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Terze Rime 15

Post n°808 pubblicato il 14 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
 

Terze Rime di Veronica Franco
Addelkader Salza, Bari, Laterza 1913

XV

Della signora Veronica Franca

[Si scusa con un amico per non essere andata a trovarlo: la partenza dell'amante così l'ha turbata e sconvolta, che non se n'è sentita la forza, benché n'avesse desiderio; ma, s'egli insiste, andrà da lui, che stima, pur non essendone innamorata.]

S
ignor, ha molti giorni, ch'io non fui
(come doveva) a farvi riverenza:

di che biasmata son forse d'altrui;

ma, se da far se n'ha giusta sentenza,
le mie ragioni ascoltar pria si denno
da me scritte, o formate a la presenza:
che, quanto dritte ed accettabili enno,
non voglio ch'altri s'impedisca, e solo
giudicar lascerò dal vostro senno.
Con questo in tanti mali mi consolo,
che non sète men savio che cortese,
e che pietà sentite del mio duolo;
sì che, s'alcun di questo mi riprese,
ch'a voi d'alquanto tempo io non sia stata,
prodotte avrete voi le mie difese.
Io so pur troppo che da la brigata
far mal giudizio de le cose s'usa,
senza aver la ragion prima ascoltata.
èignor, non solo io son degna di scusa,
ma che ciascun, c'ha gentil cor, m'ascolti
di tristo pianto con la faccia infusa.
Non posso non tener sempre rivolti
i sentimenti e l'animo e l'ingegno
ai gravosi martìr dentro a me accolti,
sì ch'ora, ch'a scusarmi con voi vegno,
entra la lingua a dir del mio dolore,
e di lui ragionar sempre convegno;
benché quest'è mia scusa, che l'amore,
ch'io porto ad uom gentile a maraviglia,
mi confonde la vita e toglie il core;
anzi pur dal girar de le sue ciglia
la mia vita depende e la mia morte,
e quindi gioia e duol l'anima piglia.
Permesso alfine ha la mia iniqua sorte
che 'n preda del suo amor m'abbandonassi,
di che fien l'ore del mio viver corte:
ed ei, crudel, da me volgendo i passi,
quando più bramo la sua compagnia,
fuor de la nostra comun patria vassi:
senza curar de la miseria mia,
a far l'instanti ferie altrove è gito,
ma d'avantaggio andò sei giorni pria;
di ch'è rimaso in me duolo infinito,
e 'l core e l'alma e 'l meglio di me tutto,
col mio amante, da me s'è dipartito.
Corpo dal pianto e dal dolor distrutto,
ne l'allegrezza senza sentimento,
rimasta son del languir preda in tutto
quinci 'l passo impedito, e non pur lento,
ebbi a venir in quella vostra stanza,
secondo 'l mio devere e 'l mio talento,
peroché i membri avea senza possanza,
priva d'alma; e, se in me di lei punto era,
dietro 'l mio ben n'andava per usanza.
Così passava il dì fino a la sera,
e le notti più lunghe eran di quelle,
ch'ad Alcmena Giunon fe' provar fiera:
sovra le piume al mio posar rubelle,
non ritrovando requie nel martìre,
d'Amor, di lui doleami, e de le stelle.
ètandomi senza lui volea morire:
spesso levai, e ricorsi agli inchiostri,
né confusa sapea che poi mi dire.
Ben prego sempre Amor, che gli dimostri
le mie miserie e 'l suo gran fallo espresso,
oltre a tanti da me segni fuor mostri.
Certo da un canto e lungamente e spesso
egli m'ha scritto in questa sua partita,
ed ancor più di quel che m'ha promesso:
col suo cortese scrivermi la vita
senza dubbio m'ha reso, ed io 'l ringrazio
con un pensier ch'a sperar ben m'invita.
Da l'altra parte intento a lo mio strazio,
Poiché senza di sé mi lascia, io 'l veggo,
e ch'ei sta senza me sì lungo spazio.
Le sue lettre mandatemi ognor leggo,
e tenendole innanzi a lor rispondo,
e parte a la mia doglia in ciò proveggo.
Alti sospir dal cor m'escon profondo,
nel legger le sue carte, e in far risposte
piene di quel languir, che in petto ascondo.
In ciò fùr tutte dispensate e poste
l'ore; e del mio signor basciava in loco
le sue grate e dolcissime proposte.
Peggio che morta, in suon tremante e fioco
sempre chiamarlo lagrimando assente,
il mio sol rifugio era e 'l mio gioco:
desiandol meco aver presente,
altrui noiosa, a me stessa molesta,
lassa languia del corpo e de la mente.
Come doveva over potea, con questa
oppressa dal martìr gravosa spoglia,
venir da voi, meschina, inferma e mesta,
a crescer con la mia la vostra doglia
e, in cambio di parlar con buon discorso,
aver di pianger, più che d'altro, voglia?
In quel vostro sì celebre concorso
d'uomini dotti e di giudicio eletto,
da cui vien ragionato e ben discorso,
come, senza poter formar un detto,
dovev'io ne la scola circostante
uom tal visitar egro infermo in letto?
Furono appresso le giornate sante,
ch'a questo officio m'impedOr la via;
benché la cagion prima fu 'l mio amante,
a cui sempre pensar mi convenia,
e legger, e risponder, in ciò tutta
spendendo la già. morta vita mia.
Ed ora a stato tal io son ridutta,
che, s'ei doman non torna, com'io spero,
fia la mia carne in cenere distrutta.
Di rivederlo ognor bramosa pèro,
bench'ei tosto verrà, com'io son certa,
per quel ch'ei sempre m'ha narrato il vero:
de la promessa fé di lui s'accerta
con altre esperienzie la mia spene,
né qual dianzi ha da me doglia è sofferta.
Egli verrà, l'abbraccerò 'l mio bene:
stella benigna, ch'a me 'l guida, e ria
quella, ond'ei senza me, star sol sostiene.
Mi resta un poco di malenconia,
ch'egro è 'l mio colonello, ed io non posso
mancargli per amor e cortesia;
sì che, gran parte d'altro affar rimosso,
attendo a governarlo in stato tale,
ch'ei fôra senza me di vita scosso,
Per troppo amarmi ei giura di star male,
convenendo da me dipartir tosto,
e verso Creta andar quasi con l'ale.
Di ciò nel cor grand'affanno ei s'ha posto,
ed io non cesso ad ogni mio potere
di consolarlo a ciascun buon proposto.
Vorreil, dal suo mal libero vedere,
perché tanto da lui mi sento amata,
e perch'ei langue fuor d'ogni dovere;
e, come donna in questa patria nata,
vorrei ch'ov'ha di lui bisogno andasse,
e ch'opra a lei prestasse utile e grata:
le virtù del suo corpo afflitte e lasse,
per ch'ei ne gisse ov'altri in Creta il chiama,
grato mi fôra ch'ei ricuperasse
Del suo nobil valor la chiara fama
fa che quivi ciascun l'ama e 'l desia,
e come esperto in guerreggiar il brama.
Dategli, venti, facile la via,
e, perché fuor d'ogni molestia ei vada,
la dea d'amor propizia in mar gli sia;
sì che con l'onorata invitta spada
a la sua illustre immortal gloria ei faccia
con l'inimico sangue aperta strada.
Ciò fia ch'al mio voler ben sodisfaccia,
poi che, rimosso questo impedimento,
il mio amor sempre avrò ne le mie braccia.
E, se costui perciò parte scontento,
ch'ad altro ho 'l core e l'anima donato,
rimediar non posso al suo tormento.
E che poss'io? Che s'egli è innamorato,
io similmente il mio signor dolce amo,
e 'l mio arbitrio di lui tutt'ho in man dato
A lui servir e compiacer sol bramo,
valoroso, gentil, modesto e buono;
e fortunata del suo amor mi chiamo.
Lassa! che, mentre di lui sol ragiono,
né presente l'amato aspetto veggio,
da novo aspro martìr oppressa sono;
e pietra morta in viva pietra seggio
sopra del mio balcone, afflitta e smorta,
poi che 'l mio ben lontano esser m'aveggio.
A questa, che da me scusa v'è pòrta,
di non esser venuta a visitarvi,
priva di vita senza la mia scorta,
piacciavi, s'ella è buona, d'appigliarvi,
considerando ben voi questa parte,
senz'a quel ch'altri dice riportarvi.
E, se le mie ragion confuse e sparte
senz'argomenti e senza stil v'ho addutto,
a dir la verità non richiede arte.
Bench'io non son senza un salvocondutto,
e senza da voi esserne invitata,
per tornar così presto a quel ridutto,
basta che, quando vi sarò chiamata,
lascerò ogni altra cosa per venirvi;
né questo è poco a donna innamorata.
E stimerò che sia vero obedirvi
star pronta a quel che mi comanderete,
non venendo non chiesta ad impedirvi.
èe con vostro cugin ne parlerete,
son certa ch'egli mi darà ragione,
e voi medesmo ve n'accorgerete.
Gli altri amici son poi buone persone,
e senza costo voglion de l'altrui,
s'altri con loro a traficar si pone.
Forse che, quanto tarda a scriver fui,
tanto son lunga in questa mia scrittura,
senza pensar chi la manda ed a cui.
Ma io son così larga di natura,
tal che tutta ricevo entro a me stessa
la virtù vostra e la viva figura:
questa mi siede in mezzo l'alma impressa,
come di mio signor effigie degna,
ch'onorar il cor mio giamai non cessa.
Così vostra mercé per sua mi tegna,
e per me inchini quella compagnia,
sin ch'a far questo a la presenzia io vegna;
benc'ho mutato in parte fantasia,
e in ciò ch'io mi ritoglio, o ch'io mi dono,
non sarà quel, che tal crede che sia.
Questo dico, perché dar in man buono,
venendo, non vorrei di chi perduta
mi tenne del suo amor, che non ne sono:
così la sorte ora offende, ora aiuta.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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