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La Bella Mano (131-140)

Post n°865 pubblicato il 20 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
 

La Bella Mano di Giusto de' Conti

CXXXI

O occhi ladri, che mia debil vita
Rubate consumando a poco a poco,
Mancarà al petto mai l'ardente foco
Che l'eternal mia pena fa infinita?

L'alma dolente verso il cor smarrita
Tremando fugge ove non trova loco:
E il mio soccorso che piangendo invoco,
Amor l'ha fatto sordo a darmi aita.

Il cor sempr'arde, et l'alma triste aghiaccia,
Al gran disio mancando la speranza,
Et piango sempre et prego non so cui.

Così convien che in piccol tempo sta
Amor della mia vita quel che avanza,
Ben che sia poco omai mercè di Noi.

CXXXII

Quelli celesti angelici occhi et santi
Che sì soavemente Amor volgea,
Et, lor volgendo, veder mi parea
Due stelle, anzi due soli et due levanti.

Mi tolse gelosia, perché già tanti
Sospir gittò la mente che piangea,
Che al duro lamentar che ognior facea,
Amor si trasse per pietà dei pianti:

Et mentre io mi attendesse ancor da lui
Qualche soccorso alla mia fiamma antica,
Onde già per scioccheza io m'infiammai,

Non volse quella a me sempre nemica,
Sì che io sviato dal mio scampo fui;
Et ardere di novo incominciai.

CXXXIII

Quegli occhi chiari, più che il ciel sereni,
Che a torto gelosia veder mi priva,
Mi son dinanzi sempre, et la mia diva,
Dovunque, lei fuggendo, Amor mi meni.

Talor gli veggio sì pietà pieni,
Et lei sì poco, fuor l'usato, schiva,
Che io dico alla mia mente: Ella è qui viva
Quella, onde morte per amar sosteni.

Dalla bocca rosata escon parole,
Che fan d'un marmo saldo chi l'ascolta,
Et Venere et Cupido arder d'amore:

Con tal dolcezza et con tal forza suole
La vista dei begli occhi che mi è tolta,
Tornarmi a mente, et con sì dolce errore.

CXXXIV

Mentre che a riva, il suo corso dolente
La notte al mezo avesse già condotto,
E il giorno in quella parte omai di sotto
Tutta scaldasse l'altra minor gente;

Quel sol che m'infiammò d'amor la mente,
Di poi che il mio riposo ebbe interrotto,
Sentir già mi faceva al mio ridotto
Qual fusse il foco tramortito ardente.

Ne, come quel che inganna, vano insogno;
Ma visione et senza fantasia
Turbata, et sospirando, pria ne apparve.

Poi sorridendo della mia follia,
Mi disse cose, onde anco mi vergogno,
Quando io di doglia piansi, et ella sparve.

CXXXV

Zeffiro, vieni et la mia vela carca
Et se di quel che io bramo non ti accorgi,
Là ver la parte occidental mi scorgi
La disiosa et debile mia barca.

Sicura et lieve, benché d'error carca,
Ne andrà, se da man destra ancor tu sorgi,
Et quel poter, che agli altri suoli, or porgi
Alla mia nave, che solcando varca.

Menami al mio terrestre paradiso,
Dove si acquetan tutti i pensier miei,
Sì come in porto d'ogni lor salute:

Fa che io riveggia il disiato riso,
Il fronte, i lucenti occhi di colei,
Che sola in terra è specchio di virtute.

CXXXVI

Ratto per man di lei, che in terra adoro,
Amor negli occhi vaghi io vidi un giorno
Tesser la corda, che al mio cor d'intorno
Già ne i primi anni avolse sì, ch'io moro.

Ordito era di perle, et testo d'oro
Il crudel laccio, et di tanta arte adorno,
A tal che Aracne troppo arebbe scorno,
Dove natura è vinta dal lavoro.

Et vidi allor come gli aurati strali
Amor nel foco affina, et di qual forza
Si armò la gentil man che il cor mi prese:

Et per che in questa età son più mortali
I colpi di Colui che gli altri sforza,
Et più che già, felici le sue imprese.

CXXXVII

Tanto è possente il fiero mio disio,
Et sì la spene altera che m'affanna,
Che del giudizio il mio veder appanna
A tal ch'ogni ragion posta ho in oblio.

Veggiomi quinci chiar l'utile mio,
Et quindi la vaghezza che m'inganna,
Ma a seguitare il peggio mi condanna
La forte mia sventura, Amore, e Dio,

Qual Letè tal virtude ebbe giammai,
Che non mi tolga nostre ricordanze,
E tanto error negli animi distille?

Così m'abbaglian due begli occhi gai,
E al cor m'accendon sì calde speranze,
Che fino al ciel ne manda le faville.

CXXXIX

Qual Salamandra in su l'acceso foco
Lieta si gode nell'amato ardore,
Et qual finice a sua voglia arde et more
Nel tempo che gli avanza al viver poco,

Così l'arder d'amor mi pare un gioco,
Et pascomi d'angelico splendore,
Così contento mi conduce amore
Al sacro, ove io mi struggo, et dolce loco.

Ah nuova vita, ah disusata morte,
Che nel cor mio rinnova alti disiri,
Et puommi nelle fiamme far beato:

In van si cerca quanto il mondo giri
Per ritrovare altra amorosa sorte,
Che si pareggi al mio felice stato.

CXL

Se 'll' è natural vostro, over costume,
Star contra chi più v'ama ognor più fera,
Non so che di mia vita più si spera,
Et meglio è che tacendo mi consume.

Ecco già gli occhi miei son fatti un fiume,
Per sempre lagrimar mattino e sera:
Io manco come imagine di cera
Dinante ad un possente et vivo lume.

Et voi non muove né ragion, né prieghi,
Né pianti, né sospiri; onde conviene
Per forza alfin ch'io mi disfaccia ardendo,

Se già qualche pietà da voi non viene
Subita sì che tal dureza pieghi:
Ma veggio ben che invan da voi l'attendo.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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