il falso, o il vero,
Sempre a miei danni e leal parli, e menti;
Ne so ben se il tuo labbro in quegli accenti
Io più brami verace, o menzognero.

Se favol'è, che nel tuo petto il loco
Non trovi Amor per annidarvi un laccio,
Troppo è quel tuo mentir barbaro gioco.

Ma s'è poi ver, c'hai l'anima di ghiaccio,
Dillo a chi parla, e non ha in seno il foco,
Nor dirlo a me, che mi consumo, e taccio.

II.

Cintia, se il caldo di mia viva face
Nel cuor t'infuse di Cupido il telo,
Perchè pregare il Dio sommo di Delo
A pro del novo tuo foco ti piace?

S'eri pria fredda e più nel dir verace,
Dovevi allora scongiurare il Cielo.
Che mai del cuor non ti sciogliesse il gelo,
Sì necessario alla tua bella pace.

Donna, purtroppo hai tu saputo e visto
Qual'è il tenore dei destini miei.
Che a me disciorre o temperar non lice.

Così senza il tuo amor ben sarei tristo,
Ma da te amato, oh Dio! son più infelice,
Se infelice con me, cara, tu sei.

III.

Qualor negli occhi, che fe Amor sì bei,
Cintia diletta, io ti contemplo fiso,
Per ricercarvi il placido sorriso
Solo sostegno delli giorni miei:

Tanto severo mi componi il viso
Ch'io veggo ben che più quella non sei,
Quella che mi rendea pari agli Dei
Creandomi nel Mondo un paradiso.

Ah! se un fallo fec'io degno di morte
Il reo fu il labbro, ma innocente il cuore;
Anzi la sola rea fu la mia sorte.

Non punirmi però con tal rigore;
Ch'io non mi sento per soffrir capace
Lo sdegno tuo del mio destin peggiore.

IV.

Comechè immenso sia. donna, il dolore
Di che andò sempre la mia vita cinta;
Pur la speranza mai non n'ebbi estinta,
Ch'io mi nudriva di un destin migliore.

Ma incomincio a veder di quale errore
Finor la mente mia s'era dipinta,
Or che la speme è presso a restar vinta
Da un avvenir de' vecchi dì peggiore.

Serpere, o Cintia mia, tacita sento
Ne' ripari del sen fiamma vorace,
E dal misero cor trarre alimento.

Onde ahi! per poco a sostener capace
Sarò la forza del nuovo tormento.
Ohe niega di lasciarmi ombra di pace.

V.

Come fiume real verso la foce,
O pari a soffio di Maestro vento.
Va il tempo innanzi: ed ogni mio momento
In varia guisa, o mia Cintia, mi nuoce.

Quand'io non odo il suon della tua voce,
Troppo pel mio desir ei mi par lento:
Ma allor che il suono di tua voce io sento,
Parmi pel desir mio troppo veloce.

Così, o pigro il suo volo ami o gagliardo,
Cotanto, o cara, è il mio destin funesto,
Che ognor vo' il male, e sempre peggio aspetto.

Tardi ti veggo, s'io lo bramo tardo;
Ma, se a vederti pria, lo invoco presto,
Ahi! che la fin d'ogni mio bene affretto.

Giuseppe Gioachino Belli
Da: "Canzoniere inedito del Belli" in La età dell'oro - Versi di Giuseppe Gioachino Belli - Roma, Dalla Tipografia Salviucci, 1851

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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