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Il Malmantile racquistato 02-3

Post n°1572 pubblicato il 03 Maggio 2015 da valerio.sampieri
 

"Il Malmantile racquistato" di Lorenzo Lippi (alias Perlone Zipoli), con gli argomenti di Antonio Malatesti; Firenze, G. Barbèra, editore, 1861)

SECONDO CANTARE

42
In quanto a sposa, omai questo è ascolto (236):
S'ei toccò terra (237), ancor la voglia sputi.
Così Florian dicea: nè stette molto
Che il secondo ne viene a spron battuti,
Che mette lui per morto, anzi sepolto;
Ma il giovane, che dà di quei saluti,
Gli mostra, in avviarlo per le poste,
L'error di chi fa i conti senza l'oste.

43
Comparso il terzo in testa della lizza,
S'affronta seco, e passalo fuor fuora:
Soggiunge il quarto, ed egli te l'infizza;
Sbudella il quinto, e fredda il sesto ancora;
All'altro mondo il settimo indirizza;
L'ottavo e il nono appresso investe e fora:
E così a tutti, con suo vanto e fama,
Cavò di testa il ruzzo della dama.

44
Il re si rallegrò con Florïano:
Sceso di sedia poi colla figliuola,
Gli fece allor allor toccar la mano (238),
Come nel bando avea data parola;
Ond'ogni altro ne fu mandato sano (239):
Ed ei nelle dolcezze infino a gola,
Ben pasciuto, servito e ringraziato,
Rimase quivi a godere il papato.

45
Tre dì suonaro a festa le campane:
Ed altrettanti si bandì il lavoro:
E il suocero, che meglio era del pane,
Un uom discreto ed una coppa d'oro,
Faceva con gli sposi a Scaldamane,
Talora a Mona Luna, e Guancial d'oro (240):
E fece a' Paggi recitare a mente
Rosana (241), e la regina d'Orïente.

46
L'andare, il giorno, in piazza a' Burattini
Ed agli Zanni, furon le lor gite;
Ogni sera facevansi festini
Di giuoco, e di ballar veglie bandite:
E chi non era in gambe nè in quattrini
Da trinciarle (242) e da fare ite e venite (243),
Dicea novelle, o stavale a ascoltare,
O facea al Mazzolino (244) o alla Comare (245).

47
Altri più là vedevansi confondere
A quel gioco chiamato gli Spropositi (246);
Che quei ch'esce di tèma nel rispondere,
Convien che 'l pegno subito depositi.
Ad altri piace più Capanniscondere (247);
Hanno altri vari umor, vari propositi,
Perchè ognuno ad un mo' non è composto;
Però chi la vuol lessa e chi arrosto.

48
Chi fa le Merenducce (248) in sul bavaglio;
Chi coll'amico fa a Stacciaburatta;
Chi all'Altalena, e chi a Beccalaglio;
Va quello a predellucce, un s'acculatta.
Per tutti in somma sempre vi fu taglio (249)
Di star lieto così in barba di gatta (250):
E tra Floriano, il re e la figliuola
Non fu che dir 'n un anno una parola.

49
Non fu tra lor fin qui nulla di guasto;
Se non che Florïan vòlto alle cacce,
Avendone più volte tocco un tasto (251)
E sentendosi dar sempre cartacce (252),
Dispose alfin di non voler più pasto (253);
Nè curando lor preghi nè minacce,
Fece invitar dai soliti bidelli
Per l'altro dì i Piacevoli e i Piattelli (254).

50
Benchè il suocero allora e la consorte
Maledicesser questo suo motivo (255),
Dicendogli che là fuor delle porte
Un Orco v'è sì perfido e cattivo,
Che persèguita l'uomo insino a morte,
E che l'ingoierebbe vivo vivo;
Con genti ed armi uscì sull'aurora,
Gridando: andianne, andianne, eccola fuora.

51
Senza veder nè anche un animale,
Frugò, bussò, girò più di tre miglia:
Pur vedde un tratto correre un cignale
Feroce, grande e grosso a maraviglia;
Ond'ei che, il dì (256), dovea capitar male,
Si mosse a seguitarlo a tutta briglia;
Non essendo informato che in quel porco
Si trasformava quel ghiotton dell'Orco,

52
Che apposta presa avea quella sembianza:
E gli passò, fuggendo, allor d'avanti,
Per traviarlo, sol con isperanza
D'aver a far di lui più boccon santi.
Così guidollo fino alla sua stanza,
Dov'ei pensò di porgli addosso i guanti:
Poi non gli parve tempo; perchè i cani
Avrian piuttosto lui mandato a brani.

53
Però, volendo andare sul sicuro,
Non a perdita più che manifesta;
Perchè a roder toglieva un osso duro,
Mentre (257) non lo chiappasse (258) testa testa,
Gli sparì d'occhio, e fece un tempo scuro
Per incanto levar, vento e tempesta,
E gragnuola sì grossa comparire,
Che avrebbe infranto non so che mi dire.

54
Il cacciator, che quivi era in farsetto,
E dal sudore omai tutto una broda;
Avendo un vestituccio di dobretto,
Ed un cappel di brucioli (259) alla moda;
Per non pigliar al vento un mal di petto
O altro, perchè il prete non ne goda,
Non trovando altra casa in quel salvatico
Che quella grotta, insáccavi da pratico.

55
A tal gragnuola, a venti così fieri,
Ch'ogni cosa mandavano in rovina,
Tal freddo fu, che tutti quei quartieri (260)
Se n'andavano in diaccio e in gelatina:
Ed ei, ch'era vestito di leggieri
Nè ma' meglio facea la furfantina (261),
Non più cercava capriuolo o damma,
Ma da far, s'ei poteva, un po' di fiamma.

56
Trovò fucile (262) ed esca e legni vari,
Onde un buon fuoco in un cantone accese:
E in su due sassi, posti per alari (263),
Sopra un altro sedendo, i piè distese.
Così con tutti i comodi a cul pari,
Dopo una lieta (264), il crògiolo si prese (265):
Essendosi a far quivi accomodato,
Metre pioveva, come quei da Prato (266).

57
L'Orco frattanto con mille atti e scorci
Affacciatosi all'uscio, ch'era aperto,
Pregò Florian con quel grugnin da porci,
Tutto quanto di fango ricoperto,
Che, perch'ella veniva giù co' gli orci,
Ricever lo volesse un po' al coperto;
Ritrovandosi fuora scalzo e ignudo
A sì gran pioggia e a tempo così crudo.

58
Ebbe il giovane allora un gran contento
D'aver di nuovo quel bestion veduto:
E facendogli addosso assegnamento,
Quasi in un pugno già l'avesse avuto,
Rispose: volentieri: entrate drento;
Venite, che voi siate il ben venuto;
Chè, dopo (267) il fuggir voi l'umido e il gielo,
Fate a me, ch'ero sol, servizio a cielo (268).

59
Sì, eh? soggiunse l'Orco; fate motto!(269)
Voler ch'io entri dove son due cani?
Credi tu pur, ch'io sia così merlotto?
Se non gli cansi, ci verrò domani.
S'altro, dice il garzon, non ci è di rotto (270),
Due picche te gli vo' legar lontani.
E preso allora il suo guinzaglio in mano,
Legò in un canto Tebero e Giordano.

60
Poi disse: or via venite alla sicura.
Rispose l'Orco: io non verrò nè anco:
Guarda la gamba!(271) perch'io ho paura
Di quella striscia ch'io ti veggo al fianco.
Allor Florian cavossi la cintura,
Ed impiattò la spada sotto un banco.
Disse l'Orco, vedutala riporre:
Io ti ringrazierei, ma non occorre.

61
E lasciata la forma di quel verro,
Presa l'antica e mostruosa faccia,
Con due catene saltò là di ferro,
E lo legò pel collo e per le braccia,
Dicendo: cacciatore, tu hai pres'erro:
Perchè, credendo di far preda in caccia,
Alfin non hai fatt'altro che una vescia,
Mentre il tutto è seguito alla rovescia.

62
Rimasto ci sei tu, come tu vedi,
Senza bisogno aver di testimoni:
E perchè con levrieri e cani e spiedi
Far me volevi in pezzi ed in bocconi;
Così, perch'ella vadia pe' suoi piedi,
Farassi a te, nè leva più, nè poni (272);
Acciocchè procurando l'altrui danno,
Per te ritrovi il male ed il malanno.

Note:

(236) ASCOLTO. Lincenziato, spacciato.
(237) S'EI TOCCÒ TERRA ecc. La donna quando è grossa ove le venga alcuna voglìa che non può appagare, si tocca il corpo in parte che suol esser coperta, o tocca terra o altra cosa, per impedire che il bambino nasca con la voglia, o almeno che non nasca con la voglia in viso: e in pari tempo sputa, dicendo, in terra vadia (vada, cioè la voglia). Ognuno ora intenderà il doppio senso.
(238) TOCCAR LA MANO. Impalmare.
(239) MANDATO SANO. Dal lat.: Vale: Sta sano. Quindi mandar sano, cioè dire addio, licenziare, escludere.
(240) SCALDAMANE... MONA LUNA... GUANCIAL D'ORO o Guancialin d'oro. Son tre giuochi fanciulleschi, il primo dei quali è noto a tutti. Il secondo si fa scegliendo a sorte un fanciullo della brigata a cui si ordina di allontanarsi un tratto. Intanto la brìgata sceglie uno a cui si dà il nome di Mona Luna. Allora si chiama il fanciullo allontanato, e questi va a domandare un consiglio a qual dei bambini suppone esser Mona Luna. S'ei non s'appone, paga il premio o pegno, e s' allontana ancora, finchè si crei nuova Mona Luna: e ciò può farsi per quattro volte, dopo di che il perditore di quattro premi si riunisce alla brigata; e un altro, scelto dalla sorte, è mandato. Se invece quel primo s'appone una od altra volta, Mona Luna perde il premio, ed è mandato egli. La restituzione de' premi fornisce poi materia ad altro giuoco che è delle penitenze. Il Guancialin d'oro differisce dalla Mona Luna in questo, che un fanciullo inginocchiato (forse sopra un guanciale), e ad occhi chiusi, deve indovinare chi è che da tergo gli dà una percossa. Il noto Prophetiza quis te percussit del Vangelo ci mostra che questo o simil giuoco è antichissimo.
(241) ROSANA ecc. Sono due Leggende o Rappresentazioni notissime, dice il Minucci; e il Biscioni aggiunge: Rosana si trova stampata sotto questo titolo: La Rappresentazione, e Festa di Rosana. Firenze, appresso Zanobi Bisticci alla Piazza di Sant'Apolinari l'anno1601, in 4°, p. 30. Senza nome d'autore. La Regina d'Oriente è un poemetto diviso in 4 cantari, che pare scritto da Antonia Pulci, la quale visse di là dalla metà del 400.
(242) TRINCIARLE. Far capriole e salti.
(243) ITE E VENITE del danaro al giuoco.
(244) AL MAZZOLINO. Di una brigata uno si fa Giardiniere, e questi compone un mazzolino, dando a ciascuno dei compagni il nome di un fiore. Il giardiniere dice: Questo mazzo non sta bene per causa (poniamo) della Viola. Se la Viola non risponde subito: Dalla Viola non viene, ma sibbene (per esempio) dal Giglio; o se gli vien nominato un fiore che non è nel mazzolino, paga il pegno
(245) COMARE. Una fanciulla fa la puerpera, e le altre le vanno intorno facendolo visite, cerimonie e regali. Se invece d'una puerpera si finge una sposa, il giuoco si chiama Fare alle zie.
(246) GLI SPROPOSITI. Giuoco notissimo e poco diverso dal Mazzolino.
(247) IL CAPANNISCONDERE detto anche in Toscana fare a rimpiattino in qualche dialetto chiamasi anco Nasconderella.
(248) LE MERENDUCCE. Bambini e bambine imbandiscono la merenda alle loro bambole o pope stendendo il loro tovagliolino o bavaglio su certe piccole mense di legno, e mettendovi su altre loro piccole stoviglie. - Gli altri giuochi o trastulli qui nominati sono assai noti. Il Beccalaglio più comunemente è chiamato Mosca cieca. L'andare a Predellucce o predelline, cioè l'esser portato da due che di lor mani intrecciate gli fan seggiola, in qualche dialetto dicesi andare a Sedia di Papa. L'acculattare, cioè il fare altrui battere il sedere in terra, più che un giuoco, è una delle penitenze
(249) TAGLIO. Agio, mezzo; dal mestiere del sarto, che dice esservi taglio per roba da tagliare.
(250) IN BARBA DI GATTA. Cioè colla barba unta dal gozzovigliare.
(251) TOCCO UN TASTO. Tastato, domandato così alla sfuggita.
(252) DAR CARTACCE. Non rispondere secondo che si desidera; da un giuoco di carte.
(253) NON VOLER PIÙ PASTO. Non voler esser menato per le lunghe con chiacchiere, promesse o altre finte.
(254) I PIACEVOLI ecc. Due allegre compagnie di cacciatori fiorentini, di cui fu perfino scritta una Storia da Giulio Dati.
(255) MOTIVO. Qui sta per voglia, ed e assai proprio, chè la volontà e quella che muove ad ogni azione.
(256) IL DÌ Illo die, quel dì.
(257) MENTRE. Se.
(258) Chiappasse. Sopraggiungesse.
(259) BRUCIOLI. Trucioli, sottilissimo strisce di legno: e se ne vedono anche oggi di questi cappelli.
(260) QUARTIERI. Contorni.
(261) FACEA LA FURFANTINA. Tremare. Il modo è dalla pratica di certi furfanti vagabondi, che per destare l'altrui commiserazìone si gettano per le vie fingendo di esser per basire dalla fame e dal freddo.
(262) FUCILE. Focile, acciarino, istrumento per destare dalla pietra focaia la scintilla che poi appiccava il fuoco alI'esca.
(263) ALARI. Arali, capofochi.
(264) LIETA. Fiamma chiara e breve.
(265) IL CRÒGIOLO ecc. Seguitò a stare accanto al foco dopo cessata la fiamma; dal crògiolo o tempera che si dà ai lavori di vetro tenendoli, appena fatti, ad un calore moderato nella camera.
(266) FAR COME QUEI DA PRATO. Lasciar piovere. Ambasciatori di Prato domandarono ed ottennero dai Signori Priori di Libertà il diritto di celebrare in un dato giorno dell'anno una fiera; e stipularono di pagare per ciò una certa somma. Nell'uscir di palazzo venne loro in capo che se in quel dì piovesse. era pur forza pagar la somma e non far la fiera; onde tornarono in dietro a domandare: Sígnori, e s'è piovesse? - Rispose uno: Lasciate piovere.
(267) DOPO. Oltre.
(268) A CIELO. Grandissimo.
(269) FATE MOTTO. Senti! Udite sproposito!
(270) DI ROTTO. Di guasto, di male.
(271) GUARDA LA GAMBA! Così gridavasi dai ragazzi all'avvicinarsi dei Toccatori o ministri del tribunale civile che portavano una calza d'un colore una d'un'altro: e gridavasi per avvertire il debitore sentenziato a pagare, che corresse a un luogo immune, dove l'ufiziale non potesse, toccandolo, intimargli il termine perentorio. Da ciò Guarda la gamba passò a significare Il cielo me ne liberi! o simile.
(272) NÈ LEVA ecc. Nec addas nec adimas. Per appunto come volevi trattar me.

 
 
 
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