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« Er zegrétoSemo da capo »

Canzoniere petrarchesco 6

Post n°1703 pubblicato il 06 Giugno 2015 da valerio.sampieri
 

31

Questa anima gentil che si diparte,
anzi tempo chiamata a l'altra vita,
se lassuso è quanto esser dê gradita,
terrà del ciel la piú beata parte.

S'ella riman fra 'l terzo lume et Marte,
fia la vista del sole scolorita,
poi ch'a mirar sua bellezza infinita
l'anime degne intorno a lei fien sparte.

Se si posasse sotto al quarto nido,
ciascuna de le tre saria men bella,
et essa sola avria la fama e 'l grido;

nel quinto giro non habitrebbe ella;
ma se vola piú alto, assai mi fido
che con Giove sia vinta ogni altra stella.


32

Quanto piú m'avicino al giorno extremo
che l'umana miseria suol far breve,
piú veggio il tempo andar veloce et leve,
e 'l mio di lui sperar fallace et scemo.

I' dico a' miei pensier': Non molto andremo
d'amor parlando omai, ché 'l duro et greve
terreno incarco come frescha neve
si va struggendo; onde noi pace avremo:

perché co llui cadrà quella speranza
che ne fe' vaneggiar sí lungamente,
e 'l riso e 'l pianto, et la paura et l'ira;

sí vedrem chiaro poi come sovente
per le cose dubbiose altri s'avanza,
et come spesso indarno si sospira.


33

Già fiammeggiava l'amorosa stella
per l'orïente, et l'altra che Giunone
suol far gelosa nel septentrïone,
rotava i raggi suoi lucente et bella;

levata era a filar la vecchiarella,
discinta et scalza, et desto avea 'l carbone,
et gli amanti pungea quella stagione
che per usanza a lagrimar gli appella:

quando mia speme già condutta al verde
giunse nel cor, non per l'usata via,
che 'l sonno tenea chiusa, e 'l dolor molle;

quanto cangiata, oimè, da quel di pria!
Et parea dir: Perché tuo valor perde?
Veder quest'occhi anchor non ti si tolle.


34

Apollo, s'anchor vive il bel desio
che t'infiammava a le thesaliche onde,
et se non ài l'amate chiome bionde,
volgendo gli anni, già poste in oblio:

dal pigro gielo et dal tempo aspro et rio,
che dura quanto 'l tuo viso s'asconde,
difendi or l'onorata et sacra fronde,
ove tu prima, et poi fu' invescato io;

et per vertú de l'amorosa speme,
che ti sostenne ne la vita acerba,
di queste impressïon l'aere disgombra;

sí vedrem poi per meraviglia inseme
seder la donna nostra sopra l'erba,
et far de le sue braccia a se stessa ombra.


35

Solo et pensoso i piú deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l'arena stampi.

Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d'alegrezza spenti
di fuor si legge com'io dentro avampi:

sí ch'io mi credo omai che monti et piagge
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch'è celata altrui.

Ma pur sí aspre vie né sí selvagge
cercar non so ch'Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co llui.


36

S'io credesse per morte essere scarco
del pensiero amoroso che m'atterra,
colle mie mani avrei già posto in terra
queste mie membra noiose, et quello incarco;

ma perch'io temo che sarrebbe un varco
di pianto in pianto, et d'una in altra guerra,
di qua dal passo anchor che mi si serra
mezzo rimango, lasso, et mezzo il varco.

Tempo ben fôra omai d'avere spinto
l'ultimo stral la dispietata corda
ne l'altrui sangue già bagnato et tinto;

et io ne prego Amore, et quella sorda
che mi lassò de' suoi color' depinto,
et di chiamarmi a sé non le ricorda.


37

Sí è debile il filo a cui s'attene
la gravosa mia vita
che, s'altri non l'aita,
ella fia tosto di suo corso a riva;
però che dopo l'empia dipartita
che dal dolce mio bene
feci, sol una spene
è stato infin a qui cagion ch'io viva,
dicendo: Perché priva
sia de l'amata vista,
mantienti, anima trista;
che sai s'a miglior tempo ancho ritorni
et a piú lieti giorni,
o se 'l perduto ben mai si racquista?
Questa speranza mi sostenne un tempo:
or vien mancando, et troppo in lei m'attempo.

Il tempo passa, et l'ore son sí pronte
a fornire il vïaggio,
ch'assai spacio non aggio
pur a pensar com'io corro a la morte:
a pena spunta in orïente un raggio
di sol, ch'a l'altro monte
de l'adverso orizonte
giunto il vedrai per vie lunghe et distorte.
Le vite son sí corte,
sí gravi i corpi et frali
degli uomini mortali,
che quando io mi ritrovo dal bel viso
cotanto esser diviso,
col desio non possendo mover l'ali,
poco m'avanza del conforto usato,
né so quant'io mi viva in questo stato.

Ogni loco m'atrista ov'io non veggio
quei begli occhi soavi
che portaron le chiavi
de' miei dolci pensier', mentre a Dio piacque;
et perché 'l duro exilio piú m'aggravi,
s'io dormo o vado o seggio,
altro già mai non cheggio,
et ciò ch'i' vidi dopo lor mi spiacque.
Quante montagne et acque,
quanto mar, quanti fiumi
m'ascondon que' duo lumi,
che quasi un bel sereno a mezzo 'l die
fer le tenebre mie,
a ciò che 'l rimembrar piú mi consumi,
et quanto era mia vita allor gioiosa
m'insegni la presente aspra et noiosa!

Lasso, se ragionando si rinfresca
quel' ardente desio
che nacque il giorno ch'io
lassai di me la miglior parte a dietro,
et s'Amor se ne va per lungo oblio,
chi mi conduce a l'ésca,
onde 'l mio dolor cresca?
Et perché pria tacendo non m'impetro?
Certo cristallo o vetro
non mostrò mai di fore
nascosto altro colore,
che l'alma sconsolata assai non mostri
piú chiari i pensier' nostri,
et la fera dolcezza ch'è nel core,
per gli occhi che di sempre pianger vaghi
cercan dí et nocte pur chi glien'appaghi.

Novo piacer che ne gli umani ingegni
spesse volte si trova,
d'amar qual cosa nova
piú folta schiera di sospiri accoglia!
Et io son un di quei che 'l pianger giova;
et par ben ch'io m'ingegni
che di lagrime pregni
sien gli occhi miei sí come 'l cor di doglia;
et perché a cciò m'invoglia
ragionar de' begli occhi,
né cosa è che mi tocchi
o sentir mi si faccia cosí a dentro,
corro spesso, et rïentro,
colà donde piú largo il duol trabocchi,
et sien col cor punite ambe le luci,
ch'a la strada d'Amor mi furon duci.

Le treccie d'òr che devrien fare il sole
d'invidia molta ir pieno,
e 'l bel guardo sereno,
ove i raggi d'Amor sí caldi sono
che mi fanno anzi tempo venir meno,
et l'accorte parole,
rade nel mondo o sole,
che mi fer già di sé cortese dono,
mi son tolte; et perdono
piú lieve ogni altra offesa,
che l'essermi contesa
quella benigna angelica salute
che 'l mio cor a vertute
destar solea con una voglia accesa:
tal ch'io non penso udir cosa già mai
che mi conforte ad altro ch'a trar guai.

Et per pianger anchor con piú diletto,
le man' bianche sottili
et le braccia gentili,
et gli atti suoi soavemente alteri,
e i dolci sdegni alteramente humili,
e 'l bel giovenil petto,
torre d'alto intellecto,
mi celan questi luoghi alpestri et feri;
et non so s'io mi speri
vederla anzi ch'io mora:
però ch'ad ora ad ora
s'erge la speme, et poi non sa star ferma,
ma ricadendo afferma
di mai non veder lei che 'l ciel honora,
ov'alberga Honestade et Cortesia,
et dov'io prego che 'l mio albergo sia.

Canzon, s'al dolce loco
la donna nostra vedi,
credo ben che tu credi
ch'ella ti porgerà la bella mano,
ond'io son sí lontano.
Non la toccar; ma reverente ai piedi
le di' ch'io sarò là tosto ch'io possa,
o spirto ignudo od uom di carne et d'ossa.


38

Orso, e' non furon mai fiumi né stagni,
né mare, ov'ogni rivo si disgombra,
né di muro o di poggio o di ramo ombra,
né nebbia che 'l ciel copra e 'l mondo bagni,

né altro impedimento, ond'io mi lagni,
qualunque piú l'umana vista ingombra,
quanto d'un vel che due begli occhi adombra,
et par che dica: Or ti consuma et piagni.

Et quel lor inchinar ch'ogni mia gioia
spegne o per humiltate o per argoglio,
cagion sarà che 'nanzi tempo i' moia.

Et d'una bianca mano ancho mi doglio,
ch'è stata sempre accorta a farmi noia,
et contra gli occhi miei s'è fatta scoglio.


39

Io temo sí de' begli occhi l'assalto
ne' quali Amore et la mia morte alberga,
ch'i' fuggo lor come fanciul la verga,
et gran tempo è ch'i' presi il primier salto.

Da ora inanzi faticoso od alto
loco non fia, dove 'l voler non s'erga
per no scontrar chî miei sensi disperga
lassando come suol me freddo smalto.

Dunque s'a veder voi tardo mi volsi
per non ravvicinarmi a chi mi strugge,
fallir forse non fu di scusa indegno.

Piú dico, che 'l tornare a quel ch'uom fugge,
e 'l cor che di paura tanta sciolsi,
fur de la mia fede non leggier pegno.


40

S'Amore o Morte non dà qualche stroppio
a la tela novella ch'ora ordisco,
et s'io mi svolvo dal tenace visco,
mentre che l'un coll'altro vero accoppio,

i' farò forse un mio lavor sí doppio
tra lo stil de' moderni e 'l sermon prisco,
che, paventosamente a dirlo ardisco,
infin a Roma n'udirai lo scoppio.

Ma però che mi mancha a fornir l'opra
alquanto de le fila benedette
ch'avanzaro a quel mio dilecto padre,

perché tien' verso me le man' sí strette,
contra tua usanza? I' prego che tu l'opra,
e vedrai rïuscir cose leggiadre.

Francesco Petrarca

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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